Dollari, debiti, dazi
di TELEBORSA (Guido Salerno Aletta)
La resa dei conti nel 2021, con la nuova Presidenza americana
Da Nixon a Reagan, e da Bush a Trump: ogni presidente americano ha cercato a tutti i costi di mantenere l’egemonia statunitense.
Siamo entrati in una nuova fase della storia, che riflette il mutamento dei rapporti di forza globali: economici, finanziari e militari.
Svanisce lentamente, ma inesorabilmente, l’esorbitante privilegio americano: dal 1971 in avanti, con lo sganciamento dalla parità con l’oro, il dollaro aveva acquisito lo status di unica valuta di riserva universalmente accettata e di regolazione degli scambi commerciali internazionali.
Si ruppe la catena dei rapporti di cambio stabili che collegava in modo triangolare il valore delle diverse valute al dollaro, sulla base del valore di quest’ultimo rispetto all’oro: se il rapporto di cambio tra l’oro della riserva detenuta dalla Federal Reserve americana ed il dollaro era tale per cui servivano 35 dollari per fare un’oncia d’oro, il rapporto di cambio tra le altre monete ed il dollaro ne fissava conseguentemente il valore in oro.
Il passivo commerciale americano, dopo gli sforzi per sostenere le guerre in Corea e nel Vietnam, era divenuto tale per cui le riserve auree detenute dalla Fed si stavano esaurendo: ad ogni fine d’anno, infatti, doveva cambiare in oro l’attivo valutario vantato dalle altre banche centrali. Si spiega così il fatto che molte banche centrali, tra cui ancora la Banca d’Italia, abbiano riserve auree detenute presso la Fed: l’avanzo commerciale in dollari veniva commutato in oro. Quando, alla fine di un anno, la Banca d’Italia restituiva alla Fed i dollari che aveva accumulato con il commercio internazionale, la Fed metteva un cartellino con la scritta “ITALIA” su un numero corrispondente di lingotti d’oro della sua riserva.
Dal 1971, il dollaro rimase la valuta di riserva e quella di riferimento per il commercio internazionale, pur senza avere più un aggancio all’oro. Le importazioni americane erano pagare in dollari, una moneta fiat, il cui valore era basato unicamente sulla sua generale accettazione.
Per commerciare sul piano internazionale si pagava in dollari, perché i prezzi venivano fissati per comodità con riferimento a questa valuta: chi vendeva una merce preferiva essere pagato in dollari, universalmente accettati, piuttosto che nella valuta nazionale del compratore.
Che se ne sarebbe fatto un venditore di un pagamento effettuato in rupie birmane o con la moneta congolese? Chi gliele avrebbe cambiate? Il regolamento in dollari era preferibile: la moneta americana era ad un tempo il metro del valore delle merci, in quanto il prezzo era fissato in dollari, sia il mezzo di pagamento per effettuarlo.
Il disavanzo commerciale americano, pagato in dollari, alimenta il necessario aumento della liquidità internazionale che serve al sistema dei pagamenti: ma di converso, aumenta corrispondentemente il debito degli Usa con l’estero. In pratica, quando un venditore straniero invia una merce negli Usa, contemporaneamente c’è bisogno che da parte americana qualcuno ne finanzi l’acquisto.
L’America ha dunque bisogno di raccogliere capitali sul mercato internazionale per finanziare il passivo commerciale: vende titoli e si indebita sull’estero. I titoli ed i crediti verso debitori americani, che sono in mano di chi li ha comprati o concessi, sono espressi in dollari.
L’America è indebitata nella sua stessa valuta, ed i detentori di titoli espressi in dollari ed i creditori in dollari non hanno alcun interesse a che il dollaro si svaluti: perderebbero una parte del valore o del credito. Così è andata avanti per quarant’anni.
Nel 1981, Ronald Reagan cercò un’altra soluzione per mantenere l’egemonia americana: la Fed decise di aumentare drasticamente i tassi di interesse per strangolare la stagflazione, e per attirare nuovi capitali dal resto del mondo. Servivano per finanziare una nuova fase di sviluppo a lungo termine, quella della “New Economy” basata sulle telecomunicazioni e sull’informatica. Si abbandonava la “Old Economy” e quindi la manifattura ai Paesi in via di sviluppo, caratterizzati da un basso costo del lavoro, come il Messico.
