Parler non è più online, ultimo atto di un boicottaggio ormai totale: siamo al traguardo, dopo la cancellazione di Donald Trump da ogni social di massa esistente, oppure è un inquietante inizio? Intanto, mentre i censori soffocano, i canali distributivi escludono.
Parler, stop da Google ed Apple Store
Parler e il boicottaggio, un binomio già indissolubile. L’app che si proponeva come concorrente alle maggiori aziende attualmente sul mercato, infatti, non è più scaricabile dai maggiori shop online. Prima da Google, successivamente anche dall’Apple Store.
Un fuoco incrociato spietato, ormai diretto contro chiunque non sia allineato.
Qualcuno aveva detto nei giorni scorsi che Trump fosse iscritto a Parler, e che ci fosse un legame indissolubile tra il presidente americano e il social network. La notizia non è possibile da confermare: primo perché Parler, non essendo più visitabile, non permette alcuna verifica. E secondo perché non c’è prova attualmente che tra i numerosi fake di Donald Trump presenti sul social network vi fosse anche il profilo originale.
Dunque, come ha anche giustamente sottolineato Daniele Scalea del Centro Machiavelli sul suo profilo Facebook, “prendere di mira Parler non può essere ricondotto alle azioni di Trump: è proprio un attacco a ogni singola persona che non aderisca all’ideologia progressista. Ed è esattamente ciò che succede: Google ed Apple impediscono di scaricarlo dai loro store, dopo poche ore Amazon, che gli affitta i server, lo scarica. Parler non è più raggiungibile da qualche ora e il CEO, John Matze, ha già dichiarato che potrebbe non tornare mai, perché oltre ai tre giganti tutte le altre società che ha contattato rifiutano di prestargli servizio”.
Parler, boicottaggio anche da Amazon
Amazon, come ogni buon allineato che si rispetti, segue il boicottaggio di Google ed Apple e “caccia” Parler dai suoi server. La notizia è riportata da Rainews in modo quanto meno bizzarro. Se da un lato si riporta giustamente che “Amazon sta procedendo alla rimozione dai loro server di Parler, la piattaforma online privilegiata dalla destra americana, preferita rispetto a Twitter, perché non censura alcun contenuto”, il successivo passaggio cita che “è diventata un rifugio per alcuni utenti contrari alla politica di moderazione applicata dai social media più tradizionali”.
Ora, di “moderazione” nel caso dei social media “tradizionali” c’è ben poco. Ciò che si è visto negli ultimi mesi, se non addirittura anni, è solo un’operazione di cancellazione e ban arbitrario di più o meno tutti i profili o le pagine che non si allineino al pensiero liberale, globalista e progressista, e casi come quelli de Il Primato Nazionale sono emblematici: un giornale ha il diritto o meno di esporre idee sociali, economiche e nazionali divergenti da ciò che è comunemente diffuso nel mondo occidentale senza praticamente ostacoli da almeno trent’anni?
E in base a cosa censurarlo o cancellarlo costituirebbe “moderazione”? Il fatto che loro la definiscano tale? Perché così, scusatemi, è semplice. Anche io potrei prendere a legnate una persona che mi sta antipatica e decidere arbitrariamente di averlo fatto per difendermi. Ma andiamo avanti.
“Abbiamo assistito a un costante aumento di contenuti violenti sul sito web, il che viola i nostri termini di servizio”, afferma la lettera inviata a Parler dal colosso di Seattle per annunciare la sospensione del servizio. Nella lettera, Amazon manifesta preoccupazione per “il serio rischio che questo tipo di contenuti inciti ulteriormente alla violenza”.
Stesso discorso: si può trasformare in contenuto violento qualsiasi cosa, basta sostenere che opporsi a determinate dinamiche – letteralmente incontestabili e chi pensa ci sia una reale libertà è a questo punto un cretino, fine della storia – sia violento, magari anche un po’ fascista, e il gioco è fatto.
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