Hong Kong, Taiwan e Usa: i tre pensieri di Xi per i 70 anni della Repubblica Popolare
di LIMES (Giorgio Cuscito)
La Cina festeggia, ma le proteste nel Porto Profumato danneggiano l’ascesa dell’Impero del Centro. I messaggi del presidente al Partito, agli hongkonghesi, a Taipei e a Washington. Il “risorgimento della nazione” è tale solo se pacifico.
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Il 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare ha avvicinato quest’ultima all’iconico centenario, ma il proseguimento dei tumulti a Hong Kong indica che il “risorgimento della nazione” è lungi dall’essere compiuto.
Mentre a Pechino tra il 30 settembre e il 1° ottobre si svolgevano la cena di gala, la parata militare (la più grande nella storia della Rpc) e gli spettacoli pirotecnici serali, nel Porto Profumato (questo significa Hong Kong) un agente di polizia ha sparato a un manifestante, ferendolo gravemente al torace. Da quando sono iniziate le proteste a marzo, nella regione sono state arrestate oltre 1.500 persone. Malgrado il ritiro della famigerata legge sull’estradizione, nella regione ad amministrazione speciale di Hong Kong (Hksar) la fiducia nelle istituzioni è ai minimi storici e larga parte della popolazione è in piazza per preservare la semi-autonomia garantita formalmente dalla formula “un paese, due sistemi”.
Secondo la narrazione cinese, il “risorgimento della nazione” consiste nel superamento delle umiliazioni subite dai paesi occidentali tra le guerre dell’oppio e la nascita della Rpc. Il suo completamento dovrebbe avvenire entro il 2049, quando quest’ultima compirà cent’anni. In sostanza, per quella data la Repubblica Popolare vuole tornare a essere una superpotenza. In grado di assicurare nel lungo periodo lo sviluppo della propria economia (il cui tasso di crescita continua a rallentare); di preservare la sovranità territoriale ed espanderla a Taiwan; di radicare la propria influenza all’estero e competere con gli Usa sul fronte tecnologico e militare.
Il compito del presidente cinese Xi Jinping è quindi riportare il paese ai fasti imperiali. Legando il “socialismo con caratteristiche cinesi” alla millenaria cultura cinese, così da attribuire continuità storica all’ascesa dell’Impero del Centro.
Il malessere di Hong Kong è una spina nel fianco per Pechino, poiché alimenta la frattura identitaria tra l’ex colonia britannica e il resto del paese, complica l’unificazione tra Cina continentale e Taiwan e danneggia l’immagine dell’ascesa pacifica della Repubblica Popolare.
I tre messaggi di Xi
Durante le celebrazioni del 1° ottobre, Xi ha inviato tre messaggi importanti.
Il primo è che il Partito comunista è il perno su cui si basa la stabilità della Rpc. “A causa del suo vasto territorio e delle complicate condizioni nazionali, governare la Cina presenta delle difficoltà uniche” […] “senza una leadership centralizzata, unificata e solida, il paese avrebbe rischiato la divisione e la disintegrazione, e avrebbe diffuso il caos oltre i suoi confini”. Così recita il nuovo libro bianco intitolato “la Cina e il mondo nella nuova era” pubblicato dal Consiglio di Stato, l’esecutivo della Rpc.
Dopo aver sconfitto i nazionalisti nel 1949, Mao Zedong si è assicurato rapidamente il controllo di Tibet, Xinjiang e Manciuria. Riprendere il controllo delle zone cuscinetto attorno al nucleo geopolitico cinese (vedi carta) era prioritario per impedire l’ennesima disgregazione. Oggi, il pugno di ferro usato nel Xinjiang e nel Tibet e l’inflessibilità di fronte alle richieste di suffragio universale di Hong Kong indicano che tale concetto è ancora alla base della strategia cinese. (L’articolo prosegue dopo la carta)
Xi ha detto che la “piena implementazione” del principio “un paese, due sistemi” non è in discussione. A patto che avvenga nel “rispetto della Costituzione cinese e con la Basic Law”. Questa affermazione riguarda in primo luogo la popolazione hongkonghese, che può esercitare le sue libertà ma non può mettere in discussione l’integrità e la stabilità della Rpc. Eventuali tentativi di separatismo innescherebbero il dispiegamento dell’Epl o della Polizia armata del popolo (Pap, la polizia paramilitare). La Pap si è esercitata a metà agosto a Shenzhen, a circa 40 chilometri dall’ex colonia britannica e sue unità hanno peraltro sfilato alla parata.
