Chi ha ucciso Mattei?
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Federico Mosso)
La verità intorno all’omicidio di Enrico Mattei è in un documento della CIA del 1962 (se esiste). Intanto, dobbiamo leggere “Ho ucciso Enrico Mattei”, il micidiale romanzo di Federico Mosso. Che qui svela le carte e le strategie letterarie
Quanto più grande è il delitto, tanto più ovvio è il movente, scriveva Sir Arthur Conan Doyle.
Dunque, alla domanda:
Perché è stato ucciso Enrico Mattei?
Si risponde:
Enrico Mattei è stato ucciso per impedire all’Italia di diventare una potenza internazionale.
Ecco, tutto in una frase. È un esercizio che faccio innanzitutto per me stesso, per riassumere in una sola espressione il mio intero romanzo. Per spiegare in modo esauriente tutte le ragioni che hanno portato ad ordire il complotto mortale, ci vorrebbe in realtà un saggio storico di un centinaio di pagine e oltre, ma all’interno di Ho ucciso Enrico Mattei credo che il lettore possa trovare numerose risposte, sintetizzabili nella frase sopra.
Il mio lavoro si è sviluppato su tre punti essenziali combinati tra loro: una verità storica, un’ipotesi, un’idea di fantasia.
Verità storica: Enrico Mattei è stato ammazzato. I dubbi se si fosse trattato di un incidente o attentato sono stati fugati dall’inchiesta condotta dal magistrato Vincenzo Calia dal 1994 al 2003, che ha dimostrato che l’aereo di Enrico Mattei è stato sabotato. Grazie al lavoro di Calia, il sospetto è divenuto verità. Non più ipotesi, immaginazione complottista, gusto per l’intrigo, ma fatto storico oggettivo. Se prima della conclusione dell’inchiesta si poteva ancora dibattere se fosse stato piazzato un ordigno o meno, e se il Morane-Saulnier MS-760 Paris I-SNAP fosse precipitato per un’avaria o per un errore del pilota, ora non si può più. Chi ancora scrive o parla di “tragica fatalità” o di “misterioso incidente” lo fa per ignoranza o malafede. L’instancabile e metodico lavoro di depistaggio e occultamento prove successivo a Bascapè, dà ancora i suoi frutti cattivi a distanza di sessant’anni.
Ipotesi: se sappiamo con certezza che Enrico Mattei è stato vittima di un delitto premeditato, d’altro canto non abbiamo le prove schiaccianti per indicare i colpevoli del complotto. Le indagini e i testi sull’argomento suggeriscono vari nomi, di cui alcuni ritornano in quasi tutte le fonti. Personalmente, in questa mia ricostruzione ibrida tra Storia e narrativa, ne ho individuati alcuni, americani e italiani. La mafia agì solo sullo sfondo, a supporto logistico, perché l’operazione si realizzò in Sicilia, loro dominio. Per certe cose si doveva chiedere il permesso. Non si ha la certezza di questi ed altri nomi, sono solo sospetti, ipotesi di colpevolezza.
Idea di fantasia: qua entra in gioco il mio romanzo. Se sappiamo per certo che Mattei è stato assassinato e possiamo suppore le identità dei mandanti, non abbiamo la più pallida idea di chi sia stato l’esecutore del piano, colui che con professionalità e abilità ha piazzato l’ordigno di esplosivo al plastico tra i componenti del bireattore presidenziale. Ci sono alcune fonti che parlano di tre uomini senza nome, di cui uno in divisa da carabiniere, che si aggiravano nell’hangar dell’aeroporto di Fontanarossa dove era costudito il jet Morane-Saulnier dell’ENI. Si dice anche della presenza a Catania quel 27 ottobre del boss della mafia italoamericana Carlos Marcello. O anche di un sicario della mala francese assoldato per l’occasione. Ma sono solo voci che non si possono verificare e allora mi sono immaginato il misterioso Joe, killer italiano ex-spia infedele del regime fascista passato dalla parte degli americani per convenienza. Joe, l’assassino materiale del delitto Mattei, alias Oreste Lucciani, alias Umberto Malinberi, è pura invenzione in uno sfondo di ipotesi e verità storiche.
