di L’ANTIDIPLOMATICO (Thomas Fazi)
Mi fanno un po’ sorridere le polemiche intorno alla notizia secondo cui Draghi avrebbe appaltato la stesura del Recovery Plan alla società di consulenza statunitense McKinsey.
Ora, siamo tutti d’accordo che la McKinsey sia il male assoluto e che la decisione conferma al di là di ogni ragionevole dubbio da quale lato della barricata stia Draghi (ma d’altronde chi scrive non ha mai avuto dubbi; piuttosto dovrebbero farsi qualche domanda coloro che vaneggiavano di un Draghi convertitosi al “keynesismo” e ai problemi dell’economia reale).
Ma il punto è un altro: la lettura che molti “indignados” sembrano dare della notizia è quella secondo cui la McKinsey sarebbe stata chiamata dai “poteri forti” per mettere le mani sui fantastiliardi in arrivo dall’Europa. Insomma, la linea è sempre quella per cui il Recovery Fund rappresenterebbe un'”occasione storica” per il nostro paese, a cui il governo precedente avrebbe voluto dare un’impronta “sociale” e che adesso invece sarà cooptata da quei cattivoni di Confindustria.
Come già detto in più occasioni, però, chi accetta la retorica ufficiale sul Recovery Fund ha già perso in partenza, giacché non siamo di fronte a uno strumento che ha una finalità di sostegno economico (anche perché macroeconomicamente irrilevante) ma unicamente di controllo politico-sociale, consistente nel sostanziale commissariamento, de jure o de facto, del paese ricevente e nella subordinazione della sua politica economica alle direttive della Commissione (ancora più di quanto non lo sia già). Basta leggersi le carte, infatti, per rendersi conto che i soldi vanno spesi come dice la UE (ovvero il capitale nordeuropeo, ovvero la Germania) e che la loro ricezione è subordinata al rispetto delle raccomandazioni specifiche per paese della Commissione, che vanno da sempre nella stessa direzione: tagli della spesa pubblica, compressione del salari, deregolamentazione dei mercati del lavoro ecc.
Insomma, il problema è proprio il Recovery Plan, al di là di chi lo gestirà. Fanno dunque sorridere le critiche di coloro che oggi lamentano di aver perso l’occasione, con la caduta del governo Conte, di poter gestire il commissariamento del Recovery Plan in maniera più “sociale”. Anzi, semmai Conte è uno dei principali responsabili di questa situazione. Se oggi, infatti, Draghi – letteralmente l’incarnazione vivente del vincolo esterno – può presentarsi come il salvatore della patria che può garantire l’arrivo e il “buon uso” dei fantastiliardi dell’Europa (grazie alla consulenza dei “supercompetenti” della McKinsey) è precisamente perché Conte in primis ha avallato fin dall’inizio la logica del vincolo esterno, presentando il Recovery Fund, per evidenti fini di miope autopropaganda, come un generoso regalo di mamma Europa che lo scolaretto Italia avrebbe dovuto fare di tutto per meritarsi e “spendere bene”, e anzi senza i quali saremmo stati perduti.
Insomma, Conte – sospinto da MoVimento Cinque Stelle e PD – non ha fatto che alimentare l’idea dell’Italia come nazione minus habens incapace di gestire se stessa e perennemente bisognosa dell’aiuto (e a volte della “rieducazione”) di qualche “provvidenziale” attore esterno, per definizione più civilizzato e capace di noi. Chi di vincolo esterno ferisce, di vincolo esterno perisce.
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