Se vi dicessero che per difendere la libertà di espressione hanno licenziato una persona che ha espresso delle opinioni (anche controverse), quale sarebbe la vostra reazione? È quello che la Disney ha appena fatto a una attrice texana, Gina Carano. Si tratta di una vicenda che illumina la guerra culturale in corso oltre oceano che, con qualche svogliatezza, sta per raggiungerci (se non lo ha già fatto).
Prima i fatti. L’attrice Gina Carano, una donna coraggiosa che aveva mosso i primi passi come atleta professionista di arti marziali miste nel campionato americano (MMA), è diventata una popolare attrice grazie al personaggio di Cara Dune (donna mercenaria forte e decisa) nella serie televisiva “The Mandalorian” in streaming sul canale Disney+.
Nelle scorse settimane, Carano si era espressa in modo contrario alle opinioni prevalenti nel partito democratico americano sia sul Covid che sulla libertà di espressione e di parola negli Stati Uniti. In particolare, dopo la sconfitta di Trump, ha fatto scalpore un suo tweet nel quale paragonava l’intolleranza contro le opinioni dei repubblicani al trattamento riservato agli ebrei nella Germania nazista (una ennesima conferma della legge di Godwin, volendo!).
A questo punto il suo datore di lavoro, senza indugio, l’ha licenziata (o non riconfermata, il che è lo stesso dato il sistema di assunzioni in America). Davvero? Per dimostrare che Carano aveva torto nel sostenere che non ci fosse libertà di espressione, la Disney l’ha licenziata per quello che ha detto. Non vedete l’ironia?
Il punto non è se la posizione di Carano sia corretta o meno, il punto è se una persona ha diritto di esprimere la sua opinione (cosa che oggi si fa su Twitter più che al bar) senza dover temere di essere punita. Questo è qualcosa di più grave delle lotte interne alla Disney: è ammettere che, da domani, si possa essere licenziati per le proprie idee. Sarebbe come se ci fosse un elenco di idee corrette (che in questo momento negli Stati Uniti corrispondono a grandi linee alla ideologia dei democratici e alla cultura Woke) e che ogni altra idea non si possa esprimere a meno di essere legittimamente puniti, pubblicamente o privatamente.
Il problema, sia chiaro, è passare la linea di confine tra idee e persone, come se, chi ha idee diverse dal gruppo dominante, sia automaticamente una persona “cattiva” o “indesiderabile” con cui non è bene essere associati. Cioè, nel caso sopra, si accetta il principio secondo cui la Disney avrebbe diritto di licenziare Carano perché sarebbe una persona indesiderabile con cui non si vuole essere associati (assumerla o far sapere che si va a cena insieme, tanto per dire).
Ancora peggio è il silenzio di tutti coloro che accettano l’operato della Disney solo perché una compagnia sarebbe legalmente autorizzata a licenziare un suo dipendente. Ma possiamo accettare che si venga puniti per una opinione? Ed è questo il punto, avere una opinione, per quanto controversa, non può mai essere qualcosa in base al quale si viene condannato e/o reputati indesiderabili.
Una volta queste discriminazioni valevano per omosessuali, ebrei, zingari, persone di colore, indesiderati vari. Avere superato la differenza tra le opinioni e le persone è stato il più grande progresso dell’ultimo secolo. Cantava Guccini, «io ubriacone, io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista, io ricco, io senza soldi, io radicale, io diverso ed io uguale, negro, ebreo, comunista, io frocio», ma alla Disney e negli Stati Uniti evidentemente sono tornati indietro.
Un secolo fa nessuno si sarebbe stupito di vedere qualcuno licenziato perché, per esempio, colto a letto con una persona del suo sesso. Oggi, giustamente, pensiamo che questo sarebbe una carognata, una ingiustizia intollerabile. Beh, discriminare sulle idee è forse anche peggio che discriminare in base ai gusti sessuali. Insomma, alla Disney siete liberi di andare a letto con chi volete, ma non di pensare quello che volete.
La Disney si veste di ipocrisia e perbenismo per giustificare la propria esistenza (un po’ come i nobili del passato si circondavano di opere d’arte per propagandare la loro presunta superiorità morale). Il coraggio di Carano di opporsi a una compagnia multimilionaria come la Disney (ricordiamo, proprietaria della Marvel, di Disney+, della LucasFilm con 130 miliardi di dollari di fatturato e 300.000 dipendenti) la fa essere una re Leonida dei nostri tempi. Come il re spartano, la giovane attrice Texana ha rifiutato di inginocchiarsi all’imperatore dei media, il Ceo Disney Bob Iger.
Vale la pena di aggiungere ancora qualche dettaglio alla vicenda che si intreccia con quasi tutto quello che è successo negli Stati Uniti (e nel mondo) negli ultimi anni. Da un lato l’avanzare di una mentalità fondamentalista che si è generata da giuste istanze di difesa delle minoranze e di equilibrio sociale, una mentalità che si è trasformata nel mostro a più teste del #metoo, della cancel culture, della mentalità woke, dei SJW (Social Justice Warrior) che, come ogni forma di fondamentalismo ideologico non hanno più tolleranza per i dissidenti.
