“L’inferno dell’uguale” – Intervista al filosofo sudcoreano Byung-Chul Han
Traduzione a cura di Antonio Marrapodi (FSI Roma)
“Oggigiorno le persone si consumano mentre pensano di starsi realizzando”.
Il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, illustre sostenitore della società dell’iperconsumismo, spiega a Barcellona le sue critiche a quello che definisce “inferno dell’uguale”.
Si pensi alle Torri Gemelle: grattacieli uguali tra di loro e che si riflettevano vicendevolmente in un sistema chiuso in sé stesso che imponeva l’uguale escludendo le differenze e che furono bersaglio di un attentato che aprì una breccia nel sistema globale dell’uguale. O ancora alle persone che fanno binge watching (gli ingordi di serie tv) che guardano in continuazione solo quello che piace loro: di nuovo, ancora, l’uguale si moltiplica, a discapito del diverso e dell’altro… Sono queste le due potenti metafore utilizzate dal filosofo Byung-Chul Han (Seul 1959), uno dei più famosi critici dei mali che affliggono la società iper-consumista e neoliberale dalla caduta del Muro di Berlino.
Libri come “la società della stanchezza”, “Psicopolitica” o “l’espulsione del diverso” (pubblicati in Spagna da Herder) riassumono la sua cupa analisi intellettuale, che sviluppa anche sulle reti sociali: unisce tutto, proprio come fanno le sue mani quando si sistema la coda dei capelli.
“In 1984 di Orwell, quella società era consapevole di essere sottomessa; oggi invece non abbiamo consapevolezza di questa sottomissione”, ha affermato presso il Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona, dove il professore – formatosi e stabilitosi in Germania – ha tenuto un discorso sull’ espulsione della differenza. In questa occasione ha dato l’opportunità ai presenti di conoscere la sua visione del mondo, costruita a partire dalla tesi in base alla quale gli individui oggi si sfruttano da soli e hanno paura del diverso, finendo per vivere nel “deserto, o inferno, dell’uguale”.
Autenticità. Secondo Han, la gente si mostra autentica perché “tutti vogliono essere diversi dagli altri”, costringendosi a creare una nuova personalità. È impossibile essere autenticamente sé stessi perché anche in questa volontà di essere diversi si riafferma l’uguaglianza”. Risutato: il sistema permette soltanto “differenze commerciali”.
Autosfruttamento. Secondo il filosofo, si è passati dal “dover fare qualcosa” al “poterla fare”. “Si vive con l’ansia di non riuscire a fare sempre tutto ciò che si vorrebbe”, colpevolizzandosi in caso di fallimento. “Oggigiorno, uno si sfrutta/consuma da solo illudendosi però di starsi realizzando; è la perfida logica del neoliberalismo che culmina con la sindrome del lavoratore bruciato”. La conseguenza di ciò è che “non c’è un nemico oppressore contro il quale dirigere la rivoluzione”. È l’alienazione di sé stessi, che esteriormente si traduce in anoressia o in indigestioni di cibi, di prodotti di consumo, o intrattenimenti vari.
“Big Data”. “I big data rendono superfluo il pensiero perché se tutto può essere contato, allora tutto è uguale. Siamo in pieno “dataismo”1: l’Uomo non è più sovrano di sé stesso ma è il risultato di un algoritmo che lo domina senza farsi percepire; lo vediamo in Cina con la concessione di visti in base ai dati che possiede lo Stato o con la tecnica di riconoscimento facciale”. “La rivolta consisterebbe nello smettere di condividere dati nelle reti sociali?”. “Non possiamo rifiutarci di renderlo più facile: Occorre aggiustare il sistema: gli ebook son fatti per essere letti, non affinché i dati dell’utente vengano letti tramite un algoritmo. Abbiamo visto negli USA l’influenza che ha avuto Facebook durante le elezioni. Abbiamo bisogno di una Carta digitale che recuperi la dignità umana e di pensare a un reddito minimo per tutte quelle professioni che saranno divorate dalle nuove tecnologie”.
Comunicazione. “Senza l’altro, la comunicazione degenera in uno sterile scambio di informazioni: le relazioni sono rimpiazzate dalle connessioni, e così ci si interfaccia soltanto con l’uguale; la comunicazione digitale è solo vista, abbiamo perso la capacità di ascoltare; stiamo in una fase in cui la comunicazione è debole come non mai: la comunicazione globale basata sui like è possibile solo tra uguali: “ciò che è uguale non fa male”.
Giardino. “Io sono diverso: sono circondato da apparecchi analogici, ho due pianoforti e per 3 anni ho coltivato un giardino segreto che mi ha messo a contatto con la realtà: colori, odori, sensazioni… Mi ha permesso di rendermi conto della diversità della terra: la terra aveva un peso, facevo tutto manualmente; ciò che è digitale invece non pesa, non oppone resistenza, basta un dito e fai tutto… E’ l’opposto della realtà; il mio prossimo libro si intitolerà “Elogio della terra. Il giardino segreto”. La terra è più che codici e numeri”.
Narcisismo: Han sostiene che “Mettersi in mostra è un aspetto essenziale. Il problema risiede nel fatto che il narcisista diventa cieco quando si tratta di guardare gli altri, ma allo stesso tempo ha bisogno di loro perché da essi dipende la sua autostima”. Il narcisismo ha colpito persino laddove avrebbe dovuto rivelarsi essere una panacea: nell’arte è degenerato ponendosi al servizio del consumo, si fanno tante sciocchezze a causa sua; se fosse estraneo al sistema, sarebbe una storia diversa, ma non lo è”.
Gli altri. Questo è il punto sul quale si focalizzano le sue riflessioni più recenti. “Più le persone sono uguali, più aumenta la produzione; questa è logica attuale; il capitale ha bisogno di renderci tutti uguali, anche i turisti; il neoliberalismo non funzionerebbe se le persone fossero tutte diverse”. Per ciò Han propone di “ritornare all’animale originario, che non consuma né comunica in modo esagerato; non ho soluzioni concrete, però è possibile che alla fine il sistema collassi per cause endogene… in ogni caso, viviamo in un’ epoca di conformismo radicale: l’università ha solo clienti e fabbrica lavoratori, non educa lo spirito; il mondo è al limite delle sue capacità; forse così si arriverà ad un cortocircuito e recupereremo quell’animale originario”.
Rifugiati. Han è molto chiaro: con l’attuale sistema neoliberale “non si ha paura o disgusto dei rifugiati che invece son visti come merci, nutrendo verso di essi invidia e risentimento”; ciò è dimostrato dal fatto che il turista occidentale va a fare le vacanze nei loro paesi di origine.
Tempi. È necessaria una rivoluzione nell’uso del tempo, sostiene il filosofo e professore a Berlino. “Gli attuali ritmi frenetici diminuiscono la capacità di rimanere: abbiamo bisogno di un tempo per noi stessi che il sistema produttivo non ci concede; abbiamo bisogno di un tempo di svago per ritrovarci senza la necessità di dover fare per forza qualcosa di produttivo, ma che non debba però trasformarsi in un momento di riposo al solo fine di riprendere a lavorare; il tempo lavorato è tempo perso, non è tempo per noi stessi”.
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1 La teoria di Marx nella sua essenza è: chi possiede i mezzi di produzione, comanda. Questo è il capitalismo o la sua nemesi, il socialismo. Oggi andrebbe emendata nel seguente modo: chi possiede i dati, comanda. Questo è il dataismo. Ad esporre questa teoria è il giovane e volitivo storico israeliano Yuval Noah Harari, del cui ultimo libro, Homo deus. A History of tomorrow
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