La libertà che mi ha dato la scelta del romanzo invece che l’ennesimo saggio storico d’inchiesta è stata straordinaria. Certo, occorre l’obbligatoria premessa inziale questo non è un libro di Storia ma un romanzo e come tale deve essere letto. Tramite questa formula si ottiene libertà di movimento in cambio della responsabilità storica – oggettiva, rigorosa e disciplinata – che la Storia come materia richiede nei suoi testi. Insomma, scrivere un romanzo storico esige una diversa responsabilità rispetto a un’opera di Storia tout court che non può e non deve divulgare invenzioni o ricostruzioni di fantasia. Meno responsabilità con i lettori = più libertà. Voi lettori che siete arrivati fino alla conclusione della vicenda e state leggendo queste righe sapete di esservi avventurati in un racconto d’immaginazione. Però…
Il però che pongo scaturisce dalla prospettiva di analisi storica che l’avventura noir dell’antieroe Joe mi fornisce. Mi spiego. Immaginiamo di essere in un laboratorio e di essere degli stregoni che vogliono trovare una pozione magica che permette a chi la ingerisce di viaggiare indietro nel tempo. Allora, mischiamo lo studio storico, ingrediente per la scenografia della nostra narrazione, assieme alla fantasia del racconto. Mescoliamo l’intruglio stregonesco tra vapori inebrianti e fumi allucinatori. Tracanniamo il beverone. Viaggiamo dal 1943 al 1975, osservando trent’anni italiani con gli occhi di un personaggio d’immaginazione. È un modo completamente fuori dall’accademia per studiare la Storia, viaggiando nel tempo drogati di fantasia. Sappiamo che il nostro mezzo, la nostra macchina del tempo – nel nostro caso il killer Joe che racconta quello che vede in prima persona – è inventato, ma parte di quello che vede e descrive è un passato reale. Pertanto, la fantasia non è solo il grande gioco dei creatori di mondi paralleli, la fantasia può essere anche un metodo d’indagine storica.
La caratteristica di verosimiglianza che presumo aver tenuto fino alla fine nella narrazione (fatta esclusione per i racconti “metafisici” all’inizio di ogni parte e a conclusione del tutto), merita un appunto. Si potrà obiettare che la verosimiglianza vada a mancare per alcune situazioni assurde e certi personaggi grotteschi. Ad esempio la scena della caccia all’uomo sulla sinistra isola nel Maine, o il folle membro dell’OAS senza orecchio di Etienne “L’Oreille” detto anche “La Mort”. Il lettore potrebbe bollare queste invenzioni come esagerazioni, bizzarrie scelte dall’autore per mettere pepe alla sua storia di agenti segreti e intrighi. Ma credetemi, la creatività delle spie, quelle realmente esistite, non ha limiti. Basti pensare agli studi fatti per far fuori Fidel Castro o agli esperimenti perversi con LSD per controllare le menti, alle infiltrazioni nei movimenti di protesta dove spesso gli agenti infiltrati superavano in eccentricità chi infiltravano, a loschi figuri vissuti per davvero del calibro di Joseph Schneider lo “Stregone Nero” della CIA, esperto di allucinogeni a scopi spionistici e avvelenatore professionista. Faccio a gara con le spie su chi sia dotato di più fantasia, se io autore di questo romanzo o loro, arzille barbe finte…
Una buona parte del lavoro è stata di studio. Il punto di partenza dell’indagine per capire il contesto che ha portato all’esecuzione e alla successiva e articolata opera di insabbiamento è stato il fondamentale Il Caso Mattei – Le prove dell’omicidio del presidente dell’ENI dopo bugie, depistaggi e manipolazioni della verità (Chiarelettere, 2017) scritto a quattro mani dal magistrato Vincenzo Calia e dalla giornalista Sabrina Pisu. Libro non solo d’inchiesta, ma di importanza storica perché spiega che di attentato si è trattato –al di là di ogni ragionevole dubbio – oltre a raccontarci di manovre nell’ombra, di depistaggi, di menzogne lunghe decenni, di calunnie, di giornalisti mercenari.
