Scuola: la guerra contro i ragazzi è più feroce che mai
Di La Fionda (Vincenzo Moggia)
Era lo scorso 1° aprile, e da questi schermi ci chiedevamo (e purtroppo non era un pesce d’aprile): «quanto ci vorrà prima che qualcuno faccia alzare i nostri ragazzi nelle scuole per chiedere scusa alle ragazze per crimini mai commessi, come è accaduto pochi giorni fa nella super-civilizzata Australia?». Ebbene, era già successo. Infatti poche settimane prima un professore di una scuola media di Sirmione ci faceva assistere esattamente alla stessa scena. E non si tratta di un’iniziativa soltanto personale o dell’Istituto: c’è il bollino delle istituzioni comunali. Naturalmente il tutto è stato diffuso con l’ambizione di assurgere ad esempio. Prendiamoci qualche minuto per visionare il video. Musica drammatica, i ragazzi entrano in classe, il professore li invita ad alzarsi in piedi poi aggiunge: «no, scusatemi, mi riferivo solo ai maschi. Le femmine possono risedersi», e cita il Talmud: «State molto attenti a far piangere una donna, perché Dio conta le sue lacrime». Accenna poi, sempre sotto metafora religiosa, all’uguaglianza tra uomo e donna: ma allora perché far alzare solo i maschi? «Voi domani sarete uomini, fidanzati, compagni, mariti e padri e avete questa grande fortuna grazie ad una donna che vi ha generato» (il padre evidentemente non ha avuto alcun ruolo in questo). «Amate le donne importanti della vostra vita e quando non riuscite più ad amarle riservate loro il rispetto» (gli uomini importanti possono essere odiati e calpestati tranquillamente). Quale stimolo scatenante si accenna ad una recente uccisione di una donna da parte di un uomo, «ma come considerare uomo colui che compie un tale gesto?» (giustissimo, sottoscriviamo in pieno: ma allora, ripetiamo, perché tale unidirezionalità?). Il video si chiude con la richiesta di un impegno: «ogni volta che apprenderemo una notizia di un femminicidio… voi scriverete un biglietto d’amore alle vostre compagne di classe… nella speranza che il messaggio diventi contagioso e arrivi a tutti i ragazzi». Il messaggio è forte e chiaro: l’unica violenza è quella dei maschi sulle femmine; per le violenze commesse da alcuni criminali tutti gli appartenenti al genere maschile, fin dalla tenera età, devono sentirsi responsabili e compiere un gesto riparatore. Maschi e femmine sono uguali sì, ma le femmine un po’ più dei maschi.
A chi asserisce che la misandria non è sistemica, chiediamo come sia possibile che sia considerato normale (o addirittura encomiabile) diffondere simili messaggi nella scuola, ambienti fondativi per la mentalità di uomini e donne di domani. Negli ultimi decenni la scuola è diventata globalmente un ambiente ostile ai ragazzi. Lo testimonia un classico della lotta alla misandria, lettura che suggeriamo vivamente: The War Against Boys, della filosofa e critica del femminismo Christina Hoff Sommers (uscito nel 2000, riedito ed ampliato nel 2015). Benché concentrata soprattutto su Regno Unito e Stati Uniti, l’opera costituisce un’accattivante (e allarmante) fotografia dell’educazione dei ragazzi, che dagli anni ’90 in poi subiscono un oggettivo declino in termini di partecipazione e rendimento, dall’età prescolare fino all’istruzione specialistica, documentato su una vastissima mole di ricerche accademiche e report. I maschi, nelle aree prese in esame, ottengono generalmente voti più bassi, ripetono anni o lasciano la scuola in maggior numero, si diplomano, iscrivono all’Università e laureano di meno.
La tesi, sposata dall’autrice è che il sistema educativo abbia risentito pesantemente delle dottrine, diffuse dal femminismo e più in generale dagli attivisti della gender equity, secondo cui il maschile avrebbe di per sé delle caratteristiche tendenti alla violenza e alla prevaricazione, e le scuole abbiano assunto il compito di “rieducare” e “ri-immaginare” la mascolinità mitigando tali tendenze, in favore delle caratteristiche femminili. «Questo libro – dice la Sommers – spiega come sia diventato di moda patologizzare il comportamento di milioni di bambini e ragazzi sani. Abbiamo dimenticato una semplice verità: l’energia, competitività, e audacia maschile sono responsabili di buona parte di ciò che di giusto c’è nel mondo.» Ancora: «Molti esperti del settore sono convinti che i metodi progressisti in ambito educativo siano la causa primaria dell’arretramento dei maschi, e ritengono che la scuola oggi sia inefficace per loro, troppo permissiva e ostile allo spirito di competizione che serve ai ragazzi per imparare ed eccellere».
