Come e perché la Cina sta regolamentando i monopoli Fintech
di Ce.Si Italia (Carlo Palleschi)
A sorpresa, il 20 maggio 2021 è giunta la notizia delle dimissioni dalla carica di Ceo di Zhang Yiming, il co-fondatore di ByteDance, la società cinese attiva nel settore hi-tech il cui prodotto di punta è la popolarissima app “TikTok”. Oltre alle ragioni personali che avrebbero spinto l’imprenditore alle dimissioni, dietro questa decisione si possono anche leggere delle ragioni politiche interne alle dinamiche cinesi. Infatti, la decisione di Zhang arriva in un momento particolare per l’azienda che ha dovuto fare i conti con la multa di 500.000 yuan (77.000 dollari) imposta dall’agenzia antitrust cinese, la China’s State Administration for Market Regulation (SAMR), per violazione della normativa antimonopolistica.
Le dimissioni di Zhang e la multa a ByteDance rappresentano solo uno degli ultimi episodi che descrivono il clima in Cina nei confronti delle grandi imprese, in particolare hi-tech, che stanno subendo una progressiva stretta regolatoria da parte della SAMR. Altro caso emblematico è quello di Alibaba, che ha subito due gravi colpi in poco tempo. A novembre, a 24 ore dall’esordio sul mercato, l’offerta pubblica iniziale (IPO) di Ant Group, società controllata da Jack Ma fondatore di Alibaba, è stata sospesa dallo Shanghai Stock Exchange a causa del mancato rispetto dei requisiti di quotazione e di corretta divulgazione delle informazioni. Pochi mesi dopo, la SAMR decideva di aprire un’indagine antitrust su Alibaba che si è conclusa con una maximulta da 18,2 miliardi di yuan (2,78 miliardi di dollari) per abuso di posizione dominante. Un’altra IPO nel settore, quella di JD Digits, che era in attesa di approvazione e che puntava a raccogliere 20 miliardi di yuan sullo Star Market di Shanghai, è stata ritirata nei primi mesi di aprile, prima ancora di essere valutata dalla SAMR. Anche Tencent risulterebbe sotto indagine da parte della SAMR e potrebbe ricevere una multa di 10 miliardi yuan ($1.54 miliardi) per violazione della normativa antitrust.
Che la politica cinese sui monopoli, principalmente nell’ambito Fintech, sia radicalmente cambiata è ormai un dato di fatto. Infatti, questi singoli episodi si inseriscono nel quadro più ampio e strutturato delle nuove linee guida adottate dalla SAMR che perseguono due obiettivi complementari: da una parte mirano a contrastare gli accordi monopolistici e l’abuso di posizione dominante, d’altra parte cercano di ristabilire un certo livello di stabilità finanziaria. Infatti, i colossi del Fintech avevano applicato la nuova tecnologia al fenomeno tradizionale del prestito informale peer-to-peer, fornendo prestiti senza le adeguate garanzie collaterali e soprattutto senza che questi prestiti fossero finanziati dalle stesse società Fintech. In altri termini, il rischio che il deterioramento del merito creditizio potesse trasformarsi in un’accumulazione di posizioni di insolvenza aumentava esponenzialmente i rischi di un default a catena, tanto degli istituti creditizi quanto delle imprese e degli individui che avevano avuto accesso alle linee di credito.
Alla luce di questo problema, due sono i principali interventi proposti dalle nuove linee guida della SAMR: da una parte, se una società ha una quota di mercato superiore al 50%, o se due società insieme ne controllano due terzi, potrebbe scattare un’indagine Antitrust nei loro confronti, che potrebbe concludersi, come avvenuto con Alibaba, con l’adozione di misure restrittive; d’altra parte, le nuove regole impongono che almeno il 30% dei prestiti concessi dai microcreditori online debba essere finanziato da loro stessi, che debbano accantonare almeno 5 miliardi di yuan come capitale sociale, e che essi, a meno che non abbiano una licenza multi-provinciale, possano operare solo nella provincia in cui hanno ottenuto la licenza.
Questa stretta regolatoria nei confronti dei colossi del Fintech può essere interpretata sotto una duplice prospettiva. Indubbiamente vi è una componente economico-finanziaria che risulta centrale nella logica seguita da Pechino nel rilancio dell’economia domestica nella fase post-Covid. Le autorità cinesi, infatti, in linea con il quattordicesimo piano quinquennale presentato recentemente per tracciare le linee guide del Paese fino al 2025, mirano a promuovere una crescita economica imperniata sul rilancio della domanda interna, allontanandosi progressivamente dalla struttura di crescita seguita fino ad adesso incentrata sull’export e sull’attrazione di investimenti esteri. In quest’ottica, quindi, la stabilità finanziaria interna è una priorità per le autorità di Pechino per garantire che la crescita trainata dalla domanda interna sia solida, strutturata e priva di rischi di bolle e crisi finanziarie. Il raggiungimento di questo obiettivo passa anche, e soprattutto, attraverso un maggior controllo dell’antitrust cinese ed attraverso il rafforzamento delle politiche micro-prudenziali e di vigilanza bancaria, soprattutto nel mondo delle grandi società Fintech che fino ad oggi avevano goduto di ampi margini di libertà. In altri termini, Pechino aspira a mettere ordine a quello sviluppo caotico delle grandi società Fintech che egli stesso aveva in parte avallato ed incoraggiato. Il governo cinese, infatti, non aveva esitato a creare un mercato interno in cui i grandi colossi come Alibaba e Tencent potessero prosperare senza concorrenza esterna e senza particolari limitazioni né finanziarie né di regolamentazione in materia di acquisizione e gestione dei dati. Ora che il business di queste società è andato oltre quello proprio delle piattaforme digitali, sovrapponendosi di fatto al business delle banche e competendo per certi versi con le grandi banche di Stato, il Governo non ha esitato a cambiare radicalmente rotta rafforzando in modo consistente le politiche antimonopolistiche e di regolamentazione micro-prudenziale. Questa scelta ha il potenziale di rafforzare la stabilità del sistema finanziario cinese, e quindi anche di ridurre la possibilità di propagazione di shock a livello globale.