Profondo Nero – Mattei, De Mauro, Pasolini (Chiarelettere, 2009) di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza è un ottimo testo che fa una buona sintesi dell’inchiesta di Calia, anticipandone le conclusioni del suo Il Caso Mattei (Profondo Nero è del 2009, Il Caso Mattei del 2017) e che aggiunge al collegamento delle morti di Mattei e De Mauro anche la successiva morte violenta di Pier Paolo Pasolini. Da Lo Bianco e Rizza ho preso in prestito l’idea suggestiva e tragicomica della cassaforte di Mattei aperta dal curioso sottoposto infedele, beccato con le mani nella marmellata; spero non me ne vogliano.
Poi, per capire a fondo l’opera imprenditoriale di Enrico Mattei, la sua ambizione smisurata e la visione negli affari, nell’economia nazionale e nel ruolo dell’Italia nel mondo, è stata lettura preziosa la raccolta dei suoi Scritti e discorsi 1945 -1962 (Rizzoli, 2012), un tomone di oltre mille pagine odorose di idrocarburi, che fornisce un’essenziale chiave di lettura dell’intera epopea ENI prima della scomparsa del suo fondatore. Attraverso discorsi pubblici per inaugurazioni d’impianti, per anniversari politici, per spronare le maestranze, o attraverso le interviste televisive (vivaci e ricche di aforismi d’effetto) o gli interventi piccati sui giornali che lo attaccavano, si ottiene un ritratto del personaggio storico. Se si vuole capire Mattei, non si può trascurare questa sua vasta eredità scritta.
Veniamo al famoso Petrolio di Pier Paolo Pasolini: turbine di parole, ciclone di appunti e idee, una tempesta caotica di visioni oniriche, affresco incompiuto di un’opera che sarebbe diventata colosso letterario italiano. Ma appunto, è un lavoro assolutamente incompleto (a noi è arrivato un quarto di quello che era nelle intenzioni del poeta), e di difficile approccio. Questa non è la sede opportuna per un’analisi del testo arrivato fino a noi. Basti sapere che il famoso Appunto 21 – Lampi sull’ENI è scomparso. Che mistero, basterebbe questo spunto per ricamarci sopra un romanzo thriller dal titolo Il capitolo scomparso o qualcosa di simile. Petrolio sarebbe dovuto essere un’arma carica puntata contro il potere – un certo potere – e una critica spietata ai cambiamenti sociali e culturali che stavano investendo l’Italia nel periodo in cui è stato abbozzato. Il testo di Pasolini – rimasto incompiuto perché hanno ammazzato l’autore – a mia modesta opinione va aperto con spirito da esploratori. Non c’è da martellarsi tanto il cervello nel trovare un filo di Arianna in una trama resa criptica e singhiozzante dagli eventi tragici e inattesi, ma cogliamo l’opportunità lasciataci da Pasolini con Petrolio per cercare, come avventurieri della parola scritta, pensieri, panorami, sogni. Anche se fuori tema, permettetemi uno scorcio, uno e uno solo, ritagliato da Petrolio:
«Non c’era più curiosità per niente. Tutto era già obbligatoriamente noto. C’era solo l’ansia nervosa – che rendeva brutti e pallidi – di consumare la propria fetta di torta».
