Di Elijah J. Magnier
Tradotto da A.C.
L’effetto domino messo in moto dalle petroliere iraniane che facendo scalo in Siria riforniscono di carburante il Libano ha avuto come conseguenza quella di aumentare in modo significativo l’influenza di Hezbollah in Libano e ha raggiunto gli Stati Uniti, la Russia e molti stati arabi. Così importanti questioni regionali e internazionali vengono messe in discussione ben prima del previsto e obbligano gli Stati Uniti a ripensare la loro politica in Asia Occidentale, soprattutto in Siria. I paesi occidentali, Stati Uniti compresi, hanno iniziato a riflettere, a riconsiderare le loro riserve sui rapporti con Damasco e a intravedere un suo ritorno nella Lega Araba e nella comunità internazionale. Lo scopo (o forse il desiderio) è quello di dare al presidente Bashar al-Assad l’opportunità di valutare in modo differente le sue relazioni a livello globale e nella regione mediorientale ma anche quello di cercare di sottrarre all’Iran e alla Russia il ruolo di interlocutori privilegiati nel Levante.
Negli ultimi mesi sono successe molte cose in Asia Occidentale e a New York , gli incontri non dichiarati tra Arabia Saudita e Iran a Baghdad, tra Giordania e Iran e tra Egitto e Iran dimostrano che pian piano si sta sciogliendo il ghiaccio che divide questi paesi che iniziano infatti a discutere tra loro di affari importanti che interessano tutti. In più il vertice in Iraq ha permesso ad Arabia Saudita, Qatar, Iran,Kuwait, Egitto, Giordania e Francia di migliorare i loro rapporti e di venirsi incontro. L’Iraq sta avendo un ruolo importante e positivo come mediatore tra i vari paesi e si prodiga per facilitare la discussione su ciò che li divide. Ci sono inoltre stati incontri importanti tra il il re Abdullah di Giordania e il presidente Biden a Washington e con il presidente Putin a Mosca, e l’incontro del presidente siriano Bashar al-Assad con Putin per discutere dell’unità del territorio della Siria. E infine ci sono state le visite del presidente turco Erdogan a Mosca e New York. Sono incontri che spianano la strada ad un possibile ritorno della Siria nello scacchiere mediorientale e internazionale.
In questo panorama la dichiarazione del re giordano che da Washington ha detto ” il presidente Bashar al-Assad resta al potere e va trovata una via per ricominciare a dialogare con lui” segna un evidente cambio di passo. Questa affermazione non significa che la Giordania non abbia più avuto relazioni con la Siria da dieci anni. Amman non ha mai chiuso la sua ambasciata in Siria o quella siriana ad Amman, nonostante proprio in Giordania ci sia il Comando delle Operazioni Militari (MOC). Il MOC ha ospitato comandanti militari arabi e occidentali, americani inclusi, che dirigevano operazioni di sabotaggio e attacchi in Siria mirati a far cadere il presidente e a rendere la Siria uno stato fallito. Ha appoggiato e addestrato militanti e jihadisti in Giordania, inclusi quelli di al-Qaeda, cosa risaputa dalle reclute e dall’amministrazione degli Stati Uniti.
Nel corso della guerra in Siria i contatti tra Amman e Damasco, a livello politico e di sicurezza, non si sono interrotti anche se variava la loro intensità. Recentemente ci sono stati due contatti ufficiali significativi.
Il primo è stato una telefonata tra il ministro degli interni giordano Mazen al-Faraya e quello siriano Muhammad al-Rahmoun. I due ministri hanno dichiarato di aver trovato un accordo per coordinare il transito dei camion tra i due paesi, il che significa che gli Stati Uniti sono obbligati ad escludere la Giordania e la Siria dalle loro sanzioni imposte con il “Caesar Civilian Protection Act“, conosciuta come la “legge dI Cesare”. I camion siriani potranno attraversare il confine senza dover scaricare le loro merci e trasferirle in altri autocarri all’entrata in Giordania. I costi sostenuti dalla Siria in passato per questa operazione si ridurranno notevolmente, Damasco potrà di nuovo esportare i suoi prodotti in vari paesi incassando moneta straniera tanto necessaria al paese.
L’altro contatto ufficiale si è realizzato con la visita ad Amman del ministro della difesa siriano nonché vice primo ministro Ali Ayoub e con l’incontro con il capo di stato maggiore giordano Yousef Al-Hunaiti, E’ il primo incontro ufficiale che avviene a questo livello dopo dieci anni di guerra in Siria.
