Dalla catena montuosa dei Carpazi agli Urali non ci sono rilievi. L’Europa orientale è una vasta pianura da cui sono passati molti popoli. Alcuni vi si sono insediati, senza catene montuose a delimitare i confini dei loro territori. Polonia, Moldavia, Ucraina, Bielorussia, Paesi Baltici, come pure la parte europea della Russia sono corridoi di passaggio, la cui storia è dominata da flussi migratori. La maggior parte di questi Stati è addossata al mare o alla montagna. Solo Ucraina e Bielorussia non hanno confini naturali.
Alla fine della prima guerra mondiale la Conferenza di Pace di Versailles tentò, senza successo, di fissare delle frontiere in Europa orientale. A seconda che si fossero adottati criteri storici, linguistici, etnici o economici ne sarebbero risultate mappe differenti; ma gli interessi dei vincitori (Stati Uniti, Francia e Regno Unito) erano contrastanti, sicché le decisioni assunte soddisfecero solo metà degli interessati. Ancora oggi, da qualsiasi angolazione si affronti il problema, i confini di Bielorussia e Ucraina saranno comunque artificiali. È una situazione particolarissima, difficilmente comprensibile a popoli che hanno una lunga storia nazionale.
Assunta questa premessa, bisogna ammettere che né Bielorussia né Ucraina possono essere nazioni nel senso consueto del termine, il che non significa che non possano essere Stati. Il “nazionalismo ucraino” è un’ideologia artificiosa, che può costruirsi solo rifiutando altri popoli. È quanto fecero i banderisti nel periodo tra le due guerre e che ancor oggi fanno contro i “moscoviti” o i “grandi russi”. Una forma di nazionalismo che non può che essere distruttiva. L’esempio della Bielorussia dimostra che un’altra strada è percorribile.
La Polonia, completamente scomparsa nel XIX secolo, è stata ricostituita dopo la disfatta dell’impero austroungarico e la rivoluzione russa. Tuttavia la Conferenza di Versailles, che non ebbe problemi a fissare la frontiera occidentale della Polonia, non sapeva come delimitarne la parte orientale. Così la Seconda Repubblica polacca tentò di allargarsi facendo guerra all’Ucraina. Giunse ad annettersi l’intera Galizia. Oggi Cracovia è ancora polacca, ma Leopoli è ucraina. In realtà non ci sono ragioni evidenti per questa divisione, se non l’esito di conflitti armati.
Quando il presidente Volodymyr Zelensky afferma che Donbass e Crimea sono ucraini, descrive una situazione contingente delle mappe, ma non può addurre giustificazioni.
Nel 1792 l’impero russo conquistò la Crimea sottraendola all’impero ottomano, acquisì inoltre il diritto per la propria flotta di passare dagli stretti dei Dardanelli e del Bosforo. La zarina Caterina II voleva estendere l’influenza russa verso i mari del Sud, ma i britannici, valutando l’ingresso dei russi nel Mediterraneo un pericolo per la loro egemonia navale, organizzarono una coalizione con Francia e impero ottomano. Riuscirono a sconfiggere l’esercito russo, ma non riconquistarono la Crimea, territorio che nel 1917 l’Unione Sovietica riuscì a salvaguardare.
In Crimea, a Sebastopoli, avvenne la battaglia decisiva della seconda guerra mondiale (o della Grande Guerra Patriottica, come la chiamano i russi) che segnò l’inizio della fine del III Reich.
Nel 1954 il primo segretario dell’URSS, l’ucraino Nikita Krusciov, decise di amnistiare i banderisti, nonché di annettere amministrativamente la Crimea alla Repubblica Socialista Sovietica di Ucraina. Si trattava di voltare la pagina dei crimini di banderisti e nazisti durante la guerra, nonché quella dei crimini di banderisti e CIA ai primordi della guerra fredda.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, il 12 febbraio 1991 la Crimea dichiarò con un referendum la propria indipendenza e si diede il nome di Repubblica Socialista Sovietica Autonoma di Crimea. La rimanente parte dell’attuale Ucraina confermò la propria indipendenza solo nove mesi dopo, il 1° dicembre 1991. Ma il presidente russo Boris Eltsin rifiutò di annettere alla Russia la Crimea, che il 26 febbraio 1992 decise di rientrare nell’Ucraina.
Quando il presidente democraticamente eletto Viktor Yanukovich fu rovesciato con una rivoluzione colorata organizzata dagli Stati Uniti, il nuovo governo cooptò una dozzina di banderisti [1]. La Crimea si rifiutò di subire un regime politico razzista e con un referendum decise di riprendersi l’indipendenza e di chiedere l’adesione alla Federazione di Russia.
Dopo l’installazione di basi militari russe in Siria, Londra vide nella presenza russa in Crimea la riproposizione di un rivale in grado di minacciare la sua egemonia marittima.
