Avanza con gli stivali delle sette leghe la strategia militare “di difesa” dell’Unione Europea, cui Washington risponde con l’alleanza anglosassone dentro e fuori la NATO. Momenti significativi del confronto sono stati, da un lato, la dichiarazione congiunta della presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen e del Ministro della difesa tedesco Annegret Kramp-Karrenbauer, con cui si chiede un «salto in avanti» nella militarizzazione della UE, dichiarazione immediatamente seguita dal discorso della von der Leyen sul cosiddetto “stato della UE” e, dall’altro lato, l’adesione ufficiale dell’Australia all’accordo AUKUS con USA e Gran Bretagna, «per la stabilità nella regione Indo-Pacifico». Definizione, quest’ultima, con cui a Washington si intende la volontà di fare il proprio comodo in un bacino in cui ormai da anni portaerei e incrociatori yankee cercano lo scontro ravvicinato con la marina cinese, per cercare di frenare gli investimenti di Pechino anche nelle isole del Pacifico.
L’accordo AUKUS ha comportato la rescissione, da parte di Canberra, del contratto da 56 miliardi di euro con la francese Naval Group per la fornitura di 12 sommergibili convenzionali (realizzati però con la tecnologia di quelli nucleari della classe “Barracuda”) a favore di un intesa da 66 miliardi $ con imprese USA e britanniche, che forniranno all’Australia la tecnologia necessaria a costruire ad Adelaide almeno otto sommergibili nucleari, il cui varo è previsto intorno al 2036.
Secondo la TASS, gli australiani avranno accesso anche alla tecnologia missilistica USA e ai missili da crociera Tomahawk per i cacciatorpediniere classe “Hobart”, oltre a JASSM e LRASM per i velivoli F/A-18 e F-35. Le forze di terra australiane riceveranno missili in grado di distruggere bersagli a oltre 400 km. I nuovi vascelli, osserva Il Sole 24 ore, «avranno raggio d’azione illimitato, capaci di spingersi nel mar Cinese Meridionale e a Taiwan, operare in assoluto silenzio e difficili da intercettare, con la possibilità di manovre navali alleate nell’aera che modifichino drasticamente l’equilibrio militare nella regione».
L’intesa AUKUS prevede anche massiccia cooperazione nei settori cibernetico e dell’intelligenza artificiale, elementi centrali nelle guerre moderne; in sostanza, l’Australia diventa la settima potenza a dotarsi di sommergibili nucleari, oltre USA, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina e India.
Dopo che USA e Gran Bretagna, col pretesto del “pericolo cinese”, hanno soffiato alla Francia l’affare multimiliardario, Parigi ha richiamato i propri ambasciatori da Washington e Canberra. L’Australia deve inoltre considerare anche le molto probabili contromisure economiche del proprio maggior partner commerciale: la Cina.
Il Ministro degli esteri francese Jean-Ives Le Drian ha parlato di “colpo alla schiena”. Per la legge del contrappasso, gli ha risposto indirettamente la portavoce del Ministero degli esteri russo, Marija Zakharova – «sono cattivi solo quei coltelli che senti conficcati nella tua schiena?» – ricordando come nel 2015 Parigi stessa, dietro pressioni USA, avesse rescisso il contratto di 1,2 miliardi di euro stipulato nel 2011 tra DCNS/STX e Rosoboronexport, per fornire alla Russia due portaelicotteri classe “Mistral”.
Colpo alla schiena o meno, l’azionariato francese sta subendo batoste a ripetizione: le svizzere Le Matin Dimanche e Sonntags Zeitung scrivono che Emmanuel Macron ha fatto sapere che non ci sarà alcun incontro a novembre con l’omologo svizzero Guy Parmelin, dopo la disdetta da parte di Berna del contratto per la fornitura di caccia “Rafale” a favore di trentasei “F-35” USA, per un valore di 6,5 miliardi di dollari.
Secondo la cripto-americana HuffPost, l’intesa Washington-Londra-Canberra sarebbe «paragonabile per importanza all’accordo sull’intelligence Five Eyes, firmato 75 anni fa da USA, UK, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Al vecchio nemico di allora, l’Unione Sovietica, si è sostituito il grande rivale di oggi, la Repubblica Popolare Cinese, in una sfida che rende l’Europa sempre più piccola e marginale». Si tratta, osserva invece la TASS, di una ulteriore «alleanza di Washington nella regione Asia-Pacifico, quantunque gli USA collaborino già con l’Australia tanto nel ANZUS (Washington, Wellington, Canberra) che nella Five Eyes».
