L’idea nazionale in Alessandro Manzoni
di QELSI QUOTIDIANO SOVRANISTA (Leonardo Giordano)
Oltre alle celebrazioni dantesche, ricorrerebbero quest’anno i duecento anni dalla composizione della famosa lirica manzoniana “Marzo 1821” dedicata ai moti del 1821 appunto, data che per molti segna l’inizio del Risorgimento.
Chi, come lo scrivente, ha frequentato decenni orsono, magari a ridosso del centenario della proclamazione dell’Unità d’Italia, le scuole elementari, sicuramente ricorderà che questo componimento rappresentava quello che oggi si definirebbe un vero e proprio “tormentone” dell’insegnamento dell’Italiano e dell’educazione a certi valori patriottici, all’interno di quella “ideologia italiana” (come la definisce Marcello Veneziani) del “Dio, Patria e Famiglia”.
Ma davvero questa lirica è da considerare sorpassata, desueta e del tutto inutile rispetto ai problemi dell’Italia odierna, con specifico riferimento alle tematiche della sovranità nazionale e popolare?
A rileggerla, emergono diversi spunti di non tramontata attualità. Partiamo innanzitutto dalla genesi del componimento. A dispetto del titolo, essa non fu edita prima del 1848, dopo le cinque giornate di Milano e i moti che diedero avvio alla 1^ Guerra di Indipendenza. Ovviamente l’ispirazione era rappresentata da ciò che accadde nel marzo del 1821, probabilmente però Manzoni aveva conservato in cuor suo ed a memoria solo l’idea originaria della lirica che invece completò definitivamente e rese pubblicabile solo nel 1848, anche dopo che decine di studenti milanesi insorti si erano recati sotto la casa sua a Milano e gli avevano espressamente chiesto dei versi a sostegno dei moti.
Al riguardo la seconda moglie del poeta, Teresa Borri, ha potuto testimoniare che la sera del 23 aprile 1848, mentre il poeta conversava con Antonio Rosmini nella propria residenza milanese, fu costretto a mostrarsi in pubblico dal balcone perché reclamato da una folta folla di studenti universitari in armi e “pur tentando di sottrarsi alla richiesta di poetare, avrebbe preso infine l’impegno, quando gli fosse stato possibile, di offrire dei versi a sostegno della libertà d’Italia”. (A. De Francesco, Il Poeta e la Rivoluzione).
Tale forma di “prudenza” si spiegava con il fatto che il figlio del poeta Filippo era stato fatto prigioniero dagli austriaci proprio durante quei moti ed era tenuto in ostaggio. Rispetto comunque alla prima bozza di lirica, fosse stata già scritta o meno, di certo nel 1848 fu aggiunta l’ultima non trascurabile e insignificante strofa.
Non si pensi che questa sintetica ricostruzione dell’origine della lirica sia materia oziosa ed adatta alle curiosità dei filologi. Essa invece molto ha a che fare con i temi pregnanti della poesia che sono legati alla visione manzoniana dell’unità nazionale, contrapposta a quella di Rosmini, Gioberti e D’Azeglio, alla stessa idea del poeta di ciò che sia la Nazione e del suo diritto alla sovranità, infine di come essa si connetta concretamente alla storia di un popolo e al provvidenziale disegno divino.
Manzoni avversava l’idea di un’Italia costruita istituzionalmente come federazione degli antichi staterelli preunitari. Dice Antonino De Francesco in un suo saggio dedicato al componimento civile del poeta: << In un quadro siffatto, non va posta sotto silenzio la profonda coerenza del Manzoni, che rispetto a molti della sua stessa generazione, pronti a passare nel corso della Restaurazione al campo federalista, mai venne meno invece, al giovanile unitarismo, sempre ribadì, forte dell’antica amicizia per Cuoco e Lomonaco, la necessità di un solo stato “dal Cenisio alla balza di Scilla”>>.
Egli, invece, invocava coi versi di “Marzo 1821” un’Italia “una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor”. Mario Pazzaglia, celebre italianista, così chiosa questi versi: << In questa poesia il Manzoni esprime vigorosamente il proprio ideale nazionale-unitario, fondato sull’unità di lingua, di religione, di tradizione, di stirpe e d’aspirazioni, superando ogni forma politicamente gretta o vuotamente rettorica dell’ideale patriottico e incentrandolo su un’effettiva comunione di vita, materiale e spirituale, del popolo.>>
Da questa idea di nazione sortiva una visione “unitarista” dell’assetto statuale contrastante con le concezioni federaliste di Carlo Cattaneo, Antonio Rosmini e con l’idea giobertiana che a capo di codesta federazione di stati indipendenti dovesse porsi il Papa. Manzoni, cattolico fervente anch’egli, teneva invece fermo il punto della separazione netta tra sfera temporale e sfera spirituale.
