Assist a Lagarde: la corte di Karlsruhe boccia il ricorso contro il Recovery Fund. “Dubbi, ma accettarlo più dannoso che bocciarlo”
di BUSINESS INSIDER ITALIA (Mauro Bottarelli)
Andreas Voßkuhle, presidente della Corte costituzionale tedesca. Foto di Uli Deck/picture alliance via Getty Images
Di teutonica nella sentenza con cui la Corte costituzionale tedesca ha respinto il ricorso che intendeva bloccare il Recovery Fund c’è stata solo la puntualità chirurgica: in perfetta contemporanea con l’inizio della due giorni di board della Bce, quasi una simbolica pacca sulla spalla in vista di un esercizio di equilibrismo che Christine Lagarde non potrà sbagliare minimamente nella sua comunicazione ai mercati.
Per il resto, bizantismo allo stato puro. Anzi, pragmatismo tutto politico.
E, di fatto, rivelatore di una situazione che sottotraccia nell’eurozona sta divenendo sempre più instabile. Quella decisione, la formula con cui è stata presa, parlano una sola lingua: allarme e forza maggiore, si lascia sfuggire un trader obbligazinario. E in effetti, questa grafica sintetizza in pieno lo spirito cerchiobottista cui ha giocoforza fatto ricorso la Corte di Karlsruhe.
Insomma, il più classico compromesso al ribasso basato sulla logica del soppesare costi e benefici. Non a caso, la sentenza è stata divisa in due parti. La seconda delle quali – quella lasciata in sospeso, un po’ monito quasi ricattatorio e un po’ minimo sindacale di aderenza al diritto – verte infatti sull’annosa materia degli strumenti permanenti che porterebbero Berlino ad assumere dei rischi a livello fiscale per decisioni prese da altri Stati membri. Un’arrampicata sugli specchi degna di Will Coyote e dei suoi disperati tentativi di non precipitare nel canyon.
Chiaramente, in un primo momento lo spread italiano sul Bund ha ritracciato in modalità quasi pavloviana ma resta un fatto: Karlsruhe ha soltanto evitato l’apocalisse, ovvero il blocco totale degli esborsi del Recovery Fund. Ma nessuno in cuor suo – nemmeno i rigoristi tedeschi più accesi – aveva mai creduto nemmeno per un istante a quel possibile epilogo.
L’apertura di una crisi sui debiti sovrani stile 2011 non sarebbe stata gestibile nemmeno dalla Germania, al netto del mega-indebitamento in cui è incorsa e del nuovo lockdown che l’aggravarsi della situazione legata ai contagi sembra rendere ineluttabile.
Il tutto, ovviamente, senza scordare il filotto di elezioni locali che caratterizzeranno l’estate tedesca, fino alle legislative del 26 settembre.
E questa grafica mostra chiaramente quale sia la situazione attuale, a cinque mesi dal voto spartiacque che sancirà la nascita dell’era post-Merkel: l’ultimo sondaggio disponibile è quello compiuto da Forsa e terminato il 20 aprile scorso su un campione di 1.502 persone, in base al quale i Verdi sarebbero grandemente il primo partito con al 28% con un +5% rispetto alla precedente rilevazione (il dato comparativo del grafico è invece quello delle politiche 2017) ma che vedrebbe il sintomatico e simbolico sorpasso dei Liberali sulla destra di Alternative fur Deutschland.
- Bloomberg
Di fatto, un fatto anti-Bce. Verso cui una Cdu in pessime acque potrebbe giocoforza guardare, se ancora nutrisse le speranze per un miracolo estivo che la rimettesse in gioco (magari, aiutata anche da un miglioramento della situazione pandemica o, come fanno notare i più cinici, dall’esplosione anticipata dalla bolla del greenwashing legato al comparto degli assets sostenibili ESG).
Ma a rendere l’appuntamento con la conferenza stampa di Christine Lagarde particolarmente sentito ci pensano questi due grafici, i quali mostrano quali siano le impostazioni di mercato alla vigilia dell’ennesima infusione di fiducia richiesta all’Eurotower. Gli swaps, infatti, prezzano un ritorno in positivo dei tassi dall’attuale -0,50% prima ancora del consensus di esperti, i quali vedevano la data del 2025 caratterizzata ancora dal segno meno.
- Bloomberg
Il problema è che proprio negli ultimi giorni, i trades sulle opzioni cominciano ad avvicinare ulteriormente quella scadenza. Ben prima dell’orizzonte finora prezzato come ufficiale. E uno shock sui tassi, di fatto, rappresenta il maggiore fra i tail risks temuti dagli investitori.
Il secondo grafico è invece alla base della decisione di Goldman Sachs di consigliare ai propri clienti di operare al ribasso sul Bund, il quale infatti negli ultimi mesi è andato in out-performance sul pari durata statunitense e ora viene visto come vittima sacrificale di una Bce che sarà obbligata a lanciare un osso ulteriormente espansivo al mercato.
- Bloomberg
Proprio per porre fine sul nascere a quel tipo di prezzature anticipatorie. Di fatto, la possibilità che Christine Lagarde scoperchi il vaso di Pandora dell’azzardo finale e metta sul tavolo la possibilità concreta di utilizzo totale dell’envelop a disposizione del PEPP, ovvero i 1.850 miliardi potenziali che la stessa numero uno dell’Eurotower aveva accantonato al board dell’11 marzo, parlando unicamente di acquisti con ritmo più sostenuto nel secondo trimestre. Ma, di fatto, a saldi invariati.
Insomma, il mercato prezza la rottura giocoforza del patto di pace armata fra Bce e Bundesbank. A quel punto, però, diverrebbero realtà i timori che da giorni albergano nelle stanze del Tesoro italiano, dopo il via libera all’ennesimo scostamento di bilancio che ha portato la ratio debito/Pil al massimo record del 160%: i soldi di Bce e Ue non sono eterni e i guai cominceranno quando i mercati dovranno davvero prenderne atto.
In contemporanea con un’altra contingenza finora mantenuta sottotraccia dall’operatività onnivora e onnipresente dell’Eurotower: se infatti i 209 miliardi del Recovery Fund destinati all’Italia dovessero realmente arrivare nella loro totalità, si tratterebbe comunque di una somma da spalmare su sei anni.
Arco temporale nel quale gli scostamenti totali e già autorizzati nel bilancio italiano avranno raggiunto i 530 miliardi.
E alla luce della promessa/impegno che Mario Draghi pare aver preso con l’Europa e comunicata nel corso dell’ultima conferenza stampa: se la ripresa dovesse sostenere una crescita come da previsioni del DEF, entro il 2025 il rapporto deficit/Pil tornerà sotto il 3% dall’oltre 11% attuale.
Semplicemente, la promessa di una cura che pare destinata ad ammazzare il cavallo, persino se i tassi restassero al livello attuale fino al 2025. Eventualità che invece il mercato, come visto poc’anzi, già oggi ritiene impossibile.
Insomma, se da un lato la sentenza giunta da Karlsruhe pare un assist verso Christine Lagarde, degno però dell’assedio disperato di una squadra che deve segnare all’ultimo minuto e manda in attacco anche il portiere, dall’altro l’aver diviso in due l’impianto di quella determinazione pare lasciar aperta una via d’uscita. In caso la situazione pandemica o politica precipitasse.
Il compromesso nel compromesso, forse l’ultimo retaggio europeista dell’era Merkel al tramonto. Con un occhio ben vigile sul 26 settembre, però.
La palla ora passa alla Bce. E stavolta, prendere la traversa non sarà visto come gesto di buon auspicio viziato solo dalla sfortuna.
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