Ma non è solo questione di metodo di insegnamento. Molte commissioni per la gender equity hanno attivato politiche di zero tolerance verso comportamenti perfettamente normali, basate su impianti teorici esplicitamente misandrici. Alcuni esempi: una diffusa guida per gli insegnanti del 1998, Quit it! spiega che i maschi, a partire dai 5 anni, hanno bisogno di un’attenzione speciale perché «Bullismo e provocazione sono comportamenti che precorrono la violenza sessuale, e consideriamo la radice di essi nelle pratiche di socializzazione infantile». Un report del 2007 della Ms. Foundation for Women, Youth, Gender and Violence, afferma: «Le radici della violenza “di genere” risiedono nello sforzo dei privilegiati e potenti – perlopiù uomini – di mantenere il proprio status». Punizioni comminate nelle scuole americane rispecchiano l’applicazione di tale ideologia e l’autrice ne riporta diversi esempi, divertenti nella loro oltraggiosa tristezza, ad esempio un bambino di 8 anni sospeso per ‘molestia sessuale’ per aver dato un bacino sulla guancia a una compagna.
Per constatare che in Italia e in Europa la situazione è esattamente la stessa citiamo la più ampia e recente indagine disponibile al riguardo, il report della rete Eurydice Gender Differences in Educational Outcomes, del 2009. Il report prende in esame i dati ufficiali del PISA (il programma internazionale che monitora l’istruzione) e di Eurostat per tutte le nazioni europee per l’anno accademico 2008/09 e, con sporadiche eccezioni, documenta che: i ragazzi in maggior numero lasciano precocemente la scuola e ripetono almeno un anno; ottengono voti mediamente più bassi a parità di competenze; si diplomano, si iscrivono all’Università e si laureano di meno rispetto alle ragazze (in generale, benché in alcuni campi siano maggiormente rappresentati, quelli legati alla tecnica e alcune scienze). Però, «nonostante tali tendenze, la maggior parte delle nazioni non ha strategie specifiche in atto per contrastarle». In compenso siamo deliziati di apprendere che: «esistono programmi dedicati specificamente a contrastare la violenza verso ragazze e donne, assumendo quindi che le donne siano le principali vittime di violenza; mentre specifiche iniziative si focalizzano sui ragazzi» – ah, ottimo! – «quali potenziali perpetratori di violenza» – come non detto.
Il femminismo avrà avuto forse un ruolo in tutto ciò? Gli autori del report casualmente dedicano un intero capitolo, il primo, alla storia del femminismo in Europa e all’impatto di esso sul sistema educativo, concludendo poi esplicitamente che: «Dall’inizio della “seconda ondata” del femminismo negli anni ’70, sono state portate avanti svariate strategie e politiche riguardo alle problematiche di genere… concentrate sullo svantaggio femminile, [che] hanno significativamente alterato le tendenze nell’istruzione lungo gli ultimi 30 anni». E ancora: «Dagli anni ’70 in poi le problematiche di genere sono state associate a un focus primario sui risultati e sulle aspirazioni delle ragazze, con lo scopo di rimediare allo sbilanciamento di potere verso ragazzi e uomini. Tuttavia si sono ora trasformate in una preoccupazione riguardo un diffuso “arretramento dei maschi” (OECD 2001, p. 122)… negli anni più recenti, le problematiche di genere sono diventate sinonimo di un declino dei risultati dei ragazzi, e di una cosiddetta “crisi della mascolinità”». C’è bisogno di dirlo più chiaro di così? L’Italia da questo punto di vista, secondo il report, non è tra i paesi più aggressivamente colpiti dalla misandria istituzionale. I segnali della sua penetrazione che vediamo negli ultimi tempi, come l’iniziativa della scuola di Sirmione, sono preoccupanti. Ma noi siamo pronti a combattere. Nelle parole di Christina Sommers, «La guerra contro i ragazzi non è conclusa: è più feroce che mai. Ma la posta in gioco si è alzata, le linee di trincea sono più definite, e qui e là si levano i fuochi della resistenza».
Fonte: https://www.lafionda.com/scuola-la-guerra-contro-i-ragazzi-e-piu-feroce-che-mai/
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