Al momento, stante la ritrosia di buona parte dei paesi dell’ASEAN (Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore, Thailandia, Brunei, Viet Nam, Laos, Birmania, Cambogia) a mettersi in contrasto con Pechino, Washington punta infatti a nuove direttrici anti-cinesi. Non sembra del tutto chiaro se la nuova alleanza AUKUS si sovrapponga o si affianchi, ad esempio al QSD (Quadrilateral Security Dialogue: USA, India, Giappone e Australia) nel progetto yankee del cosiddetto “partenariato Indo-Pacifico”, una sorta di NATO orientale, in cui il Pentagono intenderebbe riunire le regioni Asia-Pacifico e Sud-Asiatica, per coinvolgerle contro la Cina.
Anche la strategia Indo-Pacifico della UE, scrive Jörg Kronauer su Die junge Welt, presentata nei giorni scorsi a Bruxelles, prevede maggiore cooperazione militare con i singoli stati QSD, con «espansione della presenza navale nella regione Indo-Pacifico» e la determinazione di «aree marine di interesse» in cui cooperare con «partner regionali».
Per parte sua, però, il Ministero degli esteri cinese ha dichiarato che il patto AUKUS mina «la pace e la stabilità» e intensifica la corsa agli armamenti, mentre dichiara «non gradita la visita a Shanghai della fregata tedesca “Bavaria”, che sta toccando i porti dei tre membri orientali del QSD: Australia, Giappone e India.
Di converso, scrive Il Sole 24 ore, la Cina ha avviato le procedure per l’adesione all’Accordo globale e progressivo di partenariato trans-Pacifico (CpTpp, o Tpp-11), che ha istituito «un’area di libero scambio che include Giappone, Australia, Canada, Messico, Nuova Zelanda, Viet Nam, Singapore, Malesia, Brunei, Cile e Perù». Attraverso il Tpp, Pechino intenderebbe «aumentare ulteriormente il proprio peso nell’arena economica e commerciale dell’Asia-Pacifico». Non è però escluso che la candidatura cinese si scontri col veto dell’Australia, su pressione USA.
In questo quadro, quale è il ruolo dell’Europa? Ne dà un sunto, di nuovo, il quotidiano di Confindustria. Sulle sue pagine, da un lato, in ossequio al proprio ruolo, il Segretario generale NATO Jens Stoltenberg afferma perentoriamente che «Senza gli USA, l’Unione europea non sarà mai in grado di difendere l’Europa»: ciò anche «per motivi geografici: la Norvegia a Nord, la Turchia a Sud, il Canada, gli Stati Uniti e il Regno Unito a Ovest contribuiscono alla difesa dell’Europa. Abbiamo quindi bisogno di un legame transatlantico per una credibile difesa dell’Europa». Dunque, «Nord America e Europa devono rimanere uniti perché stiamo affrontando un cambio negli equilibri di potere a livello globale sulla scia di una Russia più aggressiva e dell’ascesa della Cina».
Dall’altro lato, il Commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, incita ad accelerare il passo sulla “difesa comune europea” e a ridefinire «la dottrina della sicurezza», dando vita a «una forza di proiezione attivabile rapidamente», soprattutto dopo il ritiro yankee dall’Afghanistan, che «ha evidenziato ancora una volta la forte dipendenza dell’Europa dalla politica estera e di sicurezza di Washington».
Più apertamente, gli obiettivi strategici sono stati esposti in lingua teutonica.
Stiamo entrando in «una nuova era di maggiore concorrenza» a livello globale, ha detto Ursula von der Leyen nel discorso sullo stato dell’Unione; dunque, la UE deve essere in grado di operare militarmente in modo indipendente, anche «senza la partecipazione di NATO o ONU». Annegret Kramp-Karrenbauer, che di recente aveva raccomandato la creazione di «coalizioni dei volenterosi» per le future operazioni militari UE e ha ora definito «importanti» le parole della von der Leyen, già in precedenza aveva diagnosticato un «cambiamento d’epoca», per cui «la politica di sicurezza sarà molto più centrale». Ragion per cui, in vista di future operazioni militari, «la cultura strategica della Germania deve cambiare» e tale mutamento, prospettato da Berlino, verrà con ogni probabilità comminato a tutti i paesi membri al vertice UE sulla difesa, previsto per la prima metà del 2022, quando sarà la volta della presidenza francese: tanto per ribadire il fulcro strategico Berlino-Parigi. Intanto, già alla fine di ottobre, ha detto AKK, verrà presentato il piano per la creazione di una forza europea di reazione rapida, indipendente dalla NATO.
