Il monetone forte e la deflazione salariale spiegata facile
E’ divertente (perché pur essendo deprimente, ci si sforza di sorridere) leggere alcune opinioni che ritengono che l’inflazione impoverisca, mentre il monetone forte, quello che non svaluta mai o quasi, ci renda tutti più ricchi. E’ divertente, perché è una grossolana semplificazione. Di quelle che o conosci bene cosa c’è dietro, oppure rischi di avere una percezione sbagliata e sballata dell’economia.
In ogni caso, il monetone forte non è un’aspirazione. Il monetone forte è un lusso, nel senso che del monetone forte si avvantaggiano solo coloro che vivono nel lusso e dispongono di rendite e capitali. Per il resto della popolazione, il monetone forte è una piaga. E’ una frusta. E’ una tortura per le loro vite, le loro aspirazioni, il loro futuro.
Avere un monetone forte, in altre parole, significa dover sacrificare qualcos’altro: uno stipendio dignitoso, la possibilità di poter risparmiare e nel contempo di poter spendere. Significa avere vincoli di bilancio ancora più stringenti di quelli che si avrebbero con una moneta normale (o debole, o fluttuante). Con il monetone forte le combinazioni di beni disponibili che una persona dispone diminuiscono. Ciò significa che quella persona si è impoverita.
La verità è che con il cosiddetto monetone forte, perché la moneta sia forte è necessario prendere il quid mancante da qualche altra parte. La moneta non diventa forte per legge, ma lo diventa perché il suo valore plus viene sottratto a qualche altra dinamica economica. Nel nostro caso, quale sarà quest’altra dinamica economica? Ma è ovvio! Il lavoro. E’ questa la dinamica che maggiormente viene sacrificata per costruire il monetone forte. Se decidi che la moneta, rispetto ad altre monete, deve avere un valore fisso e non svalutabile, devi compensare la mancata svalutazione della moneta con la svalutazione di qualcos’altro. In altri termini, se vuoi che i tuoi formaggi, nonostante la moneta forte, abbiano un prezzo competitivo all’estero (il mercato al quale ci si rivolge con il monetone forte), devi svalutare un altro fattore della produzione, quello che normalmente ha i costi maggiori. E questo non può che essere il lavoro, perché se è pur vero che un minor prezzo può essere dovuto anche a una riduzione delle tasse o, se vogliamo, a un uso più intelligente delle tecnologie, è anche vero che sia l’uno che l’altro, in un contesto di economia aperta, incidono comunque sui livelli salariali e occupazionali.
Il monetone forte dunque comporta inevitabilmente che si svalutino i salari. Cioè si trasferisca sul costo del lavoro la mancata svalutazione della moneta. Con un esempio matematico: se vogliamo che la moneta mantenga il valore di 1 e non diminuisca a 0,70 (cioè perda valore), dobbiamo far in modo che quel 0,30 in meno vada a incidere sul salario il cui valore è 1, che, con la svalutazione, diventa di 0,70, tenendo fermo il valore della moneta a 1.
Ora, qualcuno direbbe: okay, ci sta. Ma in che modo è possibile svalutare i salari?
La risposta è piuttosto semplice. Regola della macroeconomia dice che a un alto tasso di disoccupazione corrispondono salari più bassi. E’ una banale legge della domanda e dell’offerta. Se l’offerta di lavoro è bassa e la domanda è alta, i salari diminuiscono, perché ci saranno molti disoccupati disposti a lavorare per un tozzo di pane pur di “rubare” l’occasione ai concorrenti. E il tasso di disoccupazione con la feroce concorrenza al ribasso è uno dei fattori che contribuiscono a mantenere forte la moneta. Cioè, perché la moneta non si svaluti, è necessario che non si raggiunga mai la piena occupazione.
Ma un mercato aperto (cioè globalizzato) ha bisogno comunque di gente che lavora (per un tozzo di pane, ovvio). Dunque, è possibile che l’offerta di lavoro – soprattutto per i lavori meno qualificati – rimanga alta. Ecco allora che per raggiungere il medesimo scopo (la svalutazione dei salari) senza dover sacrificare eccessivamente la produzione in un determinato paese, si immette nel mercato ulteriore domanda di lavoro. Cioè non si riduce l’offerta, ma si incrementa la domanda. E precisamente viene incoraggiata l’immigrazione di massa. Questo fenomeno consegue lo scopo di riversare nell’economia un surplus di domanda a basso costo che, tenendo ferma l’offerta di lavoro, determina, inevitabilmente, un abbassamento dei salari.
L’ultima domanda è: perché?
Si è detto che la svalutazione dei salari serve per offrire, a prezzi competitivi, beni prodotti in un’economia che adotta il monetone forte (che serve peraltro a importare a prezzi inferiori). Ma non è solo questa la ragione. L’altra è connessa alla domanda sul perché si insiste nell’utilizzare il monetone forte, nonostante il medesimo obiettivo (la competitività economica) possa essere ottenuta svalutando la moneta (che però rischia di comportare importazioni più costose).
La risposta è l’inflazione. Il monetone forte serve per arginare l’inflazione. Ma, contrariamente a quanto si dice, il problema dell’inflazione come male assoluto da combattere, non è legata a una preoccupazione sulla diminuzione del potere di acquisto dei salari, quanto a una diminuzione del valore dei capitali. Perché se è vero che esistono meccanismi compensativi che salvaguardano il potere di acquisto dei salari in un contesto inflattivo, è meno vero che esistono quegli stessi meccanismi che salvaguardano il valore dei capitali. Sicché, i loro detentori preferiscono il monetone forte, che prende due… anzi quattro piccioni con una fava (salari da fame, produzioni concorrenziali, importazioni più convenienti e salvaguardia delle rendite finanziarie), piuttosto che un sistema dove la moneta è debole e l’inflazione erode le rendite, pur permettendo politiche di piena occupazione che favoriscono il benessere e il risparmio diffuso.
Fonte: https://www.davidemura.com/il-monetone-forte-e-la-deflazione-salariale-spiegata-facile-6843/
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