A questa prospettiva di natura economico-finanziaria, si deve aggiungere una componente politica. Il controllo che il governo esercita sulle grandi imprese private non può infatti essere letto solamente come una risposta al rischio di bolle speculative e di insolvenza, ma deriva anche dalla preoccupazione che la concentrazione di un potere così ampio nelle mani di pochi (ricchi) imprenditori possa essere deleterio per la stabilità politica del Partito Comunista Cinese (PCC). Il Politburo mira ad esercitare un controllo completo sulle attività economiche così da evitare che esse acquisiscano una posizione dominante non solo nel mercato, ma anche nelle dinamiche politiche interne al Paese, con il rischio di rendere difficile per il governo il controllo del sistema rispetto alle decisioni assunte. In questo contesto, si inserisce l’episodio emblematico che ha interessato Jack Ma nell’ottobre del 2020, quando il magnate aveva subito un periodo di ostracismo a seguito delle critiche che aveva mosso al sistema di leggi che regolano il mercato cinese. In una conferenza stampa, infatti, Jack Ma aveva criticato il sistema finanziario cinese, giudicato appartenente ad un’epoca passata e ormai superata e per questo privo di un approccio innovatore che fosse a passo con i tempi. Il silenzio in cui si è trincerato Jack Ma è esplicativo di quanto possa essere difficilmente accettabile per i ranghi del PCC che un imprenditore di primo piano, facendo leva proprio sul potere ottenuto sul mercato, possa esprimere pubblicamente delle critiche alle linee centrali decise dal Politburo.
Inoltre, sempre sul piano politico, la stretta sulle grandi imprese può essere proposta dal Governo cinese come un’azione di redistribuzione della ricchezza accumulata negli anni dalle grandi imprese Fintech in un’ottica di “giustizia sociale”. Nella prospettiva cinese, il rilancio post-Covid passa anche e soprattutto attraverso il mantenimento della coesione sociale, ed in questo quadro di unità nazionale le aziende private non possono fungere da centri di potere alternativi, bensì, al contrario, devono allineare il proprio sviluppo con la prosperità della nazione e le esigenze delle persone, dimostrando un forte senso di appartenenza e di solidarietà. Secondo Xi Jinping, alla Cina serve avere degli “imprenditori patriottici”, che aiutino il paese a vincere la doppia sfida contro la crisi innescata dalla pandemia e contro gli Stati Uniti di Biden (che per molti versi sembra essere in continuità con il suo predecessore).
Questa impostazione rispecchia perfettamente la concezione intrinseca alla struttura stessa dell’economia cinese e le contraddizioni che derivano dal cosiddetto socialismo di mercato, o capitalismo di stato, quale sia il nome che si voglia attribuire all’economia di Pechino. In altri termini, il Partito è pronto ad intervenire per indirizzare e sviluppare il mercato, così da creare ampi spazi di libertà ed utili consistenti per le società private, salvo poi essere nuovamente pronto, con la stessa celerità, ad intervenire qualora lo spazio di manovra di queste società sia diventato spropositamene ingombrante in termini politici ed eccessivamente rischioso in termini economici. Due sono le principali criticità che potrebbero compromettere la sostenibilità di questo approccio nel lungo periodo. In primo luogo, in un contesto come quello cinese, il rischio di una strumentalizzazione politica è concreto, soprattutto se la normativa antitrust viene implementata ad hoc per tutelare le posizioni delle banche di Stato e se permangono disparità evidenti rispetto ad altri settori, come quello delle telecomunicazioni, dove invece la normativa antimonopolistica non è applicata o è implementata solo parzialmente. La seconda criticità risiede nell’evoluzione costante del sistema finanziario: se da una parte la regolamentazione è fondamentale per garantire la stabilità del sistema stesso, d’altra parte, un approccio ancorato in un’ottica tradizionale del “fare banca” rischia di risultare anacronistico rispetto alle ambizioni che la Cina nutre come potenza geopolitica e geoeconomica. Questi elementi potrebbero mettere in crisi l’approccio inaugurato da Pechino, anche se l’azione del Partito contro i monopoli Fintech non sembra, almeno nel breve termine, incontrare difficoltà significative.
Fonte: https://www.cesi-italia.org/articoli/1378/come-e-perch-la-cina-sta-regolamentando-i-monopoli-fintech
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