Il dollaro era diventato troppo forte per via dell’enorme afflusso di capitali: l’export era stato abbattuto, l’import si ingigantiva ed il debito estero americano cresceva ancora di più. Con gli Accordi del Plaza si cercò di controllare la forza del dollaro e di riequilibrare i conti commerciali con gli europei. Con i giapponesi si dovette ricorrere ai dazi. Internet fu sviluppato in modo incontrastabile, e le dot.com non riuscivano a fare utili.
Il 2001 fu un anno nero per gli Usa: scoppiò la bolla di Internet ed il neoeletto Presidente George Bush Jr. si trovò alle prese con quella crisi finanziaria e poi ad affrontare il panico scatenato l’11 settembre dall’attentato alle Torri Gemelle. Nel frattempo, l’ingresso della Cina nel Wto, decisa dal suo predecessore Bill Clinton, stava riportando a fondo i conti commerciali americani con l’estero. Le spese per gli interventi militari in Afghanistan e poi in Irak, e l’aumento incontrollato del debito interno delle famiglie, nascose il permanere di uno squilibrio crescente, non più solo economico ma anche finanziario.
Con la crisi del 2008, il fallimento della Lehman Brothers ed il crollo di Wall Street, si è incrinato definitivamente il sistema globale di crescita che si era fondato sin dal 1971 sugli squilibri americani crescenti, quelli monetari basati sul dominio incontrastato del dollaro; quelli economici basati sul deficit commerciale strutturale degli Usa; e quello finanziario fondato sulla certezza di andare esenti da perdite investendo in titoli statunitensi.
Le perdite finanziarie in dollari che sono state subite dai detentori stranieri di titoli americani, i cosiddetti “titoli salsiccia” che avevano come sottostante i mutui concessi a debitori sub-prime, hanno messo in ginocchio numerose banche ed investitori europei che li avevano comprati. L’America non era più un debitore affidabile.
Per superare la crisi, tutte le banche centrali hanno cominciato ad immettere liquidità per far riprendere l’economia e soprattutto per far risalire i valori degli asset quotati, che erano precipitati. La crisi finanziaria aveva distrutto la fiducia nel valore degli asset e nella capacità dei debitori, anche delle banche nei loro rapporti diretti, di onorare gli impegni assunti.
La Federal Reserve americana, la Bank of Japan, la Bank of England e la Banca centrale europea hanno abbattuto i tassi di riferimento per aiutare i debitori, inondando di liquidità i mercati comprando soprattutto titoli di Stato. In questo modo, tutte le banche centrali occidentali si sono adeguate al modello americano: hanno immesso nuova moneta fiat sui mercati.
L’America deve ad ogni costo riequilibrare il sua disavanzo commerciale e non può sostenere il costo crescente degli interessi sul debito verso estero. I tassi di interesse che paga non possono essere superiori al tasso di crescita dell’economia e non può finanziare ogni anno il duplice deficit, quello federale e quello commerciale. Si è riproposto a Donald Trump lo stesso problema che si presentò nel 1971 a Richard Nixon ed a Ronald Reagan nel 1981.
La Cina ha smesso di comprare titoli del debito pubblico americano: investe il surplus commerciale, sempre più contenuto, erogando crediti ad una serie di Paesi lungo la Nuova Via della Seta.
L’Europa conta sempre di più sull’euro e la Cina sullo Yuan, mentre l’America di Trump cerca di riequilibrare i conti commerciali con la Cina ed il resto del mondo mettendo dazi. Cerca di recuperare quanto rimane della “Old Economy” e di riportare gli Usa alla produzione nell’alta tecnologia, dalle telecomunicazioni alle infrastrutture della Intelligenza artificiale.
Non si può vivere stampando sempre altri dollari, né contraendo sempre nuovi debiti, specie se collocati all’estero: il sistema monetario si è fatto multipolare, mentre il costo dei debiti americani diviene progressivamente insostenibile.
Anche i dazi commerciali sono uno strumento temporaneo, alla ricerca di un riequilibrio. E’ l’ultimo tentativo prima di una nuova crisi finanziaria o di un conflitto internazionale ancora più profondo.
Fonte: https://www.teleborsa.it/Editoriali/2019/11/15/dollari-debiti-dazi-1.html#.XdQl-VPSI0M
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