A chi interessa il golpe in Sudan
di LIMES (Niccolò Locatelli)
La democrazia non c’entra: chi governa a Khartum può contribuire a cambiare gli equilibri regionali.
In Sudan è in corso un colpo di Stato militare. Il primo ministro Abdalla Hamdok e i titolari di alcuni dicasteri sono stati arrestati; il generale Abdel Fattah al-Burhan, capo del Consiglio sovrano del Sudan, ha annunciato lo scioglimento del governo e imposto lo stato di emergenza in tutto il paese. Al-Burhan ha sciolto lo stesso Consiglio sovrano.
Il protagonismo delle Forze Armate nel paese africano non è una novità. Lo stesso governo civile di Hamdok è il frutto di un compromesso con i militari che nella primavera 2019 hanno rovesciato il generale Omar al-Bashir, a sua volta arrivato al potere con un golpe nel 1989. La parvenza di democrazia degli ultimi anni non va confusa per una cessione di potere da parte dell’apparato securitario, che non c’è stata e non ci sarà.
La geografia colloca il Sudan al centro di numerose questioni geopolitiche regionali e mondiali. A cominciare dai rapporti con i due pesi massimi africani confinanti, Egitto ed Etiopia; un trittico unito dal Nilo e diviso dalla Grande diga del rinascimento etiope, una relazione in cui si innestano eredità coloniali, territori contesi e sostegni incrociati a guerriglie antigovernative. Proseguendo con il ruolo di Khartum nei traffici di esseri umani e beni verso l’Europa e verso la (guerra di) Libia.
Decisivo è il suo affaccio sul Mar Rosso, dunque nel corridoio che collega il Mediterraneo all’Oceano Indiano e all’Asia-Pacifico. Di fronte alle coste di uno degli alleati più preziosi e fragili degli Stati Uniti in Medio Oriente, ossia l’Arabia Saudita. La collocazione costiera motiva il crescente interesse di Russia, Cina e Turchia. Mosca conta di installarvi la sua prima base navale nel continente dai tempi dell’Urss (il Sudan, dopo aver siglato l’accordo, l’ha di fatto congelato), Pechino vi ha costruito un porto funzionale alle nuove vie della seta, Ankara vi vede uno snodo cruciale per arrivare agli Oceani.
Con l’indipendenza del Sud Sudan – 9 luglio 2011 – Khartum ha perso circa il 30% del territorio e oltre il 70% della rendita petrolifera. Ciò ha costretto il governo, già ai tempi di al-Bashir, a rivedere la propria agenda geopolitica alla luce delle necessità di bilancio. Esempio più lampante di questo sviluppo è la rottura dei rapporti con l’Iran a favore dei suoi ricchi rivali regionali sauditi ed emiratini, con tanto di partecipazione di truppe sudanesi alla guerra in Yemen contro le milizie huthi sostenute da Teheran.
Nei due anni e mezzo passati dal rovesciamento di al-Bashir, Khartum ha avuto modo di riposizionarsi ulteriormente. La novità più importante è il disgelo con gli Stati Uniti, che hanno rimosso il Sudan dalla lista degli sponsor del terrorismo, ridotto le sanzioni e permesso al paese africano di accedere ai fondamentali finanziamenti del Fondo Monetario Internazionale. Corollario del riavvicinamento a Washington, il Sudan ha siglato gli accordi di Abramo per la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Israele. L’inviato speciale degli Stati Uniti per il Corno d’Africa Jeffrey Feltman sabato e domenica era in Sudan. Ha incontrato i leader civili e i leader militari che poche ore dopo avrebbero arrestato quelli civili.
I paesi che hanno investito geopoliticamente nel Sudan seguiranno con attenzione il golpe, consci che gli equilibri regionali di potenza passano anche per Khartum.
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