Fuori le palle!
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Cino Vescovi)
In amichevole, la Germania abbandona il campo di calcio. Motivo: insulti razzisti. Idiozie del politicamente corretto. Lo sport insegna a reagire, a ruggire, a non cedere mai
Seguo, come tutti, queste Olimpiadi senza pubblico. Ascolto i commentatori in studio: eh, certo che la presenza del pubblico fa comunque effetto, incide sempre sulla gara e sulla testa dello sportivo. Anche quando tifa contro. Quanto è vero, penso tra me.
Del resto, sono cose che sento ripetere a un mese di distanza dalla vittoria degli europei – e quanto sono stati bravi i nostri a vincere a Wembley, tutto lo stadio per gli altri e quattro biglietti lasciati all’Italia, con l’inno perfino fischiato. Hanno realizzato il sogno di ciascuno di noi, in modalità bambino: da soli contro tutti in un’arena che tifava violentemente per gli altri. Non c’era bisogno di aver metabolizzato grandi studi classici: bastava che Lorenzo “tiraggiro” Insigne e compagni avessero bene in testa Il Gladiatore. Cosa che certamente avevano, ed è stato più che sufficiente: hanno tradotto i nostri sogni più mostruosamente proibiti. Bravi ragazzi – Viva l’Italia! – Inglesi ne dovete mangiare ancora di pastasciutta. Un vero trionfo, insomma.
Del resto, erano gli stessi giorni in cui Djokovic portava a casa Wimbledon, terzo slam dell’anno. Djokovic, colui che vorrebbe essere amato dal pubblico così come Federer e Nadal e non ci riesce, è l’unica cosa che non riesca a fare. Djokovic che è una macchina da guerra, e che quando è in campo non va mai stuzzicato, perché se no a quel punto diventa un fatto personale. E se diventa un fatto personale – se lo fischiano, se c’è polemica testa a testa con l’avversario – Djokovic non perde. Mai. E infatti, senza pubblico, alle Olimpiadi crolla pure lui, in vantaggio di un set e un break. Contro Zverev, tra l’altro, uno che del combattente ha nulla, e che col serbo perde sempre. Per poi perdere pure il bronzo contro Carreno Busta, lui discreto combattente, ma uno che non gli dà mai fastidio. (Certo, il tennis – così come del resto il calcio – alle Olimpiadi non dovrebbe neanche starci. Ma questo è un altro discorso).
Ci sono queste cose – e poi ci sono le notizie che cozzano. Pochi giorni prima delle Olimpiadi, leggo che la Germania abbandona il campo a cinque minuti dalla fine, in una partita preolimpica con l’Honduras. Motivo: insulti razzisti contro un suo calciatore di origini nigeriane. Il CT Stefan Kuntz spiega a tutti che, in caso di offese razziali, giocare non è un’opzione. Non è la prima volta che accade, in giro per il mondo, e capiterà sempre più spesso. Certamente, nel grande giubilo della pubblicistica tutta – perché bisogna dare un segnale concreto contro il razzismo, e altri frase sfatte.
E qui mi sembra che siamo a una delle tanto ridicole frontiere del politicamente corretto, e che qualcosa non torni. Intanto perché mi sembra un’autentica scemenza regalare il telecomando della partita agli ultimi che lo meriterebbero. Insomma: contesti i fischi e gli insulti di quella gente e poi gli dai anche modo di farti uscire dal campo… quando loro decidono di fischiarti? Ma è un cortocircuito tra i più perversi. Ma questa non è l’unica ragione che rende il tutto veramente indigeribile.
Ora, chiunque abbia fatto sport sa come funziona. In campo nei più improbabili scenari di prima o seconda categoria? Di interregionale? Fuori dalle giovanili, piazzato di punta contro le peggiori fiatelle alcoliche della domenica mattina, a forza di gomiti ficcati nei fianchi, la prima cosa che il ragazzino apprende dal suo marcatore, con qualche sorpresa, è quella di possedere la mamma maiala. E una fidanzata decisamente bagascia, anche se forse non tanto quanto la sorella. E il ragazzino sarà chiamato a reggere.
Mandato a giocare contro qualche veterano, il piccolo tennista tredicenne non avrà neanche finito il primo game e si sarà sentito chiamare fuori palle dentro di un metro. E comincerà a perderà la testa per quei furti smaccati, senza destrezza – e sarà chiamato a non farlo. (Leggere di Agassi, per reagire: nei peggiori tornei senza arbitro, quando gli fregavano una pallina, reagiva il quindici dopo chiamando fuori qualunque palla. E poi si iniziava a discutere).
Hai voglia con la retorica dello sport formativo. La formazione è una cosa multiforme. Chiunque abbia fatto sport davvero, a qualunque livello – con le varianti del caso, si intende – sa come funziona. Funziona così. La provocazione è la prima cosa che ci si trova ad affrontare. Tacita, esplicita, sfacciata. Di qualunque tipo. Nessuno sa bene cosa possa aver detto Materazzi a Zidane, ma una cosa è certa: sarà stata roba da ridere, rispetto a un qualunque campetto scalcagnato (una volta pieno di pietre e buche, adesso magari col manto d’erba sintetica posato male).
Ma vorremo mica dire che lo sport costituisca mondo a sé? Ma certo che fa storia a sé. Lo sport ha – sarebbe bello se avesse – molto meno importanza politica e di costume di quanta gliene venga data adesso. Comunque sia, vive di statuti suoi. Se Fognini si dà del frocio per una palla sbagliata, non è un problema di omofobia: è uno che si sfoga con sé stesso mentre è in campo. È solo sport, non ci si può costruire sopra niente. O si sta su Feisbùk o si sta in campo. Sono scemenze, non fatti di costume. Se non avete mai abbandonato il divano, potete dire quello che volete, ostentando piglio saputo. Se siete stati in campo, in qualunque sport e a qualunque livello, sapete come funziona. Non c’è bisogno di spendere parole per spiegarlo.
E quindi, amici di colore (nero): non abbandonate l’arena. Picchiate, entrate a gamba tesa, correte e segnate. E poi gonfiate i muscoli ai fischi. Amici di colore (negro): dateci dentro, dito medio e riempite la rete. Mettetela in Fuga per la vittoria, se il Gladiatore non vi piace: gol in rovesciata all’ultimo secondo. Vedrete che è l’unico modo per costringere i falsi nazisti ad alzarsi in piedi e applaudirvi. Perché la rovesciata alla Pelè la capiscono tutti.
Però, davvero, non lasciate il campo – piagnucolanti, poi – per quattro stronzi che fischiano. Mai.
(Anche perché pure questa è soltanto una trappola del Grande Giornalista Buana Bianco, quello che fa finta di sostenere una battaglia di cui non gli frega niente, ma che in questo momento fa tanto curriculum appoggiare così).
FONTE: https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/societa/sport-politicamente-corretto/
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