«Per quanto ricordo» ha dichiarato a Narodnye novosti il politologo Ruslan Bizjaev, il tema è già vecchio di «sette anni. Tutto è iniziato con il concetto della creazione di forze armate europee, quale mezzo per fornire una soggettività all’Unione europea, dato che oggi la UE è solo un soggetto economico e che, per diventare soggetto geopolitico, deve disporre di proprie forze armate». Bizjaev ha comunque osservato che il «processo di creazione di proprie forze armate potrebbe richiedere decenni, viste le serie contraddizioni politiche interne alla UE». Ma, se i piani andranno in porto, allora ci saranno «gravi conseguenze per la NATO», fino a una sua «radicale riorganizzazione o addirittura al crollo» dell’Alleanza atlantica.
Un quadro, quello dipinto da Bizjaev, forse troppo “futurista”, ma non completamente fantasioso, anche se il Ministro degli esteri francese Jean-Yves Le Drian ha dichiarato a France 2 che, nonostante la crisi tra Francia e USA sia giunta a un livello critico, non crede che si possa arrivare al ritiro della Francia dalla NATO. La disputa sulla rescissione del contratto da parte australiana, infatti, ha avuto uno strascico nelle ultime ore: il britannico Sunday Telegraph ha scritto i che dettagli del AUKUS erano stati concordati al G7 del giugno scorso in Cornovaglia; ma Macron non ne era a conoscenza (??). Sarebbe stato l’ex segretario di stato britannico Dominic Raab a mettere a punto l’accordo, nonostante gli ammonimenti che ciò avrebbe potuto peggiorare i rapporti di Londra con Pechino e Parigi. Da parte sua, Le Drian ha definito false le notizie secondo cui Washington aveva discusso con Parigi la creazione del AUKUS e dell’intesa sui sommergibili, ancora prima che Canberra annunciasse la disdetta del contratto.
È stata quindi la volta di von der Leyen ad annunciare a tutti, quanto AKK aveva apparentemente raccontato ai soli tedeschi. Per «assicurare stabilità» ai diretti confini UE e anche oltre, «nelle diverse regioni», è indispensabile dar vita a una «Unione europea della difesa». E non basta rafforzare la «interoperabilità» delle forze armate dei singoli paesi, ma è anche necessario accelerare ulteriormente lo sviluppo dell’industria della difesa UE, attraverso «l’esenzione dall’IVA sull’acquisto di attrezzature per la difesa sviluppate e prodotte in Europa».
Senza mezze parole, von der Leyen dichiara che, sì, va bene il partenariato con la NATO, ma la UE deve «fare di più da sola sulla difesa» e, in ambito NATO, intende trattare da pari a pari con Washington, decidendo autonomamente i propri piani militari.
La lunga omelia di von der Leyen su “quant’è buona la UE” può essere divisa approssimativamente in tre parti, di cui prima e terza per lo più (ma non completamente) declarative, con una parte centrale diretta al cuore della questione.
Von der Leyen è partita con una lunga disquisizione su quanto fatto da Bruxelles nella lotta alla pandemia: a suo dire, con sforzi e risultati che hanno dello straordinario! Quindi, affermando che «Nell’ultimo trimestre la crescita della zona euro ha superato sia quella degli Stati Uniti che quella della Cina», è passata a parlare del digitale, «senza alcun dubbio, decisivo. Gli Stati membri condividono questa valutazione: la spesa per il digitale nel NextGenerationEU sforerà addirittura l’obiettivo del 20%, a riprova dell’importanza di investire nella nostra sovranità tecnologica europea». Si è lamentata che «mentre la domanda mondiale è esplosa, la quota europea dell’intera catena del valore, dalla progettazione alla capacità di produzione, si è assottigliata. Ora dipendiamo dai chip di ultima generazione fabbricati in Asia. In questo caso non si tratta solo di competitività. Si tratta anche di sovranità tecnologica. Dobbiamo coordinare gli investimenti UE e nazionali lungo la catena del valore. Lo scopo è creare insieme un ecosistema europeo dei chip che sia all’avanguardia, inclusa la produzione. Ci garantiremo così la sicurezza dell’approvvigionamento e svilupperemo nuovi mercati per una tecnologia europea innovativa», come fatto vent’anni fa con “Galileo” e il sistema di navigazione dei satelliti europei, ha detto Ursula.
Ma non basta, perché la UE è un autentico «pilastro europeo dei diritti sociali», che si esplicitano in «posti di lavoro dignitosi, condizioni di lavoro giuste, una migliore assistenza sanitaria e un buon equilibrio di vita» e, mentre lo dice, sembra crederci davvero, tanto da minacciare «una nuova strategia europea per l’assistenza» rivolta a tutti, mentre ai giovani «offriremo un nuovo programma: ALMA… per acquisire competenze, creare legami e forgiare la loro identità europea» e integrarli nella realtà comune europeista di disoccupazione, precariato e lavoro gratuito.
