Tutto ciò che è stato sinora il “mondo conosciuto” possiamo solo utilizzarlo come solida base per (ri)costruire il futuro, ma quello nel quale ci muoveremo da oggi in poi sarà un mondo nuovo. Non solo per gli aspetti sanitari, epidemiologici, sociali, culturali ma per come tutto ciò influenzerà – e in parte sta già influenzando – il sistema economico e produttivo.
Da qui a poco saremo chiamati a immaginare un nuovo assetto nazionale e internazionale e nell’ambito di questo framework si giocherà la sopravvivenza della nostra economia nella competizione globale. Per intraprendere questo ragionamento potrebbe essere utile fare un passo indietro e ricordare alcuni elementi distintivi dell’esperienza dell’Iri.
Il ruolo dell’Istituto per la riconversione industriale, come scrive Franco Amatori nel volume “Storia dell’IRI. 2. Il ‘miracolo’ economico e il ruolo dell’IRI: 1949-1972”, si configurò quale strumento di politica economica e industriale del Paese e, completata la fase della ricostruzione, ha realizzato un processo di consolidamento industriale nei settori “di base”, in particolare nella meccanica, nella chimica, nella difesa e nella siderurgia. Ha realizzato, inoltre, un impegnativo supporto al processo di sviluppo del Paese mediante consistenti interventi infrastrutturali, che si concretizzarono nelle costruzioni autostradali e nell’espansione del comparto delle telecomunicazioni.
Si pensi, oggi, quanto sarebbe nuovamente necessario ripartire da un piano di investimenti fatto di priorità e progetti già pronti a partire.
Da queste pochissime righe si comprende come le motivazioni per cui era nata l’Iri, seppur in un momento storico completamente diverso, che presenta però drammatiche analogie con quello che stiamo vivendo, possono essere prese come punto di partenza per immaginare un intervento da parte dello Stato nell’ambito di alcuni settori strategici per l’economia del Paese con un forte accento sulla sfida della sostenibilità ambientale.
E dobbiamo proprio partire da questo primo passo: definire cioè quali sono in questo momento i settori dell’economia che prima degli altri devono considerarsi prioritari per la sopravvivenza e il rilancio della nostra economia e per la creazione del benessere e della sicurezza dei cittadini.
Ci saremmo immaginati solo 2 mesi fa che il settore alimentare o quello della farmaceutica potessero essere snodi fondamentali per il mantenimento in vita di una comunità complessa come quella del nostro Paese, solidamente ancorato al mondo moderno occidentale?
L’8 aprile, intervistato da Emanuele Buzzi sulle pagine del Corriere della Sera, il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli rompeva gli indugi e parlava della creazione di un nuova Iri, con queste parole: “Il prossimo passo per la ripartenza, assieme alla Golden Power rafforzata e al Fondo di Garanzia, è la costituzione di una nuova Iri capace di erogare garanzie e credito e, se è il caso, intervenire direttamente nelle aziende o filiere più sensibili. Occorre una rinnovata potenza di fuoco per sviluppare le tecnologie di frontiera che potrebbero diventare gli asset strategici del futuro. Il mercato non ce la può fare, serve una regia silenziosa dello Stato che accompagni il mercato”.
In riferimento ai settori protetti dal Golden Power, rimangono strategici e fondamentali i settori dell’energia, delle telecomunicazioni e della difesa – ma se ne aggiungono altri in cui lo Stato deve intervenire nel caso il sistema Paese venisse messo sotto attacco da speculazioni internazionali malevole, anche mediante una visione innovativa dell’intervento dello Stato attraverso un ruolo di rilancio e di stabilizzazione del tessuto economico e produttivo.
Questa è una delle grandi differenze che vi sono tra il nostro momento storico e quello dell’immediato dopoguerra; oggi viviamo in un mondo interconnesso, globale, in cui la finanza spesso agisce con fini propri o ancor peggio viene utilizzata per muovere “guerre” a Paesi anche alleati.
Parole quelle di Patuanelli che non cadono nel vuoto visto che attorno a questa idea si è avviato un confronto tra favorevoli e contrari. Tra questi ultimi si veda per esempio Stefano Lepri sull’edizione del Foglio il giorno dopo l’uscita del responsabile del Mise. Ma un dibattuto serio e costruttivo può sicuramente rappresentare un esempio di discussione comunque costruttiva per l’identificazione delle strade per uscire dalla crisi economica che si creerà dopo l’emergenza del Covid-19.
A tornare su questo tema, con il suo intervento domenicale sul Messaggero è Romano Prodi. L’ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Commissione europea ma soprattutto ex presidente dell’Iri, ha scritto: “Come è successo in tutte le grandi crisi, anche questa inattesa pandemia ha rimesso in gioco il ruolo dello Stato nell’economia”.
Prodi esclude la creazione di un’altra Iri e Patuanelli parla di una nuova Iri. Tutti e due però sembrano concordare sulla caduta di un tabù degli ultimi anni cioè il ripensamento di un intervento dello Stato nell’economia del Paese – con forme ancora non definite – che permetta di riparlare seriamente di politica industriale.
Dal suo osservatorio il segretario generale della Cgil parla di “una agenzia nazionale per lo sviluppo” che, secondo Landini, “servirebbe a indirizzare la grande massa di investimenti che saranno necessari, dalla sanità pubblica al sistema della mobilità e delle infrastrutture, fino alla cultura alla conoscenza e al turismo”.
Quindi un rinnovato intervento statale nell’economia sembra rendersi oggi necessario alla luce delle potenziali ricadute sull’economia creatasi con l’emergenza pandemica del Covid-19; si tratta certamente di mettere in campo strumenti che siano in grado di fornire allo Stato una reale capacità di programmazione sul lungo periodo.
Faccio un esempio tra tutti: quanto il mondo dell’impresa, in particolare quello della grande industria – unico soggetto rimasto capace di impegnarsi per una ricerca innovativa, avanza con il conseguente trasferimento tecnologico – ha necessità di un vero supporto finanziario per sostenere gli investimenti in ricerca e sviluppo? È questa la nuova frontiera della nostra economia, creare valore attraverso l’innovazione, attribuendo allo Stato il ruolo, non solo come detto di finanziatore, ma di regolatore per l’individuazione degli asset strategici di sviluppo.
Questo è possibile farlo anche attraverso la creazione di uno o più soggetti a cui vengano date le risorse, in primo luogo, per uno sforzo di analisi del contesto socio-economico che si verrà a creare in seguito all’emergenze Covid-19. Saremo così in grado di prevedere gli sviluppi dell’economia mondiale e individuare quindi i campi nei quali il nostro Paese può diventare realmente competitivo, cogliendo dalle difficoltà nel quale ci troviamo, elementi di sfida e di crescita mai conosciuti sinora, trasformando un contesto di difficoltà in un momento di rilancio e di orgoglio nazionale. Non è un caso che l’Iri fosse dotata di un importantissimo centro studi che permetteva di assumere le decisioni di intervento su solide basi analitiche.
È evidente che la politica italiana si trova oggi difronte a una sfida enorme, ma è una sfida che ha bisogno di pensieri lunghi che vadano oltre i confini degli Stati e naturalmente supera le frontiere dell’Europa. Solo così potremo superare la drammatica fase di spaesamento che il Paese sta vivendo, costruendo alternative nuove, il più possibile in un clima di concordia politica e sociale.
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