Fuga da Kabul: gli alberi e la foresta
da PAGINA FACEBOOK (Ugo Boghetta)
Piovono tante spiegazioni in merito alla fuga Nato da Kabul. In occidente non ci si capacita di come 30 nazioni siano state sconfitte da soldati con sandali, motorini e turbante. Così imperversa l’ipocrisia dei profughi da aiutare come se la stessa guerra scatenata dalla Nato non ne avesse prodotto milioni. Profughi che, in parte, ora ritornano in patria e di cui nessuno dà notizia. Alti lamenti si levano per le povere donne afgane come se gli sponsorizzati dall’occidente (afgani, arabi ecc ecc.) fossero femministi. Come se il fondamentalismo talebano non fosse una costola della visione wahabita alimentata dal principale alleato in medio Oriente: l’Arabia Saudita! L’unico regime afgano che difendeva donne e contadini è stato abbattuto proprio dagli Usa! In questi giorni, poi, c’è anche da chiedersi se sono peggiori i talebani o i recenti legislatori antiabortisti del Texas?
Aspro è lo scontro in atto negli Usa fra il sistema industrial-militare ed il realistico ritiro deciso da Obama, Trump e Biden. Non è dunque una scelta nuova, ma una strategia di ridislocamento delle priorità americane; motivo per cui hanno deciso da soli. La vicenda dei sottomarini e l’alleanza anglosassone nel Pacifico va proprio in questo senso.
In Europa si cerca di sfruttare l’occasione per tentare (ancora una volta) di fare passi in avanti nella difesa comune, anche se non è dato sapere per quale politica estera. Si usa qualsiasi crisi per alimentare “Più Europa” ma senza una visione strategica. Cosa del resto impossibile per la composizione storica, culturale e sociale del vecchio continente.
Ma lo sconfitta Usa e alleati è di più vaste proporzioni: sono tutte le guerre medio-orientali ad essere state sconfitte o ad essere impallate: Iraq-Iran, Iraq, Siria, Libia. Ed ora, nel Shael, anche alla Francia non sta andando molto meglio.
Questa frase, tuttavia, non è esatta. Fino alla crisi del 2007/8 le guerre americane, infatti, non avevano come vero obiettivo la conquista e la costruzione diretta di stati fondati sul modello occidentale: Biden dixit. In effetti, dopo lo scioglimento dell’Urss e una dominazione su scala mondiale che sembrava inarrestabile, agli americani bastava destabilizzare i paesi che non rispondevano all’unico comando mondiale. Così si controllavano direttamente le fonti energetiche. Si smaltivano e rinnovavano gli arsenali. Si privatizzava anche la guerra. Il resto sarebbe venuto da sè.
Ma la crisi del 2007/8 ha introdotto alcune varianti impreviste. La storia, che doveva finire, ha ricominciato a correre. La crisi dei subprime ha messo in mostra il fallimento dei presupposti finanziari e sociali del neoliberismo globalizzante. Le enormi differenze sociali prodotte hanno cominciato a creare opposizioni. In Europa ciò è stato alimentato dalle politiche austeritarie dell’Unione Europea. Draghi con il QI è sì riuscito a salvare l’euro e le élite ma il resto della popolazione non ha visto miglioramenti. Il populismo è stata una risposta a questa situazione. Populismi “di destra o di sinistra” che, tuttavia, non si sono dimostrati all’altezza e alternativi al neoliberismo. Il sistema ha cambiato politica e sono stati riassorbiti o resi inefficaci. Anzi, con il covid stiamo assistendo ad un populismo dei governi. Chi controlla l’insicurezza vince!
Per altro verso, la globalizzazione ha favorito la Cina. Russia e l’Iran si sono dimostrati ossi più duri di quel che il presunto impero pensava.
In questo quadro, l’Occidente è alla ricerca di una composizione fra un neoliberismo più o meno puro e un’ibridazione che vede la rimozione di numerosi tabù: i deficit, l’inflazione, l’intervento dello stato. Un reset che ognuno fa secondo gli interessi strategici propri. Il virus è stata la tempesta perfetta per accelerare i vari processi. E di questo reset fanno parte anche le guerre e la pace: la geopolitica. La guerra è intrinseca a questa situazione. Ma la guerra ha molte facce: anche nuove.
