Dunque, i liberali hanno con tutta la probabilità la golden share del futuro governo e da qui vengono le cattive notizie per l’Europa e per l’Italia. Infatti, Christian Lindner, leader della Fdp, che non fa mistero di puntare con buone carte al dicastero chiave delle Finanze, rappresenta il più netto rigorismo di bilancio (lo Schwarze Null, zero, nero, nessun debito), in piena sintonia con quella Bundesbank – alleato politico di enorme peso, ovviamente – che scatenò la più dura guerra contro il wathever it takes di Mario Draghi alla Bce.
Il suo motto è nessuna condivisione del debito europeo, quindi nessuna possibilità di replicare in futuro la logica del Next Generation Eu che si finanzia appunto con titoli di debito europei. Non solo, Lindner non fa mistero di volere ritornare alla rigidità del Patto di Stabilità di Maastricht quando, nel 2022, decadrà la sua sospensione dovuta alla crisi provocata da Covid. Nei fatti, l’Europa si troverà nei prossimi anni a convivere con una Germania con due leader deboli, di seconda fila quanto a caratura internazionale (tali sono sia Armin Laschet che Olaf Scholz) e con fortissima vocazione a imporre quella rigidità di bilancio che danneggia tutti i Paesi latini e meridionali (Francia inclusa).
L’unica notizia positiva di queste elezioni viene dal ridimensionamento delle estreme. A destra la Afd perde più di due punti passando dal 12,64% al 10,3% e soprattutto tracolla la Linke che tracolla dal 9,24% al 4,9%, perdendo così ogni chance di essere un interlocutore per un impossibile, ma ipotizzato prima delle elezioni, governo di sinistra-sinistra tra Spd, Grünen e appunto la Linke.
Un tracollo al quale farebbe bene guardare il Pd di Enrico Letta con le sue marcate aperture a sinistra. La Linke, infatti, non è un partito di sinistra di tradizione estremista o radicale. È nata con una scissione dalla Spd nel 2007 a opera di un suo ex segretario, Oskar Lafontaine, e – fatto salvo un suo rifiuto dell’atlantismo – si colloca su una linea molto simile a quella di Articolo 1 di Roberto Speranza, e per certi versi anche dello stesso Enrico Letta sui temi dell’immigrazione e “di genere”.
Dunque, nel complesso, un voto tedesco centrista, con taglio delle estreme e con un buon successo dei Grünen che, sommato al recupero della Spd (ben lontana ancora però dal 38,5% del 2001 conseguito da Gerhard Schröeder) marca leggermente, ma molto leggermente, l’assetto dell’elettorato tedesco verso sinistra.
Un dopo Merkel incerto e burrascoso. Per la Germania e quindi per l’Europa.
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