Come i parabolani che scorticarono a morte Ipazia, così questi movimenti non si accontentano di difendere le loro idee, ma condannano e cancellano le persone che hanno idee diverse. Ad Alessandria, i difensori delle minoranze, i cristiani del II secolo che erano nati per difendere schiavi e deboli, si trasformarono nelle orde violente del vescovo Dioscoro. Oggi, chi difendeva minoranze di vario tipo, vuole la punizione di Carano. È il passaggio dal peccato al peccatore e i giusti, finalmente giustificati nella loro fame di vendetta, hanno la scusa per poter chiedere la testa degli empi. In questo caso Gina Carano.
Con coraggio, Carano si è opposta e non ha ceduto né alle minacce né alle lusinghe della regina e del re del mondo Disney, rispettivamente Kathleen Kennedy e Bob Iger, anzi ha – per parafrasare il più famoso titolo della saga di Star Wars – colpito ancora.
Carano strikes back! In una intervista a Ben Shapiro su The Sunday Show a sole 24 ore dal licenziamento, Carano ha rilanciato le accuse alla sua società, sostenendo, come è lecito credere, che tanti nella sua ex-compagnia abbiano idee proprie, ma non abbiano il coraggio di parlare pubblicamente.
Possiamo accettare che le grandi multinazionali, spinte dal giustizialismo di alcune correnti di opinione (come il #metoo o la cancel culture), si facciano ghigliottina per soddisfare gli appetiti degli haters da divano? Possiamo accettare che la Disney sia come il procuratore della Giudea e chieda alla folla se crocifiggere qualcuno? È dalla piazza di Facebook, Instagram e Twitter che le persone, con i loro cellulari, danno sfogo al loro odio per chiunque non sia “giusto” come loro si sentono essere. È storia vecchia: si odiano e si condannano gli altri per sentirsi migliori.
Sorprendentemente è avvenuto un colpo di scena: il caso Carano è stato ripreso da molti youtubber – tra cui Nerdrotic, Midnight Edge, Doomcock, The Critical Drinker, Bill Burr, Babyface – che hanno invitato a dare un segnale alla Disney, attraverso l’hashtag #cancelDisneyplus, ovvero un invito a non rinnovare l’abbonamento al canale della Disney. Il punto, ovviamente, non è imitare la cancel culture che incita a eliminare le persone che non si piegano, ma chiedersi se si possa accettare una multinazionale che, come la Disney, nega ai suoi dipendenti il diritto di parola.
Anche perché, per una Carano che ha avuto il coraggio di parlare in pubblico, quante persone saranno rimaste in silenzio? Quante voci sono state ammutolite? Nessuno alla Disney ha avuto il coraggio di parlare in difesa della loro collega, nessuno! Semplicemente perché hanno tutti paura di fare la stessa fine. Come dicevo prima, il punto non è se Carano ha scritto qualcosa di sensato – è troppo facile difendere chi la pensa come noi – ma difendere chi ha un punto di vista controverso.
È evidente la disparità delle forze in campo. Quando una singola persona si mette contro un Leviatano come la Disney, la multinazionale ha infinite risorse per combattere e gettare discredito sul dissidente. In Italia la chiameremmo la macchina del fango. Molti hanno preso partito contro la Carano affrettandosi a giudicare le sue opinioni come ripugnanti e inaccettabili: condannare il reietto è un modo per sentirsi parte della comunità dei giusti. Kant, Locke Voltaire dove siete finiti?
Certo, li studiamo a scuola, ma questo non vuole dire che non debbano essere applicati ai fatti di oggi. E così Carano è stata accusata, indovinate un po’, di negazionismo (oltre che di transfobia, razzismo, omofobia e forse, a questo punto, la legge di Godwin andrebbe aggiornata) non solo in patria, ma anche sui quotidiani italiani che hanno dato una versione completamente distorta e parziale dei fatti. Questo è falso. Ovviamente i repubblicani non sono letteralmente trattati come gli ebrei dai nazisti, come ha twittato esagerando l’attrice texana, ma questo non significa che Carano abbia negato alcunché.
Il caso Carano non è soltanto una questione privata di Hollywood; è una segnale di avvertimento per il pensiero liberale o libertario. Possiamo accettare che una compagnia licenzi qualcuno per le sue idee? Non mi sembra. Ma chi saremmo noi? Siamo le persone che dal loro divano e con le loro carte di credito pagano per i grandi di Hollywood – da Netflix a Disney. L’oro delle loro corone viene dalle nostre tasche. Ma quell’oro non deve comprare i nostri diritti. Come ha detto Carano (che ormai considero la mia filosofa preferita, almeno è viva…): «Non ci possono cancellare, se non glielo permettiamo».
FONTE: https://www.linkiesta.it/2021/02/cancel-culture-gina-carano-disney/
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