La fase 1 e 1/3. Conte gioca con le libertà fondamentali per blindarsi a Palazzo Chigi: l’ora più buia sta arrivando
di ATLANTICO QUOTIDIANO (Federico Punzi)
Il lockdown continua – e con esso prosegue e si aggrava l’emergenza giuridica e democratica nel nostro Paese. A prescindere dal merito delle misure annunciate, protratte o alleggerite, infatti, abbiamo più volte sottolineato su Atlantico Quotidiano la intollerabile ferita allo stato di diritto del metodo scelto: l’adozione di restrizioni alle libertà fondamentali dei cittadini per Dpcm, decreti ministeriali non aventi forza di legge, quando la Costituzione prevede espressamente una riserva di legge assoluta. Si tratta di un modo di procedere extra ordinem ed è sorprendente con quale facilità l’abbiano di fatto digerito le forze politiche, anche di opposizione, i gruppi mediatici e l’establishment economico, persino la casta dei giuristi e i corifei della “costituzione più bella del mondo”, in un Paese in cui si grida al pericolo fascista appena un leader di centrodestra appaia in grado di vincere le elezioni.
E ieri sera abbiamo appreso dall’ennesimo proclama tv del presidente del Consiglio – con taglio e tinta di capelli inappuntabili – di un nuovo Dpcm che regolerà il lockdown almeno per il prossimo mese. Non solo il Parlamento, anche i ministri del suo governo, come si intuisce dalla sorpresa manifestata dal ministro Bonetti, sono tenuti all’oscuro delle decisioni prese da Conte, coadiuvato dalla sua corte di “esperti”. Un accentramento di poteri in un solo uomo mai visto nella storia della Repubblica, con il silenzio assenso del Quirinale.
Quella che doveva essere la cosiddetta “fase 2”, della riapertura, si è rivelata nel proclama di ieri sera come la mera continuazione con qualche ritocco della fase 1. Sì, le attività produttive e commerciali riapriranno, sebbene in tempi troppo lunghi, dal 4 maggio fino a “non prima di giugno”, ma il premier ha snocciolato una intricatissima e confusa selva di divieti e lievi allentamenti che rischiano, nel quotidiano, di catapultarci in una realtà kafkiana, tra regole incomprensibili e controlli impossibili, tra il ridicolo e lo stato di polizia. Prendiamo l’accesso ai parchi (articolo 1, lettera e, del Dpcm), “condizionato al rigoroso rispetto di quanto contenuto nella lettera d”, cioè il divieto di assembramento. Come faranno i sindaci ad assicurarlo? Quanti vigili dovranno schierare, togliendoli ad attività certamente più importanti? Semplice: in molte città e quartieri i parchi resteranno chiusi. Ma il delirio prosegue alla lettera f: “non è consentito svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto”, ma è “consentito svolgere individualmente, o con accompagnatore per i minori, attività sportiva o motoria”. Quindi, posso giocare a pallone con i miei figli? È attività ludica, sportiva o motoria?
Persino la Cei ieri sera è sbottata, quando ha appreso che solo i funerali e non altre funzioni sarebbero stati consentiti dopo il 4 maggio: “I vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto”, si legge in un durissimo comunicato che suona come un avviso di scomunica. Tanto che Conte si è precipitato a rassicurare: nei prossimi giorni arriverà un protocollo per dire le messe in sicurezza. La Chiesa che si fa dire dal governo come celebrare le messe? Il Comitato tecnico-scientifico però ha rincarato la dose: per le messe “criticità ineliminabili”, se ne riparla “a partire dal 25 maggio”. “Come nella Polonia di Gomulka, andare a messa diventerà un simbolo della nuova lotta per recuperare le libertà in Italia”, commenta tra l’amaro e il sarcastico Germano Dottori su Twitter.
Altro che sbloccare il Paese, almeno sul piano psicologico è un modo più che sicuro per tenerlo bloccato. E in un Paese bloccato nell’animo, l’economia muore, non riparte.
