Joint Force G5: gli Stati della Françafrique nella guerra del Sahel
di DIFESA ONLINE (Filippo Del Monte)
Nell’imminenza della partecipazione italiana alla task force Takuba nel Sahel (v.articolo) e considerato anche il fatto che la conduzione delle operazioni militari in Africa centrale ha generato un ampio dibattito tecnico ed insieme politico in Francia, occorre gettare uno sguardo sugli altri eserciti impegnati nel conflitto al fianco dell’operazione Barkhane e che saranno sul campo assieme ai nostri militari: quelli di Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad, membri del coordinamento del G5-Sahel.
Nella frazione maliana dell’ampia regione collinare e semidesertica del Liptako-Gourma (comprendente territori sotto la giurisdizione di Mali, Burkina Faso e Niger) nel corso degli ultimi mesi le forze franco-maliane sono riuscite a sconfiggere numerose cellule jihadiste allentando la pressione islamista su quell’area ma, contemporaneamente, spingendo i gruppi e le milizie terroristiche a spostarsi verso il Liptako burkinabé e nella Regione dell’Est, nello specifico nella Provincia di Komandjoari.
Tre settimane fa una trentina di persone sono state uccise dai jihadisti a Kodyel, nella Provincia di Komandjoari, al confine con il Niger, segno – secondo il rapporto delle Nazioni Unite pubblicato questo mese – che nell’area vasta compresa tra il Mali centro-settentrionale ed il Burkina Faso nord-orientale i gruppi terroristici siano in movimento e si stiano rafforzando. In particolare è la sigla Jama’at Nusrat al-Islam wal Muslimeen (JNIM-Gruppo di Sostegno per l’Islam ed i Musulmani) legata ad al-Qāʿida fī l-Maghrib al-islāmī (al-Qāʿida nel Maghreb islamico) a rappresentare la “minaccia più grande” per la sicurezza del Sahel.
I militanti del JNIM fanno base nella foresta di Wagadou in Mali, al confine con la Mauritania, noto “santuario” jihadista oggetto già di azioni militari francesi di una certa rilevanza e terreno particolarmente ostico e dove, nel novembre del 2019, ben 50 soldati maliani vennero uccisi in un attentato causando la più grande perdita di militari della coalizione di Barkhane dall’inizio della guerra nel 2012.
Dalla foresta di Wagadou (meta tra l’altro di un fiorente traffico d’armi proveniente dagli arsenali in disfacimento di Gheddafi nel 2011) i gruppi del JNIM vengono inviati anche in Niger e Burkina Faso determinando la forte instabilità che la regione saheliana sta vivendo.
Altro gruppo islamista particolarmente attivo nell’area è lo Stato Islamico nel Grande Sahara (EIGS), nato nel 2015 dalla scissione di Adnane Abou Walid al-Saharaoui da al-Mourabitoun, la principale organizzazione islamico-salafita maliana, ed estesosi poi nel sud-ovest del Niger causando nei giorni scorsi ad esempio l’esodo in massa di circa 10.000 civili nella regione di Tillabéry (al confine tra Mali, Burkina Faso e Ciad) in fuga dalle violenze delle milizie dell’EIGS.
Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA), questo esodo è dovuto ad “attacchi ricorrenti […], in particolare omicidi, stupri, estorsione di proprietà e furto di bestiame, perpetrati da elementi […] che operano lungo il confine con il Mali”. I gruppi islamisti hanno inoltre dato alla popolazione un ultimatum di tre giorni per svuotare i tre villaggi facenti parte del comune rurale di Anzourou.
Ad opporsi ai jihadisti, oltre ai Francesi ed agli alleati occidentali della Task Force Takuba, vi sono i 7 battaglioni (circa 5.000 uomini) della Joint Force G5-Sahel (FC-G5S) composta da truppe di Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad. I buoni risultati ottenuti da queste truppe – in coordinamento con l’operazione Barkhane – nelle operazioni SAMA1, SAMA2 e SAMA3, volte ad impedire la penetrazione dei gruppi jihadisti nei territori sotto il proprio controllo e rafforzare il sostegno alle autorità governative della popolazione civile, sono stati inficiati dai problemi strutturali della Joint Force che sono stati affrontati anche nell’ultima riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Le capacità logistiche ed operative della FC-G5S sono fin troppo limitate per gestire con cognizione le operazioni sui grandi spazi che la conformazione geografica del teatro di guerra nel Sahel richiedono. Basti pensare che l’8° battaglione ciadiano, schierato da poco nel Liptako-Gourma, ha dovuto percorrere più di 2.000 km tra N’guigmi e Niamey, affrontando difficoltà logistiche, legate in particolare a problemi di approvvigionamento di carburante e al deterioramento di attrezzature ed equipaggiamenti. Altro tasto dolente è la mancanza di capacità per le evacuazioni mediche. Un problema legato anche all’assenza di mezzi aerei (vengono utilizzati, ove possibile, quelli di Barkhane), che sono tuttavia essenziali nel contesto delle attuali operazioni antiterrorismo, nello specifico nel teatro del Sahel.
Per quanto riguarda le capacità di intelligence, la Joint Force fa affidamento su quelle di Barkhane, ma in questo settore dovrebbe beneficiare degli aiuti dell’Unione Europea per acquisire sensori, radar terrestri a corto raggio e droni. Questo aiuto è previsto nella seconda tranche di finanziamenti proveniente dall’UE ma il segretario generale dell’ONU Antonio Gutierres ha anche richiesto ai comandanti dei vari contingenti costituenti la Joint Force di rafforzare la propria collaborazione nel campo della raccolta e della condivisione delle informazioni per avere un quadro chiaro e, soprattutto, comune della situazione sul campo.
Macchinosa è anche la catena di comando della forza congiunta che vede dotati della stessa autorità sia i comandanti della Joint Force che quelli delle singole unità nazionali che la compongono cosicché spesso ci si ritrova di fronte ad una “deviazione” dagli obiettivi comuni per perseguire specifici interessi politico-militari dei singoli Paesi.
La Joint Force del G5-Sahel allo stato attuale può quindi concorrere solo in minima parte alle operazioni militari nel Sahel e, al di là del necessario coinvolgimento degli Stati dell’area, essa risulta incapace di espletare funzioni in autonomia rispetto a Barkhane, e quindi ai francesi, che non siano legate al presidio ed alla difesa di territori a bassa capacità d’infiltrazione jihadista.
La rinnovata capacità manovriera dei gruppi terroristici imporrebbe tattiche offensive in profondità con sostegno continuo di rifornimenti e supporto aereo, cose che ad oggi nessun componente dell’FC-G5S non può garantire.
Foto: Opération Barkhane / web / Ministère de l’Europe et des Affaires étrangères
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