Non c’è dubbio sul fatto che gli Stati Uniti, accettando di far passare in Giordania il gas egiziano diretto al paese dei cedri, abbiano spianato la strada al ritorno della Siria in Libano. La decisione di rifornire il Libano di gas egiziano è stata presa per offrire un’alternativa e in sostanza è stato un disperato tentativo di limitare il flusso, gestito da Hezbollah, del carburante iraniano nel paese. L’ambasciatrice degli Stati Uniti a Beirut, Dorothy Shea, annunciava la decisione di fornire al paese questo gas immediatamente dopo la dichiarazione del segretario generale di Hezbollah Sayyed Hassan Nasrallah. Nasrallah aveva infatti promesso che avrebbe fatto arrivare in Libano, attraverso la Siria, il petrolio iraniano, rompendo il blocco (non dichiarato) degli Stati Uniti per andare incontro ai bisogni della popolazione libanese. Il Libano disperatamente a corto di carburante (il paese, devastato da una crisi economica mai vista prima si è bloccato a causa di questa mancanza) benediva l’arrivo del petrolio iraniano, una vera e propria manna dal cielo per i libanesi. La popolarità dell’Iran e di Hezbollah saliva alle stelle tra gli alleati, gli amici ma anche tra i nemici.
Ma il petrolio iraniano non è l’unico problema che gli Stati Uniti e i paesi arabi devono affrontare. La loro grande preoccupazione è che la Siria resti nella sfera di influenza iraniana. L’Iran ha acquisito una notevole popolarità in Siria grazie proprio alla politica di Washington che voleva ridurre il paese a stato fallito e rovesciare il presidente Assad. Ma non solo, l’Iran ha aumentato i consensi con il fallimento degli Stati Uniti nel cercare di destabilizzare non solo la Siria ma anche l’Iraq e il Libano. L’amministrazione americana pensava che, imponendo durissime sanzioni alla Siria e impedendo un riavvicinamento tra Damasco e altre capitali, della regione mediorientale e occidentali, avrebbe potuto far leva sul presidente Assad e obbligarlo ad accettare le sue condizioni.
Parrebbe che adesso l’amministrazione guidata da Joe Biden stia iniziando ad esaminare le cose con maggiore realismo come ha sostenuto il re della Giordania dopo aver incontrato Il presidente americano. Non è certo casuale che il re Abdullah dica da Washington che è necessario il ritorno della Siria e il dialogo con Assad, un tabù per la precedente amministrazione. È un piccolo passo però decisamente significativo anche se non comporterà un’immediata ripresa delle relazioni americane con la Siria. Invece il fatto che vengano ristabilite le relazioni dei paesi arabi e occidentali con Assad prepara il terreno ad un riconoscimento da parte dell’opinione pubblica del presidente siriano in quanto leader eletto dalla popolazione del suo paese, una realtà che i paesi coinvolti nei dieci anni della guerra non possono più ignorare.
Il presidente Assad a tutte le autorità della regione e dell’Occidente che lo hanno incontrato ha detto che “gli Stati Uniti non hanno mai troncato con la Siria le relazioni legate alla sicurezza. Ma noi siriani non accettiamo il dialogo a livello politico se restano nel nord-est del paese le truppe d’occupazione statunitensi”.
Gli Stati Uniti e molti paesi europei ( Francia, Italia,Germania e altri) hanno mantenuto rapporti con la Siria a livello di sicurezza e antiterrorismo. Ma la Siria ha stabilito che per poter avere con lei rapporti a livello politico, tutte le delegazioni europee dovranno prima riaprire le loro ambasciate nel paese. Oggi il governo siriano è più forte che mai, anche il sud del paese è tornato sotto il controllo dell’esercito governativo.
Infatti nelle ultime settimane la Siria ha liberato Daraa e Tafas, rendendo sicuri più di 328 chilometri di confine da Badia a As-Suwaida e Daraa. Qualche giorno fa tutte le città nella regione dell’Hauran sono state riconquistate dall’esercito siriano. Una grossa parte del sud era in mano ai ribelli che vi convivevano con l’esercito siriano in virtù di un accordo fatto dalla Russia nel 2018. Questi militanti avevano creato una “zona cuscinetto”, controllavano il valico di frontiera con la Giordania e proteggevano gli israeliani che occupano le alture del Golan siriane e il confine con Israele. Gli israeliani avevano ribadito più volte che temevano la presenza di Hezbollah e dell’Iran sul loro confine con la Siria e non erano riusciti ad ottenere l’allontanamento degli iraniani dai luoghi a loro concessi dalla leadership di Damasco.
Tuttavia il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha affermato: “la Russia non accetterà che la Siria venga usata come piattaforma di operazioni contro Israele”. Così la Russia ha informato Washington e Tel Aviv che le truppe siriane sul confine garantiscono la protezione di Israele e ha segnalato all’Iran che Mosca vuole mantenere calmo il fronte sulle alture occupate del Golan.
