La verità
Di INTELLETTUALE DISSIDENTE (Giulio Montalbano)
Sono bastate poche settimane di coronavirus per mostrare al mondo intero la pericolosità dell’utilitarismo economico, la presenza pervicace del darwinismo sociale in ampi spazi del nostro quotidiano e la pericolosità mortale del capitalismo. La verità è che serviva una pandemia per rammentare le nostre vulnerabilità, le nostre inezie e le nostre iniquità
La pandemia di Covid-19 ci ha riportato ad una dimensione più umana, quindi tragica nelle sue dimensioni, ancora imponderabile nelle sue conseguenze. Nella diversità di forme in cui l’umanità si è evoluta fino in tempi prossimi, la cooperazione e la competizione hanno sempre vissuto fianco a fianco in modo oscillante. Il neoliberalismo ha poi però istituito l’unica forma sociale possibile nella competizione, nelle sua componente più selvaggia o in quella più edulcorata e meritocratica. Tutti competono: le organizzazioni internazionali, gli Stati, le ONG, le università, le scuole, i poteri locali, le aziende, i lavoratori e gli individui. In questa cornice ideologica competitiva, la cooperazione trova poco spazio, rendendo vulnerabile ai colpi di avversari più opportunisti, chi prova a farlo.
In questa logica bellicistica ha ragione chi vince, quindi pare che l’unica meta sia vincere e farlo con logiche predatorie, spazzando via salute, vite e benessere. Tuttavia, le nostre società hanno imparato innumerevoli lezioni in questo brevissimo periodo di tempo, impossibili da assorbire nel corso degli ultimi quarant’anni di bombardamento ideologico. Le collettività, nella loro dimensione internazionale, nazionale e locale hanno la necessità vitale di scrollarsi di dosso dell’economicismo imperante alle nostre latitudini, di questa forma mentis economicizzante, proprio nel momento in cui i temi economici attireranno in un vortice tutte le tematiche di discussione pubblica, nei mesi e negli anni a venire.
Siamo di fronte a intere collettività che hanno inseguito solo successi commerciali, che hanno misurato la temperatura della popolazione attraverso opache lenti econometriche, che hanno inondato le nazioni di pseudo-economisti i quali hanno mancato di comprendere l’unica dimensione che conta dell’economia, quella politica. Si sono affannati e ci hanno affannato rincorrendo virgole e irragionevoli parametri che hanno scandito il ritmo del nostro dibattito pubblico, svuotandolo, riducendo al silenzio e ridicolizzando il dissenso, colpevole di essere ancorato ad un mondo passato. Ma i mondi non passano, scorrono, si riciclano, si travestono e riappaiono sotto altre vesti più adatte ai tempi.
Gli individui di queste società da cui proveniamo inseguono ambizioni, carriere, autorealizzazioni quotidiane, dimenticando i corpi sociali in cui sono incistati. Avvezzi a reclamare diritti e libertà personali, rifiutando doveri verso le loro stesse società, credevano di vivere la fine della storia, la fase ultima della parabola umana. Ma la Storia non si è mai fermata e ha pensato di schiantarci tutti, nessuno escluso, di metterci in catene, nella nostra dimensione individuale e collettiva. Ci ha rammentato le nostre vulnerabilità, le nostre inezie e le nostre iniquità. Illusi nel vivere di solo profitto abbiamo smesso di ricercare altri tipi di soddisfazioni qualitative, e siamo affogati nel nichilismo.
La pandemia in pochissime settimane ha reso palese l’inutilità e il fardello della nostra Unione, oggetto di riverenza indiscutibile di molti “esperti” nostrani. Ci ha insegnato di aver sempre vissuto in un’arena di scontro geopolitica, composta da avvoltoi e prede inconsapevoli di essere tali. Ha posto davanti ai nostri occhi l’assioma che nessuno muore per un altro Paese. Quando si tocca la parte più intima di una nazione, ovvero la sopravvivenza della sua stessa popolazione, non vi è solidarietà che tenga, disvelando tutto l’artificio teorico e retorico che teneva insieme i pezzi. Mentre allo stesso tempo ci ha ricordato che l’amicizia, la solidarietà e la civiltà delle nazioni non si comprano e non s’imparano, le si hanno.
In momenti di grave pericolo riaffiorano le antropologie e i differenziali culturali tra le migliaia di comunità umane che affollano il nostro pianeta, che ancora qualcuno si ostina a vedere utopisticamente Uno. Che parole vuote come cosmopolitismo, globalismo, pacifismo, solidarietà e umanità sono nebulose semantiche di individui e gruppi che hanno svuotato le loro menti, impreparati ad affrontare la ferocia e la potenza della realtà esterna.
La crisi pandemica ha rivelato, senza neanche troppa vergogna, il darwinismo sociale che ancora aleggia in parti ampie della nostra società, che fa il paio con l’utilitarismo economico, con la logica del business as usual. Abbiamo imparato che i nostri Stati e i suoi confini non sono proprio un anatema, una sventura, ma spazi di protezione, di legislazione, di sicurezza, di solidarietà, di raccolta di risorse, di investimenti e conoscenze da poter impiegare nei peggiori momenti. Nell’emergenza e nella normalità, in salute e in malattia.
L’oicofobia di ampi strati della nostra società, il disconoscimento delle proprie origini e delle proprie radici spazzati via al primo trauma, con la corsa a ciò che più verosimilmente ci è parso casa. In pericolo ci siamo aggrappati a ciò che più ci confortava, che ci rendeva noi stessi. Abbiamo riconsiderato il tempo e lo spazio, svegliati dai sogni a-spaziali e a-temporali che stavamo vivendo. Una pandemia, nemmeno così letale, ci ha spogliati, schiantati al suolo, reso inutili, superflui. Quanto era falsa la nostra coscienza, perverse le nostre ideologie e fallaci i nostri miti. Nulla era verità, tutto narrazione, storie, semplificazioni.
Fonte: https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/societa/la-verita/
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