Il premier ha sorvolato su due aspetti che invece avrebbero dovuto essere centrali della fase 2, quello sanitario e quello economico. Ma è la conferma che l’unico piano del governo resta quello di far stare le persone a casa il più possibile. Non c’è alcuna fase 2, al massimo una fase 1 e 1/3, semplicemente perché il governo – sì, dopo tre mesi di emergenza – è ancora impreparato, nonostante le decine di task force. Questi due mesi di lockdown sarebbero dovuti servire ad organizzarsi, in vista della riapertura, per effettuare test a tappeto, anche degli asintomatici, con esito in poche ore, per isolare prima possibile i positivi e prevenire la diffusione del contagio tracciando tempestivamente i contatti. Di questo fondamentale, propedeutico passaggio non si sa nulla. Restiamo alle numerose testimonianze di sintomatici anche gravi che hanno aspettato giorni prima di venire sottoposti al test, degli operatori sanitari che sono ancora in attesa di farlo, di test sierologici ancora del tutto inaffidabili. Il disastro è organizzativo e il governo Conte continua a nasconderlo usando il lockdown come diversivo, facendo credere che il virus si sconfigga restando chiusi in casa ed evitando di incontrarsi, quando chiusure e distanziamento sociale sono solo una parte della strategia, nemmeno la principale e certamente temporanea, come si ormai è compreso dalle esperienze di altri Paesi.
Il secondo aspetto anch’esso completamente taciuto da Conte ieri sera è quello economico. Per ripartire servono soldi: alle imprese indennizzi, e non debiti, per alleviare le perdite subite con il lockdown e i minori introiti che le aspettano nei prossimi mesi. E le attività che ripartiranno, se tutto va bene, solo a giugno, dopo ben tre mesi di mancati incassi e con la prospettiva di ulteriori mesi di magra? Servono soldi anche alle famiglie che hanno visto dissolversi dall’oggi al domani quote importanti di reddito, per risollevare la domanda e la fiducia. Dov’è la cigs? Dove sono i soldi, quelli veri? E il tema scuola, eluso anch’esso: come faranno i genitori che lavorano? C’è il congedo speciale, certo, ma al 50 per cento, quindi perderanno metà stipendio.
A quasi due mesi dall’inizio del lockdown, il governo Conte non ha ancora messo un euro vero nelle tasche di famiglie e imprese preferendo aspettare l’Europa, nell’illusione di poter moltiplicare pani e pesci a Bruxelles, il che ovviamente non è avvenuto né avverrà, né era sensato aspettarsi che avvenisse. Ma intanto ieri sera il premier ha buttato lì, en passant, che bisogna fare le riforme: ce le chiederà il Mes, hanno già deciso di chiedere il prestito.
Abbiamo un’alternativa? Sì. E siamo ridotti al punto da farci ricordare da una agenzia di rating, da Standard & Poor’s, che Paese siamo, la forza che ancora abbiamo, e da farci indicare la via tra le righe, come spiega Musso nel suo articolo di oggi.
Ma a questo punto, sorge il sospetto che prolungare il lockdown serva più che altro al presidente Conte per blindarsi a Palazzo Chigi, allontanare i fantasmi di Draghi e Colao, per mantenere in sella un governo traballante: finché si passa da una fase all’altra, ma sempre nell’emergenza e in un clima da democrazia sospesa, non è possibile nemmeno immaginare, senza venire accusati di sciacallaggio e irresponsabilità, un cambio al timone.
Lorenzo Castellani l’ha sintetizzato alla perfezione su Twitter: “Più fasi ci sono, più il governo è stabile. Semplice.”
E trapela, nelle parole del premier ma anche nelle dichiarazioni di altri esponenti di governo, come i ministri Di Maio e D’Incà, la tentazione di approfittare dell’emergenza e della compressione delle libertà costituzionali per dar vita ad un qualche esperimento di ingegneria sociale ed economica.
Lo stesso presidente del Consiglio ha preannunciato “una stagione intensa di riforme”, parlato di “occasione per cambiare radicalmente le cose che non vanno”. Riforme in pieno lockdown? Con un Parlamento che si riunisce a singhiozzo, con la metà dei parlamentari in aula e il minimo delle votazioni, scavalcato dai Dpcm? Con la gente chiusa in casa che non può manifestare, i posti di blocco, i diritti politici (di riunione e associazione) sospesi, le elezioni rinviate?
A stridere sono anche il piglio e l’eloquio da preside pedante: noi concediamo… noi permettiamo… noi vietiamo… noi impediamo… Non si maneggiano con tali espressioni libertà fondamentali non solo garantite dalla Costituzione, ma iscritte nel diritto naturale, non una gentile concessione del governo, nemmeno in una fase emergenziale.
È arrivato il momento per i leader delle opposizioni di assumersi la responsabilità di iniziative straordinarie, non limitandosi alla lista della spesa delle loro controproposte, altrimenti cominceranno a rendersi complici di danni irreparabili inferti sia al nostro stato di diritto che alla nostra economia.
Il sospetto è che l’ora più buia non sia già alle nostre spalle, perché abbiamo scavallato il picco dell’epidemia, ma che sia ancora davanti a noi.
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