Pasolini, nella stesura della bozza di Petrolio, tra le fonti d’ispirazione ebbe il libro Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente di Giorgio Steimetz, che gli fu utile per ritrarre la figura di Aldo Troya. Introduciamo allora i libri maledetti consultati per il mio Ho ucciso Enrico Mattei. Sono due. Il già menzionato Questo è Cefis,scritto da Corrado Ragozzino dell’agenzia di stampa Milano Informazioni con la copertura del nome finto di Steimetz, e appena uscito subito ritirato dagli scaffali delle librerie, è un lungo j’accuse contro il potente Eugenio Cefis, figura di grande burattinaio occulto dagli interessi tentacolari. La forma si articola in tono beffardo, divertito, canzonatorio, alquanto arzigogolato. C’è da immaginarsi Eugenio Cefis viola di rabbia a leggere quelle pagine al vetriolo, e infatti il libro sparì dalla circolazione in quattro e quattr’otto, diventato proibita rarità da collezionisti. Grazie a qualche altra anima curiosa e pestifera, Questo è Cefis è ora reperibile gratuitamente in rete. L’altro testo maledetto è Il malaffare – dall’America di Kennedy, all’Italia, a Cuba, al Vietnam del cineasta torinese Roberto Faenza. Scrivo maledetto come per Questo è Cefis, perché anch’esso quando nel 1978 uscì con la prestigiosa Mondadori fu immediatamente tolto dal commercio per pressioni politiche. Sono riuscito a consultarlo nell’unica biblioteca torinese che ne conserva una vecchia copia sgualcita. A mio avviso è un libro interessantissimo, ben argomentato e documentato; Faenza realizzò un’opera d’inchiesta che oggi vale come un ottimo libro di Storia: intrighi e manovre nell’ombra degli anni ’60, dai Kennedy, a Castro, al Congo, passando tra segreti e poteri di casa nostra. Le tresche su Cuba sono davvero gustose, con tutte quelle storie di spie e gangster. Bello, mi piacerebbe conoscere i retroscena sulla censura che il libro subì, su chi fu o furono i fautori dell’oscuramento. Il malaffare sarebbe da ripubblicare.
Aggiungo altri due titoli che mi sono serviti per lo studio preparatorio al mio romanzo: Storia della Mafia (Newton Compton Editore, 1998) di Giuseppe Carlo Marino e La mia vita nella CIA di William Colby (Ugo Mursia Editore, 2005). Il primo mi ha aiutato per raccontare i rapporti mafiosi con i servizi segreti americani OSS durante lo sbarco alleato in Sicilia, il secondo per capire dinamiche e mentalità della CIA nel mezzo della guerra fredda visto che sono le memorie di un funzionario di alto livello dell’intelligence di Washington, che fu direttore della CIA dal 1973 al ’75 e che ho inserito anche nel mio romanzo. Un capitolo della biografia di Colby è dedicato alle sue attività in Italia durante gli anni ’50 quando era agente a Roma, ma non pensiamo di trovare tra le pagine chissà quale mistero svelato, Colby non si sbottona troppo, anche in pensione è rimasto un buon agente segreto.
A Londra e Washington si discuteva molto del troppo ambizioso Mattei, del suo progetto visto come un ostacolo allo strapotere delle grandi compagnie petrolifere, le cosiddette Sette Sorelle i cui interessi esteri spesso convergevano con quegli degli Stati Uniti e di Gran Bretagna. Convergenza ovvia, visto che si parla di petrolio, il bene energetico, strategico e vitale, alla base della geopolitica mondiale dalla seconda guerra mondiale in poi. In rete si trova un’eloquente raccolta di documenti del Foreign Office. Sono dispacci britannici riguardanti Enrico Mattei dal 1957 al 1961, raccolti e tradotti dal saggista e esperto di archivi anglosassoni Mario José Cereghino. Quando L’ENI si affacciò all’estero con la sua politica aggressiva che minò il tradizionale e “sacro” principio del fifty-fifty tra paesi possessori di giacimenti petroliferi e le grandi compagnie anglo-americane, gli inglesi ne furono naturalmente irritati. Tra le tante indiscrezioni nei messaggi tra l’ambasciata britannica a Roma e i funzionari d’alto grado del Foreign Office di Londra, riporto a titolo d’esempio:
«Mattei punta in alto. A nostro parere, è un manager tosto e un uomo potente nonché pericoloso».
«Gli italiani sono alleati nostri e degli Stati Uniti nell’ambito della NATO. Inoltre, essi dipendono dagli Stati Uniti per gli aiuti economici. Sarebbe un peccato se, senza prima consultarsi con noi, si imbarcassero in un’impresa volta a mettere in crisi i delicati equilibri petroliferi in Medio Oriente».
«Mattei è ansioso di ridurre la dipendenza italiana dalle maggiori compagnie petrolifere, ed è un tipo che non si ferma dinanzi a niente pur di raggiungere i suoi obiettivi».
«Egli è l’apostolo delle imprese statali. Tuttavia, molti ritengono che la sua psicologia si avvicini molto al concetto de “Lo Stato sono io”».
«Mattei e l’Eni non sono fenomeni transitori. E non scompariranno solo perché le imprese petrolifere britanniche si rifiutano di affrontare la questione».
