Il percorso del diritto cinese e il Nuovo Codice civile
di MARX XXI
(Maria Morigi)
Il Diritto tradizionale cinese ha le sue radici nelle “Cento Scuole di Pensiero“ cioè nel panorama culturale del periodo pre-imperiale, la cui prima testimonianza scritta e pietra miliare è il Classico delle Leggi (Fa jing) del V sec. a.C.. Per tutta l’epoca imperiale il Diritto fu concepito come diritto pubblico (penale e amministrativo) in cui erano previste anche norme di contenuto sociale, morale e di natura consuetudinaria, questo perché la Cina imperiale ha elaborato un sistema basato sull’interscambio tra diritto e cultura in assenza di un diritto omologabile ai canoni della civiltà occidentale. La società cinese tradizionale è infatti fondata su norme giuridiche con una netta prevalenza diatteggiamento etico; da sempre l’ordine sociale cinese è stato conforme ad una base morale che disciplina i comportamenti individuali al fine di armonizzarli con l’ordine naturale. Inoltre l’uso del diritto ha sempre rappresentato il conflitto -se non la rottura della pace sociale- venendo utilizzato solamente in ambiti marginali, specie nel campo della punizione dei reati, cioè quando i rapporti sociali si consideravano già compromessi. Questa visione è da attribuire al pensiero confuciano. La categoria del diritto civile era dunque estranea al diritto cinese tradizionale che NON distingueva tra penale e civile, ma tra LI(禮) ovvero riti, consuetudini e tradizioni, e FA(法) ovvero Diritto scritto dei codici dinastici, basato su violazione-sanzione. Le questioni civili erano regolate con la sola indicazione della sanzione, mentre le questioni private (rapporti patrimoniali, familiari e personali) erano delegate a corporazioni, clan, villaggi, famiglie.
Il diritto civile, come lo intendiamo noi, arrivò in Cina nel XIX secolo, portato dall’imperialismo occidentale che sradicò il sistema tradizionale introducendo nuovi concetti e nuovi linguaggi.
La prima produzione di un diritto esclusivamente civile si ebbe soltanto nel 1911 con il Da Qing Minlü cao’an, ovvero “Bozza del codice civile della grande dinastia Qing”, che non venne promulgata e non divenne mai un codice vero e proprio a causa della caduta dell’impero e della fondazione della Repubblica di Cina.
È dunque dal XIX secolo che la Cina si pone il problema di come riformare il proprio sistema giuridico, avviando un dialogo con l’Occidente che passa attraverso varie fasi: da una iniziale per cui si studiano le categorie e le tecnologie del mondo occidentale per poterlo contrastare, a una successiva orientata ad utilizzare gli strumenti occidentali mantenendo una base culturale cinese, fino all’esigenza attuale di costruire un dialogo paritetico con la cultura occidentale. Lungo questo percorso la Cina si è aperta alla comprensione dei modelli occidentali, ha tradotto e comparato codici civili e letteratura giuridica, molti giuristi cinesi si sono formati studiando in Occidente. Tutto ciò ha portato alla creazione di un nuovo linguaggio giuridico.
Il periodo a guida Kuomintang segnò la transizione, promulgando nel 1931 il primo Codice civile, in vigore in Cina fino al 1949 e tuttora vigente a Taiwan. La nascita della RPC nel 1949 ha rotto con il passato, abrogando tutti gli atti legislativi precedenti in vista di un sistema basato sul pensiero marxista-leninista. Tuttavia Mao stesso aveva riconosciuto la necessità di un codice civile, cosicché la Repubblica popolare più volte tentò di arrivare a una sintesi organica e aggiornata delle leggi che regolano vita individuale e associativa, lavoro e impresa. Ad impedire il raggiungimento di un risultato furono nel 1956 la Campagna dei Cento fiori e nel 1962 le tensioni seguite al Grande Balzo e il conflitto con l’India.