Indubbiamente il ministro Lavrov manifesta le preoccupazioni della Russia per la sicurezza di Israele e garantisce che Mosca farà di tutto per impedire che ci siano attacchi nelle alture occupate del Golan. Ma la Russia non ha fatto nulla per fermare le violazioni israeliane della sovranità e dei territori della Siria. Infatti Israele ha condotto più di mille attacchi in Siria, ha ucciso molti civili, distrutto tante postazioni e depositi di proprietà dello stato siriano. Mosca ha dato all’esercito siriano missili terra-aria per poter intercettare i ripetuti attacchi aggressivi di Tel Aviv ma non ha fermato questi raid anche quando Israele ha abbattuto il suo Il-20 e ucciso i 15 membri dell’equipaggio.
La Russia è presente nel sud della Siria dal 2018 in seguito ad un accordo fatto tra i militanti del posto e il governo siriano. Questo accordo non serve più adesso che le forze di Damasco hanno il controllo di tutto il sud. Tuttavia in futuro, quando il governo di Damasco lo riterrà opportuno, la Russia non potrà vietare alla Siria di liberare il suo territorio ( le alture del Golan).
Ovviamente l’influenza dell’Iran in Siria e la sua presenza militare nel paese sono la conseguenza della guerra globale contro Damasco che si è rivolta a Teheran chiedendole aiuto. E anche se gli Stati Uniti oggi impediscono ai paesi mediorientali di ricucire i rapporti con la Siria, Damasco ha voglia di svoltare e aprirsi ai paesi arabi e occidentali. Possiamo quindi affermare che gli Stati Uniti sono quelli che fanno in modo che l’influenza iraniana cresca nel Levante poiché la “Repubblica Islamica” è il sostenitore principale della Siria e le fornisce i beni di prima necessità.
Gli Stati Uniti potrebbero cercare di compensare rivedendo la loro posizione sulla Siria e la loro violazione della “legge di Cesare”, creerebbero nuovi equilibri nella regione e permetterebbero alla Lega Araba di includere nuovamente Damasco. Nel recente vertice di Baghdad il presidente francese Emmanuel Macron ha promesso al primo ministro iracheno Mustafa al-Kadhemi di occuparsi delle relazioni dell’ Unione Europea con Assad. Con una telefonata durata venti minuti e avvenuta subito dopo la fine del vertice al-Kadhemi ha informato della cosa il presidente Assad, questo è quello che mi hanno riferito fonti vicine al primo ministro iracheno.
La ripresa dei rapporti tra Giordania e Siria a livello ufficiale è legata alla sicurezza dei confini, a impedire che ci siano vecchie e nuove vie di contrabbando tra i due paesi e a combattere il terrorismo. La Giordania come un pioniere apre la porta ad altri paesi del Medio Oriente perché la attraversino e consente agli Stati Uniti di preparare la loro politica futura che conceda alla Siria di tornare nel contesto regionale e internazionale e non essere più isolata. Non succederà a breve. Ma è l’inizio di un cambio di posizione fondamentale nei confronti di Damasco.
La comunità internazionale non avrà altra scelta se non quella di abbracciare la Siria, e dovrebbe farlo il prima possibile, prima cioè che l’accordo sul nucleare con l’Iran si realizzi e tutte le sanzioni vengano rimosse. Quando avverrà, nei mesi a venire, molto probabilmente l’Iran diventerà più forte a livello finanziario e avrà un potere economico senza precedenti. Il suo sostegno alla Siria sarà quindi più significativo al punto da rendere l’embargo americano e europeo inutile e inefficace.
La petroliera iraniana ha attraccato in Siria e il suo carico è stato trasportato in Libano esattamente come avviene con le armi destinate a Hezbollah. E la presenza iraniana a Quneitra preoccupa Israele e gli Stati Uniti, è una sfida all’occupazione israeliana del Golan siriano. Inoltre la guerra in Siria si avvicina alla fine con la liberazione dei territori occupati dalle truppe americane e turche nel nord del paese. Gli americani prima o poi se ne andranno e la loro partenza creerà una grande inquietudine tra i curdi del nord-est.
Infatti il rappresentante del “Consiglio Democratico Siriano”( i protettori delle forze d’occupazione statunitensi) negli Stati Uniti, Bassam Saqr, ha detto che “l’America dovrebbe avvertire i curdi siriani se decide di ritirare tutte le sue truppe. Il ritiro, se avverrà, dovrà essere graduale, un passo alla volta”.
Un cambiamento della politica degli Stati Uniti e un ripensamento sul futuro delle truppe che occupano il nordest siriano è assai probabile. Quello che ha fatto scattare l’allarme a Washington e nei paesi del Golfo è la forza che l’Iran ha acquisito unita al potere che oggi detiene, tutte conseguenze non previste della guerra in Siria iniziata nel 2011. È arrivato il momento, per gli Stati Uniti, di ammettere il fallimento dei loro obbiettivi e di permettere alla Siria di far sbocciare la sua economia e le relazioni con il resto del mondo. Il rapporto tra Siria e Iran è strategico e il legame tra i due paesi è così solido da non essere a rischio, nonostante gli sviluppi futuri.
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