Ho consultato poi l’archivio digitale messo a disposizione dalla CIA per tenere fede al Freedom of Information Act (FOIA), traducibile in “Legge sulla libertà di informazione”, dove sono pubblicati una serie di documenti desegretati inerenti alla questione Enrico Mattei. Usando come parole chiave “Mattei”, “ENI”, “Cefis” e altro, ne vengono fuori di cose interessanti sull’“Italian Oil Czar”. Tra le righe oscurate da OMISSIS e le pagine “Denied” si evince la forte preoccupazione americana nei confronti della politica energetica attuata da Enrico Mattei. Preoccupazione divenuta poi ostilità. Nei rapporti dell’intelligence americana emerge di certo un’attenzione particolare rivolta a Mattei, quasi come se fosse messo al centro di un mirino, ma mancano ovviamente prove inconfutabili e pistole fumanti. Negli appunti dell’intelligence nessuno mai si sarebbe sognato di scrivere e tramandare frasi esplicite che ammettessero chiaramente la volontà di assassinio. Queste cose le scriviamo noi scrittori, non le spie, discrete per natura. Però non tutto viene declassificato e desegretato, dipende se le informazioni risultino essere sensibili per la sicurezza degli Stati Uniti. Un segreto, anche se vecchio di sessant’anni, può fare ancora dei danni se di pubblico dominio. Se mai si trovassero delle chiare ammissioni sul coinvolgimento della CIA nell’attentato a Mattei pensiamo a che ripercussioni si avrebbero sui rapporti diplomatici tra Italia e Stati Uniti. L’eco dell’esplosione nel cielo sopra Bascapè si udirebbe di nuovo. Voglio dire, sarebbe la prova storica non solo di un’ingerenza spudorata nei nostri affari, ma una confessione di un delitto maturato con mentalità e metodi mafiosi, contro un importante personaggio pubblico italiano, quindi un attacco violento di uno Stato contro un altro Stato. Certo, possiamo fare tutte le considerazioni che vogliamo sulla sudditanza italiana alla NATO e agli Stati Uniti dal 1943-45 in avanti, ma un conto è ragionare sull’evidenza di basi militari e di una politica estera allineata e che spesso sacrifica il nostro interesse nazionale, altra cosa è invece sapere senza ombra di dubbio che si è compiuto un assassinio in nome di questa sudditanza, un attentato pianificato e realizzato per togliere di mezzo un uomo potente e incontrollabile che era diventato molto scomodo e che avrebbe potuto portare l’Italia verso un’indipendenza troppo marcata dall’influenza americana. Certi progetti di grandezza non potevano essere contemplati da parte di uno Stato suddito, questo il movente più che credibile, ma la prova del coinvolgimento diretto dei servizi segreti manca. Immaginate se si trovasse la prova che terremoto si scatenerebbe, non solo dal punto di vista della verità storica, ma dal punto di vista della politica estera odierna. E oggi che tutti i possibili testimoni e responsabili della vicenda sono morti, mi chiedo: ma questa prova esiste? E se sì, dove si cela? Queste sono le domande a cui gli storici e ricercatori devono impegnarsi a dare una risposta, non solo per soddisfare una curiosità storica, ma per dare soddisfazione ad un senso di giustizia, e per l’Italia. C’è una traccia minuscola, una piccolissima impronta, che forse potrebbe essere un punto di partenza per nuove indagini sul caso Mattei. Da un atto archiviato della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi istituita nella XIII legislatura, nel capitolo Il contesto delle stragi – una cronologia 1968-1975 spunta il nome di Karamessines associato a un rapporto CIA da lui redatto. Leggiamo: «Karamessines è anche il presunto autore del rapporto della stazione CIA in Italia del 28 ottobre 1962 sulla morte di Mattei che il governo degli Stati Uniti ha coperto con il segreto di Stato e perciò negato agli inquirenti italiani».
E allora ci si chiede: 1. Il documento esiste? 2. Quando e da quale inquirente italiano fu chiesta la visione del documento? 3. Se esiste tale documento negli archivi CIA, è ancora coperto dal segreto di Stato?