Quando nel 1979 Deng Xiaoping intraprese la politica della Porta Aperta e delle riforme, il progetto di un codice ritornò tra gli obiettivi politici, ma i tempi non erano ancora maturi e il tentativodi Peng Zhen (ex sindaco di Pechino e presidente dell’Assemblea Popolare Nazionale) e Xi Zhongxun (funzionario di Partito e padre del presidente Xi Jinping) per completare un codice socialista a caratteri cinesi venne accantonato per la difficoltà di individuare regole precise in un tempo di evoluzione socio-economica accelerata. Si preferì, di conseguenza, la politica del passo dopo passo, che diede luogo dal 1986 alla promulgazione di un insieme di leggi settoriali (Legge sui contratti nel 1999, Legge sui diritti reali nel 2007) per regolamentare matrimonio, eredità, adozione, contratti ecc.che confluiscono nel testo “Principi generali del diritto civile”.
Già nel 2012, appena diventato leader del Partito e non ancora presidente, Xi Jinping comunica l’ ambizioso progetto per l’obiettivo di lungo termine: rendere la Cina un paese interamente sviluppato entro il 2049 su linee programmatiche in campo economico, politico, diplomatico, scientifico, militare per una società retta da equità e giustizia, etica e cultura, in cui si realizzi l’armonia della pacifica convivenza delle classi sociali e la “bellezza” generata dalla cura per il pianeta, garantendo la salute e un basso tasso di inquinamento.
Sotto la leadership di Xi Jinping vengono ripresi i lavori per un Codice civile. Il documento programmatico del Comitato Centrale del Partito, nel 2014, annuncia ufficialmente il prossimo Codice imperniato su una tradizione dai caratteri cinesi enon più in debito con modelli stranieri.
In Marzo 2017 l’Assemblea Nazionale del Popolo approva le disposizioni generali del nuovo Codice fissandone la promulgazione nel 2020. Le nuove disposizioni, 206 totali, aggiornano i Principi generali del 1986 per entrare in vigore a partire dal 1 ottobre 2017.
Approvato il 28 maggio 2020 il Codice civile è in vigore da gennaio 2021: un traguardo raggiunto in occasione del Centenario del Partito Comunista per fare della Cina un paese avanzato in ogni settore, tra cui il diritto, pilastro della società. L’unità storico-politica della Cina si traduce in unità legislativa che raccoglie il lascito del passato e traccia le linee del futuro cammino.
Il Codice dunque rinforza lo stato di diritto, potenzia l’economia socialista di mercato, stabilendo una regolamentazione certa e coerente dei rapporti commerciali, domestici e internazionali, rende la società e la vita quotidiana più equa e giusta. É “espressione dello spirito del popolo cinese”, come definito nelle istruzioni che accompagnano la bozza.
Sette libri e 1260 articoli, il prodotto dell’aggregazione di norme precedenti in un sistema coerente, accessibile e uniforme. Nella parte generale si afferma la centralità della proprietà, intesa quale diritto non assolutistico, calato in una dimensione sociale triplice (pubblica, collettiva e privata). Punti significativi sono: i diritti reali per una protezione della dignità della persona (diritto alla privacy, età della responsabilità civile, protezione dei dati personali ecc.); diritto di abitazione che garantisce la protezione del luogo di residenza ed essenziali condizioni di vita ai meno abbienti; strumenti finanziari e tipologie di contratto rispondenti alle esigenze di un’economia complessa e internazionalizzata; l’articolo 9 per cui le attività civili devono contribuire alla conservazione delle risorse e alla protezione dell’ambiente nel segno della sostenibilità e della costruzione di una “società ecologica”; l’articolo 1010 sulle molestie sessuali, che prevede, oltre alla responsabilità civile, l’obbligo per enti pubblici e privati di adottare misure preventive e d’intervento; temi quali ricerca genetica, diritti dei feti e studi sugli embrioni. Da segnalare l’introduzione del criterio di ragionevolezza, heli (合理), nato nella tradizione e segno della presenza di elementi tipicamente cinesi con cui la Cina afferma la sua indipendenza da modelli stranieri.
Il vicepresidente del Congresso, Wang Chen ha affermato che il nuovo Codice civile influirà significativamente sulla vita di 1,4 miliardi di cinesi, coniugando le tre anime della cultura cinese: tradizione, socialismo con caratteristiche cinesi e assimilazione dei modelli occidentali.
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