Alcune riflessioni sul green pass
da PAGINA FACEBOOK (Andrea Zhok)
E’ di ieri la notizia dell’obbligatorietà del Green Pass per l’accesso ad un’ampia serie di attività, non solo voluttuarie, e per tutti i soggetti di età superiore ai 12 anni.
Ci potevano essere forme in cui un’operazione simile poteva avere senso, ma non sono quelle che identificano le caratteristiche attuali del Green Pass, che si presenta come francamente inaccettabile.
Quest’iniziativa ha molti padri.
E’ frutto dell’indecoroso livello dell’informazione, della propaganda battente da parte di portatori d’interesse non chiaramente identificabili, ma assai ascoltati, della confusione concettuale prodotta dalle passerelle di ‘esperti’ in cerca di gloria, e dell’arroganza dogmatica di parte influente dei nostri gruppi dirigenti.
Proviamo a fissare le idee per punti.
1) Un breve passato e le sue indicazioni
Partiamo da questa domanda: I vaccini anti-covid sono “vaccini sperimentali”?
Questa domanda è stata posta l’altro giorno da Concita Di Gregorio ad un virologo di corvée in televisione. Come d’uso, la forma presa dalla domanda non era neanche un po’ suggestiva: “Dunque non è vero che i vaccini attuali siano – come dicono alcuni – ‘vaccini sperimentali’?” Una volta alzata così graziosamente la palla, all”esperto’ non restava che schiacciare, affermando che “No, assolutamente, si tratta di vaccini ampiamente e attentamente sperimentati.”
Ora, a chiunque abbia ancora a cuore l’onestà intellettuale non sfuggirà che qui si sta giocando con le parole.
I vaccini elaborati per far fronte alla pandemia di Covid sono vaccini testati su coorti ampie e in modo intensivo, e dunque sono certamente ‘vaccini sperimentati’.
Ma sono anche farmaci testati con la tempistica più breve della storia dei vaccini e dunque, per definizione, non possono dare conto di effetti a medio e lungo termine, dunque sono anche ‘vaccini sperimentali’.
Sono vaccini che hanno avuto un accesso precoce alla fase 4, quella del monitoraggio su sicurezza ed effetti secondari del vaccino sulla popolazione generale, fase che di solito si sviluppa oltre 5 anni dopo la fase 1, e che qui invece è stata abbreviata – per note ragioni di urgenza – ad un anno.
Alcuni fatti.
E’ un fatto che negli ultimi mesi e a tutt’oggi, in diversi paesi, le rispettive autorità sanitarie abbiano fornito indicazioni differenti, consigliando il vaccino a gruppi di soggetti differenti.
E’ un fatto che in vari paesi, di non minore status scientifico del nostro, alcuni vaccini siano stati bloccati a macchia di leopardo, e per alcuni gruppi di soggetti.
E’ un fatto che si siano commessi occasionalmente (come accade fatalmente sui grandi numeri) errori di somministrazione (partite ‘difettose’, somministrazione di più dosi agli stessi soggetti, ecc.).
E’ un fatto che sono stati identificati alcuni problemi specifici per alcuni preparati, problemi non emersi nella fase sperimentale che aveva portato alla loro commercializzazione. Per il vaccino Astrazeneca si sono riscontrate trombosi aspecifiche in un numero significativo di soggetti, per il vaccino Janssen è stato aggiornato proprio ieri il foglio illustrativo degli effetti collaterali includendovi, come effetto collaterale raro, la sindrome di Guillain-Barré (malattia autoimmune che può condurre a paralisi progressiva). (La GB conduce a paralisi del sistema nervoso periferico progressiva e regressiva, con mortalità dell’ordine del 3% e che in alcuni casi può lasciare strascichi più o meno gravi n.d.r.).
Questi fatti ci dicono una cosa semplice, ovvero che chiunque si sbracci, giurando a reti unificate, sul proprio onore e nel nome della Scienza, l’Assoluta Sicurezza dei Vaccini o è un mentitore o è uno sciocco.
La frase generica: “i vaccini anti-Covid sono sicuri” è una semplificazione non sostenibile.
Essa andrebbe sostituita da qualcosa come: “i vaccini anti-Covid presentano un profilo costi-benefici che, allo stato attuale delle conoscenze, è positivo per i gruppi in cui il Covid rappresenta una minaccia grave.”
Si deve perciò trarre la conclusione che i vaccini sono insicuri?
No. Quello che si deve tenere fermo, evitando “menzogne per un bene superiore”, è che i vaccini in generale sono farmaci e non acqua fresca, che questi vaccini nello specifico presentano aree di nescienza più elevata rispetto a vaccini testati su tempi più lunghi, e che in generale sappiamo sin d’ora che in una minoranza di casi potremo avere effetti collaterali molto seri.
Chi dovrebbe dunque vaccinarsi? Dove dovremmo tirare esattamente la riga?
Qui il discorso sul piano scientifico è più complesso e non univocamente decidibile.
Possiamo facilmente convenire che per i gruppi più anziani (over 60) dobbiamo pesare un rischio manifesto elevato (del Covid) con un rischio remoto ed eventuale (del vaccino), e che dunque qui vaccinarsi è opportuno.
Ma se la riga sia da tirare sotto i sessanta, i cinquanta, i quaranta o dove altro è contendibile.
Fortunatamente la questione può essere però definita sul piano pragmatico. Quello che dobbiamo dunque chiederci è: “Qual è il problema che stiamo cercando di affrontare?”
Vogliamo forse garantire la piena e compiuta salute a tutti i cittadini?
Ovviamente no.
Nessuno è in grado di perseguire questo obiettivo, e probabilmente non è neppure auspicabile immaginare di porsi un simile fine.
