Siamo il lockdown da dieci anni
di La Fionda (Alessandro Volpi)
Hanno riaperto ma la variante Delta è di nuovo in agguato, forse richiudono a settembre, addirittura anche prima. I vaccini sembrano funzionare bene per ridurre la gravità della malattia, si ospedalizza e si muore meno. Passi avanti ma con cautela. Il libro di Roberto Speranza non andrà in libreria nemmeno questo autunno credo. Sembra una vita fa quando il Ministro della Salute stava per dare alle stampe il suo racconto su come fossimo riusciti tutti insieme a uscire da un incubo. Era contento Roberto ma si sbagliava e l’incubo è tornato. Questo fatto ci fa propendere per l’idea di un’incompetenza senza dolo, ma del resto è difficile leggere un disegno dietro a tutto questo. Ma nonostante ciò ci troviamo a discutere sullo stato di emergenza quando l’emergenza come tale è finita: abbiamo un quadro abbastanza definito rispetto al quale si possono fare delle previsioni –che come sempre si riveleranno sbagliate, ma questo non aveva mai richiesto lo stato d’emergenza. Ci ritroviamo soprattutto con un governo d’emergenza che nessuno si sarebbe immaginato dopo gli sconvolgimenti politici degli ultimi anni. Se nel 2018 pensavamo di essere usciti dall’alternanza fra la padella e la brace, scopriamo ora, che siamo finiti direttamente fra le fiamme vive di una pira accesa e quasi non ce ne siamo accorti. Il lockdown però per ora è sospeso come il coprifuoco, possiamo tornare a vivere e ci troviamo fra l’affanno della mascherina con 40 gradi a sudare inebriati per il fatto stesso di non essere morti, di andare al mare e distendere i muscoli accartocciati dallo smart working nell’acqua, di poter bere un gin tonic alle due di notte e parlare con tante persone che nemmeno ci ricordavamo esistessero. Quello che prima era normale ora ci fa girare la testa.
Quello che non è stato sospeso, e che anzi è totalmente invisibilizzato – se non si fa lo sforzo di osservarlo – è invece il lockdown della vita pubblica. Giustamente con l’estate ce ne stiamo dimenticando, e facciamo forse bene, per la nostra salute fisica individuale. Riuscivamo ancora ad intravederlo, a considerarlo meno normale, e ad affidarci a qualcuno che sembrava volesse revocarlo, fino a prima della pandemia. Ma già con il governo Conte II avevamo capito che era finita quella speranza, che la politica non poteva niente. Avevamo capito, con altri termini, quello che se oggi ci guardiamo indietro e ci concentriamo scopriamo come un lockdown durato dieci anni, forse venti. Il lockdown della nostra esistenza politica, al di fuori della virtualità mediatica dove sono sempre ombre a dominare la scena. A me personalmente un ricordo ha fatto provare, rispetto alla nostra esistenza politica, quello stesso senso di inebriamento che mi ha dato il ritorno alla vita fisica. Si badi bene, parliamo di un ricordo: non è il presente dove troviamo la vita che torna, ma la possiamo ricordare solo nel passato.
