Buongiorno, lei è licenziata: “Un trauma, ti cambia la vita”
di TODAY (Chiara Cecchini)
Precariato, discriminazioni, guerra tra poveri, disagio psicologico: le testimonianze di dieci operaie metalmeccaniche per raccontare la crisi e il declino industriale di una città come Torino e il mondo del lavoro di oggi. Intervista a Edi Lazzi, autore di “Buongiorno, lei è licenziata”
Affianco a ogni nome, tra parentesi, l’azienda alla quale hanno legato la loro vita per anni e dalla quale sono state licenziate. Angela, Rosanna, Anna, Daniela, Giuseppina, Silvana, Giovanna, Assunta, Tania, Maria Elena. Dieci donne lavoratrici metalmeccaniche, dieci aziende: Cebi, Agrati, Savio, Pininfarina, Martor, Sandretto, Indesit, Gessaroli, Olivetti, ex Embraco. Sono il cuore di Buongiorno, lei è licenziata di Edi Lazzi, pubblicato dalle Edizione Gruppo Abele. Sottotitolo: “Storie di lavoratrici nella crisi industriale”.
Lazzi, segretario generale della Fiom-Cgil di Torino, ha raccolto le loro testimonianze intrecciandole con la storia della “città dell’automobile” e le dinamiche che nel corso degli ultimi anni hanno visto chiudere una dopo l’altra quelle fabbriche, ricordando che “nel 2006-2007 si producevano a Torino più di duecentomila autovetture. Nel 2019-2020 se ne sono prodotte, nella media del biennio, ventinovemila, ovvero l’ottantasei per cento in meno” e che “sono andati in fumo più di trentaduemila posti di lavoro e trecentosettanta aziende metalmeccaniche hanno chiuso definitivamente i battenti per fallimento o per cessata attività produttiva”, in maggioranza nei settori dell’automotive e della sua filiera. “Dietro questi numeri però ci sono persone in carne ed ossa ed era giusto andare a capire che cosa è successo, come hanno vissuto il licenziamento, cosa hanno fatto dopo, se si sono ricollocate e come”, dice Lazzi a Today.
“Buongiorno, lei è licenziata”: 10 storie di donne che hanno perso il lavoro
Le donne sono quelle che anche in questa situazione hanno pagato il prezzo più alto. “Tutte e dieci le lavoratrici intervistate, anche quelle che hanno trovato un nuovo lavoro, stanno peggio di prima: c’è chi è oggi è ancora precaria, chi prima di arrivare a un contratto a tempo indeterminato ha fatto un lungo percorso di precariato. In ogni caso tutte guadagnano meno di prima e con il loro livello di professionalità fanno dei lavori meno professionalizzanti rispetto a quelli precedenti”, sottolinea Lazzi.
In questa situazione emerge con forza da tutti i racconti un preoccupante arretramento dei diritti. Molte raccontano episodi di mobbing e pressioni. Come Silvana, che dopo aver perso il lavoro alla Sandretto è passata da un posto all’altro con contratti settimanali, precari e a termine in attesa di arrivare alla pensione: lei che chiedeva sicurezza sul posto di lavoro, anche oggi al tempo del Covid, è stata bollata come “quella che rompeva le palle”. Daniela, ex Pininfarina licenziata nel 2014 quando aveva 48 anni, da un direttore del personale si è sentita dire: “Sei una donna, devi stare zitta. Perché voi donne o fate le sciacquette o state sotto la scrivania” e si sfoga: “Siamo nel 2021 e ti senti dire queste cose, poi se ti metti a piangere (giustamente) ti viene detto: ecco oltre a essere donna sei pure esaurita. Ma stiamo scherzando?”.
“Quando il lavoro è precario lo diventa anche l’esistenza”
Le fabbriche non erano un tempo solo luoghi di lavoro, ma erano anche il centro della comunità, “scuole sociali dove si imparava a discutere, a pensare, a elaborare idee ed avere forme di pensiero critico”, e quando questa realtà è venuta meno il tessuto si è slabbrato, i legami tra le persone si sono allentati.
Le donne raccontano come sono cambiate le loro vite dopo aver perso il lavoro, il disagio psicologico, le discriminazioni, la guerra tra poveri, le paure per il futuro, la lotta per mantenere la propria dignità di lavoratrici. “Abbiamo lottato per salvare il nostro posto di lavoro che non era solo un impiego, era il nostro futuro. Una volta che lo perdi, non hai più la capacità di programmare, di fare progetti, non riesci nemmeno più a pensare lucidamente. Che cosa fai senza il lavoro?”, si chiede Rosanna, ex Agrati, licenziata nel 2014 a 53 anni. “È un lutto: ti senti senza un senso. Ti senti nulla”, racconta Giuseppina, entrata alla Martor di Brandizzo nel 1997 a trent’anni e licenziata nel 2019.
Lazzi denuncia: “Il licenziamento è un trauma, ti cambia la vita: è un qualcosa che alla fine ha effetti devastanti sulle persone. E quando il lavoro è precario anche l’esistenza diventa precaria e la guerra dei poveri in una situazione di precarietà di lavoro e di vita diventa quasi inevitabile. Tutto questo si elimina solo se ci sono lavoro e sviluppo. Solo così i legami sociali possono tornare a essere solidali”.
Fonte: https://www.today.it/attualita/buongiorno-lei-e-licenziata-donne-lavoro.html
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