Europa e sovranità linguistica
di QELSI (Leonardo Giordano)
C’è stato un tempo in cui si è creduto che per accelerare il processo di unificazione europea, prima ancora che avere un governo comune, un esercito comune, una politica estera comune ed una moneta comune, fosse necessario avere una lingua unica. E così nasce l’esperanto, una sorta di lingua creata in laboratorio, con l’ausilio dei primi algoritmi informatici, come una sorta di “luogo geometrico” tra tutti gli idiomi delle singole nazioni che si ritrovavano ad abitare il Vecchio Continente.
Pensate, nemmeno ai tempi della dominazione spagnola e di Carlo V si era avuto l’ardire di imporre agli stati e alle nazioni che facevano parte dell’Impero sul quale “non tramontava mai il sole” una lingua unica. In verità nemmeno in Spagna, Carlo V e i suoi discendenti mai pretesero di imporre il castigliano lasciando la libertà di parlare, nei paesi baschi, il basco, in Catalogna, il catalano.
Nella Napoli spagnola vi fu addirittura un acceso dibattito se si dovesse parlare l’italiano napoletano o l’italiano toscano e fino al successore di Carlo V, Filippo II, si promosse la diffusione e l’uso dell’italiano toscano precedendo la manzoniana “sciacquatura” dei panni linguistici nelle acque dell’Arno.
Negli anni ’80 si è preso atto del fallimento dell’esperanto e si è iniziato a ragionare su di un altro versante. In verità già nel 1977, con la Raccomandazione n. 814, si sottolineò l’importanza di preservare “la diversificazione” delle lingue nazionali, intesa come ricchezza e non come un limite, e si pensò ad identificare per ogni lingua europea un “livello soglia” (treshold level o niveau seuil), inteso come un minimo comun denominatore di strutture e competenze linguistiche volto ad assicurare livelli di accettabile comunicazione tra europei di diversa estrazione nazionale.
Il punto di svolta vero e proprio si ebbe nel 1986 allorché il Consiglio d’Europa, durante la 38^ sessione, approvò all’unanimità una relazione dal titolo “L’eredità culturale e linguistica dell’Europa”, per la prima volta affidata ad un parlamentare italiano, per la prima volta elaborata e scritta da un parlamentare italiano. Questo compito prestigioso quanto delicato toccò a Pino Rauti.
Quali i punti più salienti e più pertinenti rispetto al tema della “sovranità linguistica” scritti nel rapporto? Nell’introduzione si afferma il principio della diversità linguistica come fondamento dell’identità europea. Dice testualmente la relazione: ‹‹ La diversità di linguaggi dell’Europa è il centro della sua identità culturale. Un linguaggio non è esclusivamente un mezzo di comunicazione ‒ questo era l’errore di chi aveva creduto nell’esperanto n.d.r. ‒ ma riflette anche una storia, una civiltà, un sistema di valori.››. Per dimostrare il fondamento e la validità di tale assunto si snocciolano citazioni che vanno da Peguy a Braudel, addirittura da Gramsci al sociologo Riccardo Petrella il quale affermava:‹‹ Come fino a poco fà la logica standardizzante e restrittiva a base di ogni politica nazionale del linguaggio era riferita ad un solo idioma, oggi l’unico punto di partenza per un’azione europea è il riconoscimento della molteplicità dei linguaggi e delle culture all’interno dell’area europea.››
Nell’introduzione della relazione si accenna anche al pericolo rappresentato dall’avvento dell’informatica e delle nuove tecnologie che già da allora sembravano paventare il rischio che il loro linguaggio standardizzato e “meccanizzato” si potesse sovrapporre alle lingue nazionali finendo per impoverirle e ridurle allo stato della neolingua orwelliana di “1984”. Di qui la necessità di ‹‹prendere specifiche azioni per incoraggiare un uso più creativo del linguaggio, lo sviluppo della letteratura e un’intensificazione della lettura.››
A parere del Consiglio d’Europa un’azione indispensabile e preliminare ad ogni altra cosa, per salvaguardare la diversità linguistica e l’esistenza stessa delle varie lingue europee, era quella di rafforzare le capacità linguistiche di base e di comprensione dei documenti letterari scritti: ‹‹ Per assicurare che il popolo possa esprimersi con la lingua e la letteratura, deve essere presa un’azione specialmente nel campo educativo. Le scuole, dal livello materno in poi, devono dare agli allievi delle solide fondamenta nella loro lingua natale, nel campo dell’espressione autonoma scritta e orale.››
Questa azione di rafforzamento e consolidamento delle conoscenze linguistiche di base risultava tanto più necessaria per il fatto che i nuovi mezzi di comunicazione audiovisivi e informatici tendevano ad abbassare fortemente il livello di apprendimento di tali conoscenze e competenze creando quel fenomeno che è stato definito “analfabetismo di ritorno”.