Allo stesso tempo, è probabile che con tali affermazioni Xi abbia voluto porre un freno a chi nel Partito e nelle Forze armate vorrebbe intervenire subito con la forza nella Hksar. Il presidente cinese per ora evita questa soluzione. Se adottata, farebbe venir meno il senso del principio “un paese, due sistemi”, comprometterebbe definitivamente l’unificazione pacifica con Taiwan ed esporrebbe la Rpc alle critiche internazionali.
Non a caso, il secondo messaggio del leader cinese è che “la completa riunificazione della madrepatria (Cina e Taiwan insieme, n.d.r.) è una dinamica che nessuno può fermare”. Le probabilità che Taipei si sottometta placidamente a Pechino sono assai scarse. I taiwanesi non sono intenzionati a seguire il modello hongkonghese, poiché ciò implicherebbe un sensibile ridimensionamento delle loro libertà. Al contrario, le proteste in corso nel Porto Profumato hanno spinto la sua fazione pro-democrazia a fare causa comune con Taipei. Per questo, Pechino non esclude un giorno di riprendere Formosa con la forza.
Il terzo messaggio è per gli Usa: la Cina sta riducendo il divario militare con la prima potenza al mondo. Durante la parata, circa 15 mila unità, oltre 160 caccia e 580 pezzi d’arsenale hanno marciato sotto lo sguardo di Xi. Tra questi anche il missile balistico intercontinentale Df-41 (il più potente a disposizione dell’Epl), quello da crociera supersonico Df-100, quello ipersonico Df-17 e il drone Gongji-11. I progressi cinesi in questo settore spiegano perché gli Usa abbiano recentemente abbandonato l’obsoleto trattato sulle forze nucleari di gittata intermedia (acronimo inglese Inf) firmato con la Russia.
Pechino si prepara alla guerra sperando di non farla. In questo momento, l’Epl non è paragonabile alle Forze armate Usa per qualità tecnologica ed esperienza. La Marina cinese conta solo su una portaerei attiva (un’altra, la Shandong, potrebbe essere operativa breve), mentre quella a stelle e strisce ne vanta ben 11. Soprattutto, gli Stati Uniti conducono periodicamente operazioni di navigazione e sorvolo (Fonops) attorno alle isole artificiali della Rpc nei Mari Cinesi. Queste acque sono circoscritte a est dalla cosiddetta prima catena di isole, le quali sono costellate da basi americane. Le priorità di Pechino per ora sono consolidare la sovranità nei Mari Cinesi ed essere pronta a un conflitto nello Stretto. Per poi sviluppare una capacità navale e basi all’estero sufficienti per proteggere a pieno regime le attività cinesi in Africa, Medio Oriente, Europa, Artico, America Latina.
Alla parata militare hanno partecipato anche unità assegnate alle missioni di peacekeeping. La Repubblica Popolare è prima tra i membri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu per soldati impiegati come caschi blu. Ciò consente alle unità dell’Epl di fare esperienza in teatri di guerra remoti. Inoltre, permette a Pechino di acquisire maggiore voce in capitolo in ambito Onu, rafforzando quindi il suo soft power in ambito internazionale.
Nel lungo periodo, proprio la capacità di persuasione senza l’utilizzo della forza pare decisiva per la crescita della Cina. Se le tensioni a Hong Kong degenerassero al punto da indurre Pechino a dispiegare l’Epl, l’immagine della Rpc all’estero sarebbe seriamente danneggiata. E con esso il “risorgimento della nazione”.
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