L’Nba in Cina rischia l’autocanestro
di LIMES (Giorgio Cuscito)
Il basket americano è emblema della cultura a stelle e strisce e spopola nella Repubblica Popolare. Per questo Pechino non ne ammette le critiche sul dossier Hong Kong.
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Il confronto in corso tra l’Nba (la lega americana di basket) e la Repubblica Popolare conferma che il poliedrico duello sino-statunitense investe non solo l’ambito tecnologico, militare, economico ma anche quello del soft power.
Il tweet pubblicato (e poi rimosso) dal general manager della squadra degli Houston Rockets Daryl Morey a sostegno delle manifestazioni pro-democrazia a Hong Kong ha infatti innescato un alterco con la Repubblica Popolare che mette a rischio le attività dell’Nba nel mercato cinese.
La questione pare sconveniente per entrambe le parti se la si osserva esclusivamente dal punto di vista economico. L’Nba ricava dalla Repubblica Popolare almeno 4 miliardi di dollari. Nel 2015, Tencent ha firmato con la lega un accordo da 500 milioni di dollari per la durata di 5 anni. Circa 500 milioni di persone hanno guardato il campionato sulla sua piattaforma nel 2018. L’account Weibo (il Twitter cinese) dell’Nba è seguito da oltre 41 milioni di utenti.
La prospettiva cambia se si osserva la questione tenendo conto della competizione di lungo periodo tra Cina e Usa.
Pechino non vuole che Washington e le imprese americane diano adito alle proteste che da quattro mesi scuotono Hong Kong e preoccupano Pechino. Le richieste democratiche degli abitanti del Porto Profumato mettono in discussione l’efficacia della formula “un paese, due sistemi”, che garantisce ai suoi abitanti maggiori libertà rispetto a quelli della Cina continentale. La Repubblica Popolare vorrebbe (forse tardivamente) utilizzare il modello di autonomia hongkonghese per convincere Taiwan ad accettare l’unificazione. A ciò si aggiunge che il forte senso identitario degli abitanti del Porto Profumato non è apprezzato da coloro che abitano la Cina continentale.
Morey ha affermato che non voleva offendere nessuno, ma non si è scusato ufficialmente. Anche l’Nba ha cercato di limitare i danni, ma si è guardata bene dal fare autocritica. Piuttosto, il suo commissario Adam Silver ha detto che la lega non si metterà nella posizione di stabilire cosa i giocatori, gli impiegati e i proprietari delle squadre devono dire o non dire sue tali questioni.
La reazione della Repubblica Popolare è stata immediata e coordinata. L’Associazione cinese di basket ha interrotto la collaborazione con l’Nba. China Central Television (la tv di Stato) e Tencent hanno sospeso la trasmissione delle partite della lega americana proprio mentre in Cina e in altri paesi dell’Asia è in corso il pre-campionato. La partita tra i Brooklyn Nets e i Los Angeles Lakers a Shanghai si è svolta regolarmente ma non è stato permesso ai giocatori e agli allenatori di rilasciare dichiarazioni. Altre compagnie cinesi, tra cui quella di abbigliamento sportivo Li-Ning, la produttrice di smarthpone Vivo, la Shanghai Pudong Development Bank e l’agenzia di viaggi Ctrip hanno congelato la collaborazione con l’Nba. I media di Stato cinesi chiedono “rispetto” alla lega americana.
Il basket a stelle e strisce esercita un forte fascino nella Repubblica Popolare sin dagli anni Novanta. Il boom si è registrato però nel 2002, quando Yao Ming è diventato il primo cinese a giocare nella lega, militando fino al 2012 negli Houston Rockets, la squadra che oggi è nell’occhio del ciclone. L’esperienza gli vale l’ingresso nella Hall of fame dell’Nba nel 2016. Dopo essersi ritirato, Yao è stato presidente degli Shanghai Sharks dal 2009 al 2017, per poi assumere la guida della federazione cinese. A quel punto, ha cercato di elevare la qualità e l’immagine della pallacanestro cinese servendosi della sua esperienza negli Usa.
Eppure dopo il ritiro di Yao, la Cina non ha compiuto grandi progressi nella pallacanestro. Altri suoi atleti hanno giocato nella Nba, senza raggiungere il successo del loro illustre predecessore.
La Repubblica Popolare punta sullo sport (calcio e pallacanestro in particolare) per diversificare l’economia cinese ed espandere gli investimenti all’estero in settori – solo apparentemente – meno influenzati dalle dinamiche geopolitiche. Inoltre, lo sport funge da collante sociale. Dopo 40 anni di prorompente crescita, l’economia cinese sta rallentando. Seguire lo sport, specialmente se di squadra, serve a divergere parzialmente l’attenzione della popolazione dai problemi socio-economici che affronta il paese. Inoltre, la pratica delle attività atletiche infonde disciplina e contribuisce al benessere fisico. Secondo l’Nba, oltre 300 milioni di cinesi giocano a pallacanestro. La Cina vuole diventare leader nello sport a livello mondiale anche per consolidare il suo soft power. Vincere delle competizioni internazionali alimenta la narrazione di un paese vincente, rafforza il sentimento di appartenenza nazionale sul piano domestico e favorisce il diffondersi del marchio cinese all’estero.
Attualmente l’Nba gestisce tre accademie in Cina, rispettivamente nello Shandong, nello Zhejiang e nel Xinjiang. Quest’ultima, localizzata a Urumqi, è finita sotto i riflettori a causa della campagna di repressione condotta da Pechino nei confronti degli uiguri (musulmani e turcofoni) che popolano la regione. Recentemente, Washington ha imposto delle sanzioni ad aziende tecnologiche cinesi quali HiSense, Hikvision e iFliytek perché i loro prodotti sono utilizzati per sorvegliare il Xinjiang. In più, il dipartimento di Stato americano ha imposto delle restrizioni per la concessione dei visti a funzionari cinesi ritenuti responsabili di quanto sta accadendo in questa regione della Repubblica Popolare. Il tema dei diritti umani in questo caso è strumentale. Gli Usa vogliono impedire a questi colossi di accedere alla filiera produttiva americana per rallentare l’ascesa della Repubblica Popolare nel campo dell’intelligenza artificiale. Non è escluso che tali dinamiche abbiano delle ripercussioni sulle attività dell’Nba nel Xinjiang.
Le contingenze mettono la lega americana tra due fuochi. Da un lato, l’eccessiva accondiscendenza verso Pechino rischia di danneggiare la sua immagine e il soft power statunitense, fortemente basato sul concetto di democrazia. Allo stesso tempo, la presenza nel mercato cinese può costituire per gli Usa una risorsa redditizia sul piano economica e culturale. Negli stessi giorni in cui tiene banco il caso Nba, Apple ha deciso di ritirare dal suo negozio digitale l’applicazione del sito HKmap.live, che consente ai manifestanti hongkonghesi di monitorare e coordinare gli spostamenti propri e della polizia in tempo reale nell’ex colonia britannica. Evidentemente l’azienda di Cupertino ci tiene a preservare le sue attività nel mercato cinese.
Resta da vedere se l’Nba si adeguerà ai diktat di Pechino o manterrà invece un atteggiamento più rigido verso l’Impero del Centro.
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