La signora ha declamato sulla crisi climatica, il “Green Deal europeo” e il “nuovo Fondo sociale per il clima”, finanziato con aumenti “di tipo ucraino” sulle tariffe energetiche.
Quindi, dopo due lacrimucce ipocrite per dire che «siamo a fianco del popolo afghano» e annunciare un «pacchetto di sostegno al popolo afghano», ecco che si viene al punto. E qui lasciamo la parola (sintetizzandola, comunque) direttamente a lei. «Vi sono questioni profondamente preoccupanti che gli alleati dovranno affrontare all’interno della NATO… Dobbiamo investire nel nostro partenariato congiunto e attingere alla forza unica che caratterizza ciascuna delle parti. Per questo motivo stiamo lavorando con il Segretario generale Jens Stoltenberg a una nuova dichiarazione congiunta UE-NATO da presentare entro la fine dell’anno. Questa però è solo una parte dell’equazione. L’Europa può — e chiaramente dovrebbe — essere in grado e avere la volontà di fare di più in autonomia. Ma se vogliamo fare di più, dobbiamo innanzitutto spiegare perché. Ritengo si possano abbozzare tre grandi categorie di motivi. In primo luogo, dobbiamo garantire stabilità nel nostro vicinato e nelle diverse regioni. Siamo collegati al mondo tramite bracci di mare angusti, mari tempestosi e vaste frontiere terrestri. Proprio a causa di questa geografia l’Europa sa meglio di chiunque altro che, se non ci si occupa tempestivamente delle crisi esterne, queste crisi si ripercuoteranno all’interno».
Eccoci al dunque: tutte le avventure di guerra in cui si è sinora lanciata la UE trovano qui il proprio sigillo “istituzionale”.
Dopo di che, continua Ursula, «la natura delle minacce che ci troviamo ad affrontare sta evolvendo rapidamente: dagli attacchi ibridi o informatici alla crescente corsa agli armamenti nello spazio», e «la “tecnologia di rottura” ha agito come un grande livellatore per il modo in cui oggi il potere può essere utilizzato dai cosiddetti “Stati canaglia” o da gruppi non statali. Non sono più necessari eserciti e missili per causare danni collettivi. Si possono paralizzare impianti industriali, amministrazioni cittadine e ospedali con un semplice computer portatile. Si può perturbare un intero processo elettorale con uno smartphone e una connessione a Internet»: l’hackeraggio è ovviamente una mania esclusiva dei “nemici della UE” e degli “Stati canaglia”! E, come terzo punto, «l’Unione europea è un garante della sicurezza unico nel suo genere. Vi saranno missioni in cui NATO o ONU non saranno presenti, ma a cui la UE dovrebbe partecipare», potendo «combinare aspetti militari e civili, diplomazia e sviluppo; abbiamo inoltre grande esperienza nella costruzione e nella protezione della pace. La buona notizia è che negli ultimi anni abbiamo iniziato a sviluppare un ecosistema europeo della difesa. Ma ciò di cui abbiamo bisogno è una Unione europea della difesa» e ciò che sinora l’ha ostacolata «non è solo una carenza di capacità: è la mancanza di volontà politica».
Come dire: si è finora fatta sentire eccessivamente la sudditanza agli ordini d’oltreoceano, mentre i nuovi equilibri euro-atlantici inducono a passi più “europeisti”.
Per ovviare quindi a quella «mancanza di volontà politica, per prima cosa «dobbiamo gettare le basi per un processo decisionale collettivo, con quella che definirei “conoscenza situazionale”. Se gli Stati membri attivi nella stessa regione non condividono le loro informazioni a livello europeo, siamo destinati a fallire. È essenziale quindi migliorare la cooperazione in materia di intelligence… [e] accorpare le conoscenze provenienti da tutti i servizi e da tutte le fonti, dallo spazio ai formatori del personale di polizia, dall’open source alle agenzie di sviluppo… Per questo motivo la UE potrebbe prendere in considerazione la creazione di un proprio “Centro comune di conoscenza situazionale” per accorpare tutte le diverse informazioni. E per essere meglio preparati, pienamente informati e in grado di decidere».
Difficile non percepire le implicazione di classe sottese in particolare a questo aspetto del proclama della von der Leyen: se l’asse portante franco-tedesco determina in gran parte le scelte strategiche europee, accettate o subite dai capitali più deboli, è poi però la classe capitalista tutta intera dei paesi UE a centralizzare i propri interventi contro i possibili movimenti sociali dell’intera classe operaia europea. Per assicurare la propria espansione imperialista, la UE deve prima di tutto garantire il proprio “stato di salute” sociale interno.