Lettura e letteratura, inoltre, secondo il rapporto del Consiglio d’Europa, sono fondamentali non solo per l’apprendimento linguistico in senso stretto (una lingua già di per sé è un universo culturale) ma anche per sviluppare senso critico e creatività, immaginazione, stupore e curiosità verso il mondo e la vita.
La fissazione da parte della già citata Raccomandazione n. 814/1977 dei così detti “livelli soglia”, invece di evitare tali rischi, per molti versi li ha accentuati e moltiplicati poiché nella pratica comune di tali strumenti, essi sono stati intesi più come obiettivi finali che non come livelli di partenza in vista di un ulteriore accrescimento e miglioramento delle capacità comunicative e della ricchezza lessicale, strutturale e morfologica degli idiomi nazionali. ‹‹Come il suo stesso nome indica, il “livello soglia” è soltanto il punto iniziale, sebbene essenziale, per l’apprendimento delle lingue. Esso deve essere seguito in misura ben più profonda (letteratura ecc.) ed essere esteso: in linea di principio ognuno dovrebbe essere capace di usare almeno due lingue straniere.››
Dopo una lunga ed articolata diagnosi dello stato delle lingue europee, testé riassunta e sintetizzata, segue nella relazione vergata da Pino Rauti un’attenta ed accurata prognosi per uscire dall’impasse ed evitare la scomparsa o il declino di prestigiose e nobili lingue nazionali con le quali le grandi menti europee, da Dante a Shakespeare, da Goethe a Hugo, da Cervantes a Kafka, si sono espressi.
Detta in breve essa consisteva nel disporre che nei sistemi scolastici europei, ad iniziare almeno dalla scuola media di I grado, si potessero apprendere almeno due lingue straniere europee. Di fatto, in tal modo ogni europeo veniva a possedere gli elementi basilari (livello soglia) di almeno tre idiomi nazionali, compreso quello natale. ‹‹E’ questo il modo per avviarsi ‒ sottolineamo avviarsi ‒ efficacemente sulla via dell’integrazione linguistico – comunicativa e al tempo stesso conservare e preservare la propria specificità linguistica e quindi anche culturale.››
In Italia, contrariamente a vari altri paesi europei attestati su di un incomprensibile e gretto sciovinismo linguistico, questo discorso fu avviato alla fine degli anni ’80 con l’introduzione della seconda lingua straniera nella scuola media di I grado, nel liceo scientifico e nel liceo classico (laddove una sola lingua straniera veniva studiata prima per solo due anni al biennio iniziale). Per l’istituto magistrale e per alcuni istituti tecnici e professionali si passò a studiare una lingua per l’intera durata del corso scolastico ed una seconda lingua per il solo biennio iniziale.
Adesso assistiamo al paradosso che, per certi versi, rischia di coprirci di ridicolo, per cui in Europa la lingua comune è di fatto l’inglese, cioè la lingua ‒ madre di una nazione che, dopo la Brexit, è uscita dall’Unione Europea. Che il concetto di “sovranità linguistica” non sia un concetto astratto ed esiziale, ce lo rivela il fatto che alcuni anni fa la Cina ha provato ad inserire nel sistema scolastico italiano lo studio e l’apprendimento del cinese offrendo docenti, strutture e materiali gratuiti.
Il Consiglio d’Europa, sotto la propulsione intellettuale di Pino Rauti, vide con largo anticipo cosa si stesse preparando sul piano della conservazione e della tutela dell’identità linguistica che rappresenta la quintessenza dell’identità culturale e nazionale; per altri versi della stessa identità europea se ancora se ne può parlare.
FONTE: https://www.qelsi.it/2021/europa-e-sovranita-linguistica/
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