Tuttavia, se si rimane ai singoli fatti, se si guardano solo i singoli alberi, non si vede la foresta.
La crisi è di portata ben più ampia di una sconfitta militare. E’ di natura ideologica.
Il modello neoliberista e capitalista occidentali ha esaurito la spinta propulsiva. Il resto del mondo infatti ha dimostrato di essere resiliente. Non a caso la Cina fa invidia per i successi di un modello dirigista a guida comunista. Cosa inconcepibile per il pensiero unico.
Eppure basta osservare come in occidente ci sono voluti 20 anni per mettere una piccola tassa sui profitti delle multinazionali, mentre in Cina sono bastati tre mesi per tagliare la cresta a quelle cinesi e a salvaguardare i cittadini dall’abuso della richiesta dati da mettere nel frullatore dei profitti.
Dinanzi a questa situazione, Biden ha subito pensato di usare la democrazia per ricostruire il fronte alleato. Ma anche l’arma della democrazia è spuntata in quanto è lo stesso liberismo che la mette in crisi nello stesso “mondo democratico”. La democrazia non è conforme al liberismo. Il ministro francese Le Maire intervenendo a Cernobbio, dopo aver indicato gli obiettivi dell’Unione su cui competere: conquista spaziale, cloud, aeronautica, intelligenza artificiale, semi conduttori, ha concluso affermando: “Siamo (Unione Europea) un sogno politico che si basa su pace, solidarietà e democrazia”. Ogni commento è superfluo.
Se quello che è in crisi non è una mera strategia militare o politica ma un intero sistema ideologico, politico, economico e sociale, non per questo l’occidente non ha più nulla da dire. L’occidente ha anche i germi dell’alternativa: uno fra questi è il socialismo. Un socialismo che, nelle varie espressioni: sovietica o socialdemocratica, è però morto quando è diventato una subordinata o ha pensato di competere con gli stessi meccanismi del sistema che voleva demolire. Compreso il fatto che è anch’esso fallito dove è stato “esportato”. Ci sono infatti singolarità dei popoli che non vanno compresse ma comprese: Unione Europea docet. Un concetto, quello socialista, che tuttavia oggi non può essere nominato poiché rappresenta tutto e nulla. In Italia poi il socialismo è associato a Craxi!? Oggi, inoltre, il termine socialismo viene usato come mero intervento dello Stato. La stessa variante “socialista” del mondo cattolico è in crisi. E tutto il mondo cattolico si dimena fra conservatori e sinistrati alla Bergoglio.
Siamo dunque in un tempo nuovo. Alcuni nodi sono fondamentali. Quello ambientale, va sottratto all’ennesimo uso del profitto. E non è tanto la questione ambientale che va affrontata, quanto il rapporto, nella sua forma capitalista ed economicista, fra specie umana e la natura di cui siamo una fra le tante. In questo senso è tutta la filosofia occidentale che andrebbe messa in discussione. Scusate se è poco. Anche la salute, bene primario, è tutelabile anche in tempo di epidemie solo se l’economia è un affare sociale comune. In caso contrario si alimenta lo scontro fra salute ed economia e, dunque, fra vari strati sociali. A sua volta, la digitalizzazione della vita è una frontiera nuova e pericolosa in quanto porta a de-contestualizzare, de-territorializzare e a “virtulizzare”. In questo quadro, scuola, cultura, scienza ed informazione devono essere sottratte alla privatizzazione della gestione e degli scopi. La questione democratica nella sua forma meramente rappresentativa va ripensata per il limite a cui è giunto il rapporto con il capitalismo. La Costituzione italiana ne è una vittima evidente. E l’individualismo parossistico è il fondo antropologico di questi nodi. Ritorna dunque al centro la questione sociale in tutte le sue declinazioni alimentata da anni in cui gli squilibri interni e fra nazioni sono aumentati e sono destinati a crescere ancora.
L’alternativa post capitalista si imporrebbe come necessità oggettiva, ma siamo ancora lontani da una proposta all’altezza: in particolare in Italia. C’è la trippa, c’è la fame, ma non ci sono i gatti.
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=4327270133976187&id=100000797283987
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