Le svalutazioni non sono più quelle di una volta
di KEYNES BLOG
Può apparire controintuitivo, ma una svalutazione può tramutarsi in una riduzione delle esportazioni, invece che un’espansione delle stesse. E’ quanto Valentina Bruno e Hyun Song Shin rilevano analizzando i dati dell’export mondiale a livello dettagliato in relazione all’andamento del dollaro. Un apprezzamento del dollaro, e quindi una svalutazione delle altre valute, frena il commercio internazionale, pesando sul funzionamento delle catene del valore globali ad alta intensità di credito (GVC) che proprio sul dollaro basano gran parte delle transazioni commerciali. Immaginiamo un’impresa che, per produrre un elettrodomestico destinata all’esportazione, importa parte dei componenti. Per pagarli (in dollari, come spesso accade), dovrà accedere al credito bancario e le condizioni di tale credito contribuiranno a determinare il prezzo del prodotto. In caso di apprezzamento del dollaro, quindi, i costi da sostenere potranno essere così elevati da superare la competitività di prezzo guadagnata con la svalutazione della propria valuta. Questo meccanismo perverso però colpirà anche il produttore del componente stesso, e il produttore dei componenti del componente, fino all’importatore delle materie prime.
Più lunga è la catena del valore, e più questa è legata al finanziamento in dollari, più il rischio sarà quello di perdere competitività invece di guadagnarla. Il grafico qui riportato, tratto dal paper che presentiamo, evidenzia la relazione inversa tra la forza relativa del dollaro rispetto alle altre valute e l’export globale (a sinistra) e il credito in dollari alle imprese non finanziarie. [Keynes blog]
Abstract
Il tasso di cambio del dollaro influisce sui risultati reali non solo attraverso la competitività, ma anche attraverso le fluttuazioni dell’offerta di credito. Utilizzando i dati dettagliati delle esportazioni a livello di impresa, troviamo che il tasso di cambio del dollaro influisce sulle esportazioni e, a seconda della struttura finanziaria delle imprese e delle banche, opera in direzione opposta rispetto al canale della competitività. A parità di altre condizioni, le imprese che dipendono maggiormente dalle banche per i finanziamenti in dollari, subiscono un maggiore effetto negativo sulle esportazioni in seguito all’apprezzamento del dollaro. L’effetto è particolarmente pronunciato per le imprese con lunghe catene di produzione. Identifichiamo un canale finanziario del tasso di cambio del dollaro che opera attraverso la fornitura di credito bancario all’azienda esportatrice.
Contributo
Siamo abituati a tracciare un collegamento automatico, da manuale, tra i tassi di cambio e l’andamento delle esportazioni attraverso il canale della competitività commerciale, secondo il quale un dollaro USA forte stimola le esportazioni delle economie non americane. Paradossalmente, un dollaro forte può effettivamente servire a ridurre i volumi commerciali, piuttosto che a stimolarli.
Un’analisi empirica dettagliata, basata su 4,6 milioni di osservazioni delle spedizioni di esportazione suddivise per categoria di prodotti, mostra che quando le condizioni di credito in dollari si restringono, le imprese che si affidano maggiormente alle banche per i finanziamenti in dollari subiscono una maggiore contrazione delle esportazioni. Ciò è dovuto ad un maggiore rigore nell’accesso al capitale circolante per sostenere le catene globali del valore.
Risultati
In primo luogo, a seguito di un apprezzamento del dollaro, le banche con un elevato ricorso alla raccolta all’ingrosso in dollari riducono l’offerta di credito in dollari rispetto alle banche con una bassa esposizione al finanziamento all’ingrosso in dollari.
In secondo luogo, le imprese più esposte alle banche finanziate all’ingrosso in dollari (e che quindi subiscono un calo dell’offerta di credito), registrano un rallentamento delle esportazioni.
In terzo luogo, le esportazioni delle imprese che hanno un maggiore fabbisogno di capitale circolante e che fanno parte di catene di produzione più lunghe sono maggiormente colpite dall’apprezzamento del dollaro.
Nel complesso, i risultati evidenziano l’effetto di soppressione degli scambi commerciali dell’apprezzamento del dollaro che opera attraverso il canale del credito bancario globale. I nostri risultati sono coerenti con il canale della competitività commerciale convenzionale, in quanto osserviamo anche l’effetto positivo sulle esportazioni derivante dal canale della competitività commerciale, ma solo in quelle aziende che prendono in prestito da banche meno esposte al finanziamento all’ingrosso in dollari o che non lo sono affatto.
Link al Working paper Dollar exchange rate as a credit supply factor – evidence from firm-level exports
Sullo stesso argomento segnaliamo anche il paper Financial conditions and purchasing managers’ indices: exploring the links, sempre pubblicato dalla BIS, che evidenzia tra le altre cose la correlazione inversa tra valore del dollaro e indice della fiducia delle imprese (Purchasing Managers’ Index), un consolidato predittore del Pil. I ricercatori trovano che l’apprezzamento del dollaro (svalutazione delle altre valute) è correlata con un peggioramento del PMI e viceversa: “Il legame tra PMI e dollaro è in contrasto le variazioni della competitività commerciale, suggerendo un ruolo del dollaro come indicatore delle condizioni di finanziamento globale” [KB].
Fonte: https://keynesblog.com/2019/10/17/le-svalutazioni-non-sono-piu-quelle-di-una-volta/#more-8017
Dai, per loro è spiegato qui: Dilemma di Triffin
https://it.wikipedia.org/wiki/Dilemma_di_Triffin