Il mio personale ricordo inebriante viene dal ritorno sulle scene di Michele Santoro. Con lui se ne era andata quasi dieci anni prima l’ultima stagione – la prima nella mia biografia – di mobilitazione collettiva contro un nemico: Berlusconi. Sicuramente era stata tutta una grande illusione, un errore politico, ma era stato qualcosa di presente, di esistente, al di là e insieme alla sua duplicazione mediatica. Santoro rappresentava sì un grande caso di mobilitazione virtuale ma ancora aveva bisogno per nutrirsi di energia politica che venisse da fuori degli schermi. Ricordo bene la mia prima manifestazione a sedici anni, il No B Day, le bandiere viola, Di Pietro tra la folla spinto da un’energia che a me sembrava invincibile, un uomo che lo vede arrivare e grida “Tonino brucialo”(ovviamente riferito a Berlusconi) e uno scroscio di applausi al giudice caudillo che avrebbe portato giustizia. Del resto lo stesso grillismo di questa energia si era nutrito, anche se aveva saputo poi direzionarla altrove quando dopo la fine dell’illusione antiberlusconiana era arrivato Monti e tutto il resto. Il M5S era riuscito a farsi interprete di questa protesta contro le élites che governavano la crisi, contro i tecnocrati, ma della protesta degli uomini onesti contro i corrotti aveva tratto la sua energia politica. E forse sta in questa origine tutta la fine del grillismo, che continuerà come un gioco di ombre nei media (ora social media, nel web), mobilitando un consenso puramente elettorale che si sarebbe presto rovesciato in puro politicismo. Nella fine dell’antiberlusconismo stava già probabilmente la fine del M5S perché a quella energia si era abbeverato. Era stata una grande illusione, ma era esistita.
Gli anni successivi, quelli in cui progressivamente si è andata disvelando la vera natura della crisi economica, politica e morale del nostro paese sono stati anni di progressiva perdita della realtà della politica. Siamo entrati nel pieno del lockdown. In un susseguirsi di governi privi di ogni legittimità la protesta si è sempre più istituzionalizzata, dalla fase della mobilitazione reale a quella virtuale siamo arrivati a quella elettorale. Ma una protesta tutta mediatizzata che entra in istituzioni totalmente sequestrate non ha potuto fare altro che capovolgersi nel nulla totale. L’energia si è esaurita e il clima di asfissiante conformismo con la pandemia è arrivato a produrre una coalizione di tutti, senza nessuno fuori a protestare. Il lockdown come misura di ordine pubblico ha solo realizzato sul piano giuridico una condizione esistenziale (come individui e come (non)corpo politico). Il sistema mediatico è entrato in una fase di accelerata polarizzazione su una miriade di questioni, fra ombre di ombre: il cospirazionista e l’anticomplottista. Due figure che si sono alimentate a vicenda nel comune occultamento dei fatti sostanziali. Una totalità paranoica contro una totalità liscia, anestetizzata. Un sistema perfetto per un governo privo di ogni sostanza politica, fatto di figurine ed emissari di poteri che si trovano altrove.
Questo lockdown durato dieci anni ci ha portato alla fine qui: dopo la protesta virtuale il nulla, nemmeno il Popolo Viola in piazza e le grandi mobilitazioni contro Berlusconi di Santoro. Ovviamente per chi aveva sedici anni quando ha visto quell’ultima illusione esistere e produrre una qualche energia politica, è inimmaginabile pensare anche solo a cose fosse, venti anni prima Genova 2001, e andando a ritroso le grandi mobilitazioni dei secoli precedente. Il nulla dentro e il nulla fuori dalle istituzioni. L’assenza totale di energia politica. Il senso pieno e totale di impotenza, l’unica via di uscita la possibilità di evocare i propri mostri, rimanendo sempre nella propria testa.
Scopriamo quindi oggi, in una notte che si protrae oltre il coprifuoco, in un ricordo del passato quell’ebbrezza vissuta che visibilizza ciò che viene totalmente invisibilizzato: la lunga notte del lockdown politico. Quella piccola scossa che il ricordo produce è sufficiente farci vedere l’abisso fra il passato e il presente. Di fronte a questa assenza non si può fare niente: ci si sente impotenti, consegnati ad un evento che sembra non arrivare, privi di volontà. Forse far emergere il vuoto, viverlo fino in fondo può essere un primo momento per una qualche presa di coscienza. Forse quando usciremo anche da questo lockdown saremo inebriati ancora più di ora quando beviamo un gin tonic al fresco, alle due di notte. Ma se siamo sinceri non abbiamo la capacità nemmeno di immaginare quando questo arriverà.
Fonte: https://www.lafionda.org/2021/06/28/siamo-il-lockdown-da-dieci-anni/
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