Quello che stiamo perseguendo dall’inizio è un obiettivo differente: vogliamo evitare un blocco del sistema sociale e produttivo, e nello specifico un blocco del sistema ospedaliero che avrebbe ripercussioni su tutti gli altri livelli.
Rispetto a questo obiettivo la risposta da cercare, al netto di ogni retorica, è quella che sul piano statistico riduce l’impatto del Covid a dimensioni contenute, comparabili ad altre malattie già ordinariamente trattate.
Al meglio delle nostre conoscenze, dati statistici alla mano, una messa in sicurezza attraverso il vaccino dei soggetti al di sopra dei 50 anni di età è sufficiente ad ottenere questo obiettivo. Si può auspicare che anche altri, di età inferiore, si vaccinino. Ma niente al mondo parla a favore della vaccinazione di gruppi come quello della fascia di età 0-19, dove la letalità per Covid è dell’ordine dello 0,000001% (e solo in presenza di comorbilità).
2) Il presente
In questo contesto il Green Pass opera come una coazione pubblica senza assunzione pubblica di responsabilità.
Che si tratti di una coazione è chiaro nel momento in cui si vede che il Green Pass è richiesto per ogni sorta di eventi, non solo bar, ristoranti o discoteche, ma per ogni attività pubblica al chiuso (si pensi alle attività extrascolastiche dei ragazzi, come lo sport, un corso di lingua, ecc.). Inoltre si parla di estendere l’obbligo anche al trasporto pubblico.
E’ chiaro (e questo è manifestamente l’intento) che qui si tratta di COSTRINGERE la popolazione refrattaria – a prescindere dall’età – a vaccinarsi, pena la morte sociale, l’impossibilità di fare alcunché condannandosi ad una sorta di lockdown personale perenne.
Ma si tratta anche di una costrizione chiaramente in malafede.
Se ci fossero univoche motivazioni scientifiche e pragmatiche per poter operare serenamente, l’obbligo sarebbe già cosa fatta. Solo che un obbligo di legge è qualcosa che eliminerebbe lo scarico di responsabilità permesso dall’accettazione dei rischi (disclaimer) di chi si sottopone volontariamente alla vaccinazione. Un obbligo di fronte a possibili esiti nefasti, senza motivazioni ineccepibili, rappresenta una responsabilità grave, anche sul piano penale, che comprensibilmente nessuno si sente di assumere.
Al posto dell’obbligo si introduce perciò una coazione ‘soft’ che di fatto vuole obbligare gran parte di giovani e adolescenti a vaccinarsi, se non vogliono estinguersi socialmente (dopo due anni già vissuti in semi-clausura).
Così, prima, quando non c’era il vaccino, gli dicevano che non dovevano uscire di casa per ‘preservare i nonni’.
Adesso, che il vaccino c’è, gli dicono che devono vaccinarsi di corsa per preservare i nonni che non vogliono fare la fatica di andarsi a vaccinare.
Ma anche basta.
3) Verso il futuro
L’ultima questione che dovrebbe essere chiarita è: qual è la strategia di lungo periodo delle nostre classi dirigenti? Ne hanno una qualsiasi? Ci hanno mai pensato, o improvvisano giorno per giorno sulla base del prossimo ineludibile ‘allarme sociale’ rilanciato dai media?
La questione della strategia qui è cruciale. Per come stiamo impostando il problema del nostro rapporto di lungo periodo col Covid, ciò sembra implicare l’idea per cui l’intera popolazione dovrà vaccinarsi con scadenza di 9 mesi per tutta la vita, generazione dopo generazione.
Peraltro, se la nostra unica difesa contro il Covid diventa il vaccino, possiamo solo pregare che non emergano varianti capaci di aggirare i vaccini disponibili, perché in tal caso ci attendono solo altri lockdown, e poi altre corse a vaccini sperimentali, ecc. ecc.
Questo modo di immaginare il futuro è suicida.
Qualcuno dice che non si devono lasciar sviluppare le varianti. Splendido, e precisamente come?
L’idea che il virus smetterà di circolare è ridicola: un virus così contagioso e diffuso a livello mondiale, salvo miracoli, è destinato a diventare endemico.
L’idea di ‘bloccare lo sviluppo di varianti’ è dunque scientificamente un assurdo, visto che il virus, continuando a circolare, continuerà necessariamente a produrre varianti.
L’unico modo storicamente noto per affrontare situazioni del genere consiste nel trovare un modo di convivere con il virus.
In altre epoche ciò avveniva nel modo più brutale, andando incontro alle conseguenze e vedendo alla fine del confronto col morbo quali forme del virus erano rimaste in circolazione e quanta risposta immunitaria si era sviluppata nella popolazione.
Nella nostra epoca abbiamo la possibilità di attutire il colpo, di permettere alla popolazione più fragile di difendersi meglio, affrontando il virus con l’allenamento preventivo di un vaccino.
Questa è una bellissima cosa, perché può consentire di adattarsi al virus gradatamente, riducendo drammaticamente la mortalità e magari sviluppando nel frattempo cure sintomatiche capaci di superare le crisi più gravi.
Nella maggior parte dei paesi del mondo, per il semplice fatto che non avranno abbastanza vaccini a disposizione, questo è esattamente ciò che accadrà comunque.
E noi cosa pensiamo di fare?
Pensiamo di medicalizzare l’esistenza nostra e di tutte le generazioni future per preservare idealmente (e solo idealmente) il 100% della popolazione da ogni problema sanitario?
Non è chiaro quanto questa prospettiva sia insostenibile e perdente?
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=1898649343649789&id=100005142248791
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