Inoltre, «dobbiamo migliorare l’interoperabilità. Ecco perché stiamo già investendo in piattaforme comuni europee, dai jet da combattimento ai droni e alla cibernetica… In terzo luogo, non si può parlare di difesa senza parlare di cibernetica… non dovremmo limitarci ad affrontare le minacce informatiche… Perciò abbiamo bisogno di una politica europea della ciberdifesa, compresa una legislazione su norme comuni nel quadro di una nuova legge europea sulla ciberresilienza… Per questo, durante la presidenza francese, convocherò con il Presidente Macron un vertice sulla difesa europea… Il primo passo è approfondire il partenariato con i nostri alleati più stretti… Con gli Stati Uniti… i nostri vicini nei Balcani occidentali… [dove] stiamo incrementando il nostro sostegno tramite il nuovo piano economico e di investimento, che vale circa un terzo del PIL della regione. Perché investire nel futuro dei Balcani occidentali significa investire nel futuro della UE» – come Berlino sa bene da oltre venti anni, dalla guerra scatenata contro la ex Jugoslavia e anche da prima, dal contributo tedesco alla frantumazione della ex Federazione, con le secessioni di Slovenia e Croazia.
Ma non è ancora sufficiente, perché «se l’Europa vuole diventare più attiva in quanto attore globale, deve anche concentrarsi sulla nuova generazione di partenariati. Da questo punto di vista, la nuova strategia UE per la regione Indo-Pacifico è una pietra miliare, visto che la regione riveste un’importanza crescente per la nostra prosperità e sicurezza, ma è anche usata da regimi autocratici che cercano di espandere la loro influenza… Siamo bravi a finanziare la costruzione di strade. Ma non ha senso per l’Europa costruire una strada perfetta tra una miniera di rame di proprietà cinese e un porto di proprietà cinese… Perciò presenteremo a breve la nostra nuova strategia in materia di connettività denominata Gateway globale… Investiremo con l’Africa per creare un mercato dell’idrogeno verde che colleghi le due sponde del Mediterraneo».
Infine, l’omelia sulla finta preoccupazione per «quello che è accaduto alle nostre frontiere con la Bielorussia. Il regime di Minsk ha strumentalizzato gli esseri umani. Ha caricato delle persone sugli aerei e le ha letteralmente spinte verso le frontiere europee… Questo è intollerabile. E la rapida reazione dell’Europa lo dimostra. Potete contarci: resteremo al fianco della Lituania, della Lettonia e della Polonia», che mettono fuori legge i comunisti e omaggiano le SS naziste, mentre non daremo tregua a “l’ultimo dittatore d’Europa”. Perché, «diciamo la verità: siamo di fronte a un attacco ibrido per destabilizzare l’Europa», con le sue «società costruite su democrazia e valori comuni… gli stessi valori che hanno unito coloro che, lottando per la libertà, hanno fatto cadere la cortina di ferro più di 30 anni fa», una cortina attuata dalle “democrazie liberali”, dal discorso di Winston Churchill a Fulton nel 1946 in poi. Gli “stessi valori” di coloro che «Volevano democrazia. Volevano scegliere liberamente il proprio governo. Volevano lo Stato di diritto. Volevano essere tutti uguali davanti alla legge. Volevano libertà di parola e media indipendenti. Volevano porre fine alla delazione e allo spionaggio di Stato e combattere la corruzione. Volevano la libertà di essere diversi dalla maggioranza». Gli “stessi valori” con cui oggi si viene licenziati in massa, privati di assistenza sociale e sanitaria, esclusi dalla pensione: «Abbiamo deciso di difendere questi diritti e il nostro impegno non verrà mai meno».
Già: finché operai, lavoratori, masse di disoccupati e di famiglie ridotte alla fame non si organizzeranno in proprio partito per instaurare i propri, di valori.
Possiamo chiudere – ma non concludere: rimangono da esaminare le risposte di Cina e Russia alle mosse di USA e UE, potenze planetarie concorrenti – con un due in geografia (?!) a Sergio Mattarella che, per il 70° anniversario del comando NATO di Lago Patria, si è scordato che anche la ex Jugoslavia faceva parte (e l’Ucraina nazi-golpista ne fa tuttora parte) di un medesimo continente cui, a suo dire, il «lavoro della NATO» avrebbe assicurato «gli oltre 70 anni di pace nel continente europeo». Loro la chiamano pace.
Fonti
https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/8705/
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