Basterebbe rispondere affermativamente alla prima domanda e già si avrebbe in mano una prova, anche senza visionare il documento. Sarebbe un’ammissione da parte degli Stati Uniti, che sì, esistono dei segreti che loro ben conoscono sul caso Mattei e che tali segreti sono così delicati ed esplosivi da rimanere ancora oggi sotto chiave. Sarebbe come trovarsi davanti ad una porta chiusa, non sapere esattamente cosa si cela dietro essa, ma essere dinnanzi a tale porta proibita significherebbe che c’è effettivamente una verità occultata e dunque un coinvolgimento dell’intelligence americana nella faccenda. A mio parere storici e inquirenti dovrebbero indirizzarsi verso questa pista: sapere se il rapporto CIA del 28 ottobre 1962 sulla morte di Mattei esiste, e se sì, tentare di recuperarlo. In quelle pagine c’è la verità sul caso di Enrico Mattei, la risoluzione del giallo.
L’attentato al Morane-Saulnier con l’esplosivo al plastico non è stato solo un omicidio politico di alto livello, ma un colpo di Stato, essendo l’ENI Stato nello Stato. Giro di parole: colpo di Stato nello Stato. Questa è una buona chiave di lettura: studiare il caso Mattei non solo come un delitto, ma come un disegno non dissimile da un golpe realizzato con un regicidio.
L’attentato è stato quasi perfetto nella sua esecuzione. Dico quasi perché se fosse stato assolutamente perfetto oggi non saremmo qui a parlarne. Nel “quasi” c’è l’eccessiva quantità di esplosivo piazzato, che sì ha fatto schiantare l’aereo ma che ha lasciato tracce inequivocabili, nonché alcuni errori nella macchina di occultamento messa in piedi per nascondere la verità. Macchina di occultamento efficace, sicuramente, ma che ha lasciato impronte al suo passaggio. Un attentato studiato e portato alla sua fase finale di “Executive action” quasi alla perfezione, ma anche gli attentati sono fatti da uomini, non da entità soprannaturali, e gli uomini anche se molto preparati compiono errori.
È interessante inoltre mettere a confronto le due figure storiche che si sono succedute alla guida dell’ENI: Enrico Mattei ed Eugenio Cefis. Mattei ha lasciato ai posteri una ricca testimonianza orale e scritta, raccolta nei suoi Scritti e discorsi 1945 -1962, volume di 1000 pagine di cui abbiamo già parlato. Cefis, invece, ha lasciato molto meno. Ma basta prendere il suo discorso agli allievi ufficiali dell’Accademia militare di Modena e paragonarlo con l’eredità del suo predecessore. Due visioni agli antipodi. Mattei per l’Italia, Cefis per le multinazionali. I due mostravano due mentalità opposte nell’esercitare il potere. Mattei uomo politico delle grandi folle, dei proclami tra le fanfare, dei comizi davanti ai dipendenti, della vanità sui giornali e sui media, Cefis, all’esatto contrario, potente nell’ombra, silenzioso, discreto fino all’estremo, attentissimo che il proprio nome e la propria immagine circolassero il meno possibile. Associando i due ad altrettante figure storiche (esagerando e scherzando un po’) Mattei appare come un Napoleone, Cefis come un Andreotti.
E infine, ci chiediamo: ma se Mattei l’avesse scampata e non fossero riusciti ad ucciderlo? Qua si è nel divertente gioco dell’ucronia, nella Storia fatta coi se, e dunque Storia che non è più tale, perché si imbocca un sentiero di pura fantasia, lasciata ancora più libera di sfogarsi rispetto al contenuto del mio romanzo storico. Ma una congettura la si può fare, riprendendo le parole di Enrico Mattei che il fratello Italo ha confidato in un’intervista alla rivista «Oggi»del 7 dicembre 1972, e riportate nel libro di Calia e Pisu Il Caso Mattei: «Voglio ancora cinque anni di tempo, e trasformerò l’Italia in un modo tale che non si potrà più farla tornare indietro. Poi mi ritirerò».
Un progetto incompiuto.
Italia, 27 ottobre 1962, accadde in una notte buia e tempestosa.
Fonte: https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/storia/mattei-mosso-libro/
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