Roma-Mosca, quel filo rosso che va oltre il sovranismo
di BABILON (Michele Rosini)
Gli scambi, gli accordi e gli investimenti commerciali fra la Federazione russa e l’Italia sono molto fitti quanto antichi. Restringendo il campo al solo Novecento, basti pensare che anche durante il ventennio fascista l’Italia mantiene buone relazioni con l’Unione sovietica. È una precisa strategia di Mussolini che, per questioni di politica interna, dopo il delitto Matteotti spacca il fronte dell’opposizione rossa affrettandosi a riconoscere formalmente l’Urss e isolando così i comunisti.
Nonostante la partecipazione del nostro Paese all’«Operazione Barbarossa», con cui i nazisti provarono invano nel 1941 a invadere l’Unione sovietica, negli anni a seguire i rapporti si manterranno sempre buoni, specie sul piano economico, con l’Italia che esportava macchinari per i piani quinquennali staliniani e importa carbone. Con la Guerra fredda, e con la presenza in Italia del più grande partito comunista d’Europa, le relazioni sono diventate sempre più profonde e articolate. Al punto che nel 1964 la città di Stavropol’-na-Volge assunse la denominazione di Togliatti, in onore di Palmiro Togliatti, segretario del Partito comunista italiano. Nello stesso anno il Governo sovietico deliberò la realizzazione di un impianto per la produzione di automobili proprio in quella città, affidando due anni più tardi la costruzione degli stabilimenti alla Fiat: un investimento ritenuto vantaggioso sia dai sovietici che dalla casa automobilistica torinese. Tuttavia se l’accordo con i ministeri del Commercio estero e dell’Industria sovietici fu messo nero su bianco, lo si dovette all’intervento diretto del Governo italiano, all’epoca guidato da Aldo Moro, il quale autorizzò uno stanziamento straordinario nel bilancio dello Stato pari a 36,5 miliardi di lire.
Nel 1991, con la dissoluzione dell’Unione sovietica i rapporti italo-russi sono proseguiti sulla base di un partenariato strategico basato su interdipendenza e interessi comuni: gas russo in cambio di investimenti italiani nella Federazione russa. Da allora Eni opera sempre più stabilmente in Russia per lo sfruttamento di idrocarburi nel Mare di Barents e, in joint venture con Gazprom, partecipa con il 50% al gasdotto sottomarino Blue Stream. Molto attive sono anche le nostre aziende che sfruttano la presenza in Russia delle Zes (Zone economiche speciali), beneficiando di una serie di esenzioni e agevolazioni fiscali.
Su questo forte legame economico si sarebbero innestati i tentativi degli ultimi anni del Cremlino di fare leva, attraverso finanziamenti, sui partiti italiani sovranisti – la Lega di Matteo Salvini e il Movimento cinque stelle – per indebolire l’Unione europea dall’interno e tagliare il cordone stretto dall’Occidente attorno a Mosca dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2014. Le prove di questi legami sono emerse a macchia di leopardo sulla stampa italiana e internazionale. Il 6 marzo 2017, un anno prima delle elezioni politiche italiane, il leader della Lega Matteo Salvini firmava insieme al parlamentare russo Sergei Zheleznyak un patto di collaborazione con Russia Unita, il partito di Vladimir Putin. Nel 2018 il nome del leghista Gianluca Savoini è emerso in una serie di inchieste giornalistiche per un presunto coinvolgimento in una trattiva commerciale tra aziende russe e italiane che avrebbe portato a finanziamenti illeciti di partiti politici italiani, in particolare della Lega.
Venendo all’ultimo anno, a marzo 2020 con l’Italia in pieno lockdown, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte accetta l’offerta di Putin di inviare 9 aerei cargo militari con materiale medico per contrastare la pandemia. Lo «sbarco dei russi» a Roma, con le immagini rilanciate da Mosca in tutto il pianeta attraverso le tv di stato e i social network, è stato ripreso dai mezzi di informazione europei. Preoccupando non poco la Nato, sospettosa che gli aiuti fossero in realtà una forma di pressione sull’Italia affinché perorasse a Bruxelles la causa dell’annullamento delle sanzioni su Mosca.
Sempre nel 2020 il presidente della Commissione Esteri del Senato, Rosario Petrocelli, eletto con il Movimento cinque stelle in Puglia per la sua forte opposizione al Tap (Trans Adriatic Pipeline), un progetto inviso alla Russia, riceve inviti dalla Duma affinché sponsorizzi in Italia il vaccino Sputnik V. Un anno prima il senatore aveva partecipato al congresso di Russia Unita, dove aveva avuto colloqui tra gli altri anche con Sergey Kislyak, ex ambasciatore russo a Washington, l’uomo che incontrò il generale Michael Flynn nel periodo del transition team di Trump a fine del 2016 (incontro che sarebbe poi costato il posto a Flynn). Se è vero che gli interessi russi hanno trovato nella Lega e nel Movimento cinque stelle dei facili megafoni in Italia, è altrettanto vero che c’è ancora oggi una parte del mondo comunista italiano che rimane fortemente affascinata dalla Russia. È il caso di Giulietto Chiesa, storico esponente del Pci, scomparso nel 2020, che nel 2018 si era ritrovato a presentare un libro di Aleksandr Dugin, il teorico russo del populismo, dalla terrazza della sede di Casapound a Roma. Insomma, sebbene il populismo sia meno in voga rispetto agli scorsi anni e nonostante alla fine il vaccino Sputnik V non abbia attecchito in Italia, il partito degli «amici della Russia» nel nostro Paese resta più che mai trasversale.
Tratto da Babilon 4
Tramonto Russo
Fonte: https://www.babilonmagazine.it/russia-italia-salvini-lega-populisti/
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