Alcuni storici, come il De Francesco, hanno sostenuto che tale idea venisse al Manzoni dalla sua formazione in ambito illuminista e all’interno del regime napoleonico – milanese. Pur essendo tale tesi complessivamente fondata, tuttavia Manzoni, ancor più dei mentori della sua stagione illuminista, Vincenzo Cuoco e Francesco Lomonaco, riteneva che il popolo italiano dovesse ricercare ed ottenere l’indipendenza e riguadagnare la sua sovranità nei confini patri per proprio conto, senza tutela straniera che potesse in un secondo momento, come accaduto con Napoleone ed i francesi, trasformarsi in nuova sorta di oppressione.
<<Quante volte sull’Alpe spiasti/l’apparir di un amico stendardo!/quante volte intendesti lo sguardo/ne’ deserti del duplice mar!/Ecco alfin del tuo seno sboccati, /stretti intorno a’ tuoi santi colori, / forti, armati de’ propri dolori, /i tuoi figli son sorti a pugnar.>>
Rosmini accusava Manzoni di “sognare una bella utopia” vagheggiando l’ideale di un’Italia unita dalle Alpi alla Sicilia ma il poeta milanese, con fermezza d’animo ed arguzia, replicava a tale osservazione con la chiosa che <<la sua fosse per lo meno una bella utopia, rispetto, a quella, decisamente brutta propugnata dall’altro, di un’Italia federale.>> In realtà al di là delle battute vi era nel pensiero manzoniano una lucida e rigorosa analisi della storia d’Italia da cui necessariamente discendeva l’ipotesi di uno stato unitario per arginare forze centrifughe che, se non controllate, avrebbero reso impossibile o perlomeno ostacolato fortemente l’affermarsi, il concretarsi ed il consolidarsi dell’ideale unitario. Un’Italia federata con staterelli autonomi e persino, in una certa misura, indipendenti avrebbe sempre offerto agli stranieri il destro per insinuarsi tra divisioni, conflitti e diverse prospettive politiche al fine di tener sotto controllo e tutela ancora per altri secoli la nazione.
Non sembri questo un argomento fuori d’attualità se si pensa agli anni ’90, quando la Lega predicava la secessione arrivando persino a prospettare l’adesione all’Europa e all’euro delle sole regioni del Nord, forte anche di alcuni contatti con l’establishment tedesco.
Nella visione realistica del Manzoni vi era anche la considerazione che durante il periodo napoleonico le strutture amministrative e di governo di tipo centralizzato si erano di fatto affermate in tutta la penisola, pur essa divisa nelle varie repubbliche e nei successivi regni bonapartisti. (Nella lirica l’Italia non è solo “una d’armi e di lingua e d’altar” ma anche “una di memorie”). Tali strutture non furono affatto rimosse e scardinate dai regimi monarchici restaurati dopo il congresso di Vienna ma continuarono a funzionare. In un certo qual senso l’Italia era pronta e matura per un assetto statuale unitario.
Vi è un punto infine che rende la visione manzoniana assai simile all’idea di nazione contenuta nell’ultimo scritto di San Giovanni Paolo II “Memoria ed Identità”. Manzoni dedica la poesia ad un giovane patriota tedesco, Teodoro Korner. Con questa dedica e con i versi della nona strofa egli sostiene che Dio, “quel che è il Padre di tutte le genti, / che non disse al Germano giammai: /Va’ raccogli ove arato non hai; /spiega l’ugne; l’Italia ti do, /”, è fonte di sostanziale giustizia nella storia e provvidenzialmente “Padre” di tutte le nazioni, i popoli e le genti alle quali spetterebbe libertà e prosperità e sovrano diritto a disegnarsi e a perseguire il proprio avvenire.
Sempre secondo Pazzaglia, Manzoni << esorta gli Italiani a insorgere contro l’oppressione in nome di Dio che è amore ma anche giustizia. Il diritto alla libertà diviene così un dovere, un momento della lotta per l’affermazione del bene contro il male; il Manzoni, che, nelle sue tragedie, esecra la guerra, non esita qui a invocare il Dio degli eserciti, a incitare gli Italiani a combattere in nome della giustizia. Cogliamo qui l’anima migliore del nostro Risorgimento, che fu, prima che un movimento politico, un fatto morale e spirituale.>>
Forse di questo piglio morale e di questa forza d’idee avrebbe bisogno l’Italia oggi per tornare ad essere sovrana e a poter liberamente scegliere e approntare il futuro dei propri figli.
FONTE: https://www.qelsi.it/2021/lidea-nazionale-in-alessandro-manzoni/
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