Dopo aver conquistato la Crimea, la zarina Caterina II inviò la flotta russa a Beirut e a Laodicea. Installò inoltre una colonia d’insediamento nel sud dell’Ucraina, la Nuova Russia (Novorossia). Questo territorio comprendeva Donbass, Mykolaiv, Kirovograd (oggi Kropynytskyï), Kherson, Odessa, Gagauzia e Transnistria (l’attuale Repubblica moldava del Dnestr). Anche Pavel Gubarev, che nel 2014 era governatore di Donetsk, ricusò il nuovo regime di Kiev, imposto dal “colpo di Stato” o dalla “rivoluzione”, secondo i punti di vista. Gubarev propose la secessione dall’Ucraina, insieme a tutti i territori della Nuova Russia della zarina Caterina II. Gubarev non era né filorusso né filostatunitense, ma filoeuropeo. Ma quando Kiev lo arrestò e lo mise in prigione divenne filorusso. Quando il presidente Zelensky ha rifiutato la proposta di pace della Russia, il presidente Putin gli ha risposto che gli obiettivi della Russa con l’andar del tempo si sarebbero allargati. La liberazione della Nuova Russia (Novorossia, come detto) è ora l’intento strategico delle forze armate russe. In quasi tutte le guerre il vincitore pretende compensazioni, solitamente territoriali. Per la guerra in corso si tratterà della Novorossia.
Creando le Nazioni Unite i vincitori della seconda guerra mondiale speravano di porre fine alle guerre di conquista. Riconobbero tuttavia che la guerra può essere una risposta legittima ad alcuni tipi di conflitto. Le grandi potenze si sono astenute dalla guerra fino allo smembramento della Jugoslavia in sette Stati. Il Kosovo si è trasformato in base militare statunitense nei Balcani, sulla cui sicurezza veglia costantemente un contingente della Nato. La Bosnia-Erzegovina è tuttora una colonia dell’Unione Europea ed è governata da un Alto Rappresentante Internazionale. Questi deplorevoli esempi sono un precedente che non consentirà di contestare l’eventuale adesione della Novorossia alla Federazione di Russia.
La Polonia, che non ha mai accettato la perdita della Galizia orientale, nel 2014 partecipò all’operazione degli anglosassoni per rovesciare il presidente eletto. All’epoca pubblicai un articolo in cui rivelavo che 86 rivoltosi della milizia banderista Pravy Sector a settembre 2013 furono addestrati dalla Polonia nel centro di polizia di Legionowo [2]. Supervisionò l’operazione Radoslaw Sikorski, allora ministro della Difesa e in seguito ministro degli Esteri. La notizia fu smentita dall’interessato, ma il Procuratore Generale polacco finì con l’aprire un’informativa giudiziaria sulla curiosa vicenda.
Il sostegno della Polonia ai banderisti contro il presidente ucraino può essere stato un’autentica manipolazione. Nel 1934 Stepan Bandera aveva infatti sovrinteso all’assassinio del ministro polacco dell’Interno, Bronislaw Pieracki, per conto della Gestapo e durante la seconda guerra mondiale ordinò molti massacri di polacchi.
Fu presto evidente che i diplomatici straussiani Victoria Nuland (attuale numero due della segreteria di Stato USA) e Derek Chollet (attuale consigliere del segretario di Stato Usa) sovrintesero alla rivoluzione colorata/colpo di Stato ucraino, messo in atto però dai canadesi e dai polacchi Radoslaw Sirkorsky e Jerzy Dziewulski. Quest’ultimo è un prestigioso poliziotto, formatosi in Israele, diventato in seguito consigliere del presidente della repubblica, nonché parlamentare. Una foto del giugno 2014 lo mostra mentre dirige le forze d’intervento, a fianco del presidente a interim ucraino Oleksandr Turchynov.
All’inizio dell’operazione militare speciale russa del 2022 la Polonia è tornata alla carica. Quando la Nato annunciava l’imminente disfatta russa, il generale Waldemar Skrzypczak chiese che Kaliningrad (che non è mai stata polacca) fosse trasferita dalla Russia alla Polonia, a titolo d’indennizzo dei danni di guerra. Siccome è stato presto evidente che la Russia avanzava e che a perdere sarebbero stati gli ucraini, il presidente Andrzej Duda ha cominciato ad accarezzare l’idea di recuperare la Galizia orientale, persa con la seconda guerra mondiale. Dapprima ha proposto agli ucraini di dispiegare una forza di pace polacca per proteggere la Galizia. Poi ha pronunciato un vibrante discorso per assicurare ai vicini il sostegno polacco contro la Russia. Infine si è recato a Kiev dove ha tenuto un discorso alla Verkhovna Rada. Alla fine la Polonia ha cominciato ad attuare un piano di cooperazione a senso unico. Ha dispiegato alti funzionari per amministrare il Paese, che gran parte della popolazione ha abbandonato. Ma non l’inverso: non c’è alcun funzionario ucraino in Polonia. Inoltre, dopo aver accolto due milioni di rifugiati politici ucraini, la Polonia ha fatto sapere che dal 1° luglio cesserà di sostenerli con sussidi economici.
L’accettazione entusiasta da parte dei banderisti dell’aiuto di Varsavia in cambio della cessione di territori attesta la natura artificiosa del loro “nazionalismo”.
Commenti recenti