Sui rivoluzionari di professione
di MARCO DI CROCE (RI Roma)
Che cosa farebbero i nostri rivoluzionari nazionali di professione se la rivoluzione avesse successo? Si dovrebbero reinventare. Per questo i rivoluzionari nazionali di professione non fanno mai le rivoluzioni, non fanno eccezione i grandi uomini della storia che erano veri professionisti della rivoluzione, rivoluzionari itineranti come Garibaldi oppure rivoluzionari che usavano il successo della prima rivoluzione per aiutare a produrre altre rivoluzioni nel resto del mondo, come Lenin. Questi non erano rivoluzionari nazionali, erano rivoluzionari internazionali.
Gli altri, quelli che non sono Garibaldi o Lenin o Napoleone e non hanno qualità militari e strategiche tali da poter fare veramente i rivoluzionari di professione, cioè internazionali, agiscono sempre in una prospettiva nazionale. E allora, chiaramente, la rivoluzione non la fanno mai, perché non vogliono veramente farla, si ritroverebbero disoccupati il giorno dopo la vittoria.
Se il contesto d’azione è concepito come nazionale e non internazionale, il numero di rivoluzioni che si possono fare è “1”. Perciò l’unica rivoluzione possibile in una prospettiva solo nazionale non la fa mai e mai l’ha fatta il rivoluzionario nazionale di professione, ma il politico di professione, cioè il partito coi suoi militanti, il quale studia la rivoluzione come si studia il tragitto da casa al lavoro.
Un rivoluzionario di professione con una prospettiva solo nazionale invece è una contraddizione che cammina, è una bugia, un pagliaccio. La differenza che c’è tra uno che guida di professione e uno che guida per andare al lavoro è la stessa che c’è tra il rivoluzionario di professione in genere e il politico rivoluzionario. Ma qualcuno è veramente disposto anche solo a concedere per ipotesi che una persona che volesse fare il tassinaro e che volesse fare una sola corsa nella vita potrebbe mai portare a termine quella corsa?
Poi, chi voglia fare il tassinaro lo faccia se ne è in grado, ma sappia di dover saper guidare e sappia che il suo lavoro non è portare a termine una corsa, ma portare a termine indefinite corse. Cioè, il rivoluzionario di professione si trasferisce in Francia e fa la rivoluzione in Francia, poi in Spagna e la fa in Spagna, poi nei Paesi Bassi e la fa nei Paesi Bassi. Altrimenti, non è un rivoluzionario di professione, è una menzogna a piede libero, uno scherzo, una barzelletta che porta i jeans.
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