Il tormento di un’idea: la responsabilità che gli adulti hanno ma che non tutti capiscono
di MICHELE CANESSA (RI Genova)
L’ho letto tutto questo articolo e ti devo confessare, non parla di me, non mi descrive, non mi rappresenta.
Parlo per me, saranno gli altri a dire se sono d’accordo. La mia opinione sul perché le generazioni dai 40 in su resistono è un’ altra, molto più profonda. L’articolo non ne parla e allora la metto per iscritto, visto che di anni ne ho proprio 40 e da quando ne avevo 16 mi domando in che razza di società ci tocca vivere.
In questi anni ho imparato a riconoscere l’ inadeguatezza delle scelte politiche subendone le conseguenze, una per una. Ne ho colto la costante coerenza distruttiva del Paese: spolpato fino al midollo. Noi 40enni e passa abbiamo la memoria storica, siamo testimoni del prima e del dopo. 40 anni e più di decisioni scellerate presentate come opportunità ma rivelatesi immancabilmente fregature tremende: l’euro, il “ce lo chiede l’Unione Europea” (ve le ricordate le quote latte, il diametro delle mele, la lunghezza delle banane?) la disoccupazione strutturale, le privatizzazioni, la precarizzazione, la deindustrializzazione, la decommercializzazione, il ricatto dello spread, gli studi di settore, la privatizzazione del debito pubblico, la tassazione disumana, la delocalizzazione, i suicidi degli imprenditori.
Serve una memoria da elefante per ricordarsele tutte queste vergogne. Ferite ancora sanguinanti, sulla nostra pelle. Mi ricordo tutto, studio da più di 20 anni per capire che diavolo stanno facendo questi “inetti”. Inetti si fa per dire, sanno benissimo quello che fanno. Oggi, però, vedo con un occhio diverso, mi guardo intorno: vedo i campetti da calcetto vuoti e i bambini ricurvi sugli smartphone, confronto i programmi della mia scuola elementare e li confronto con l’analfabetismo funzionale di oggi, vedo cosa mangiamo e cosa mangiavamo, vedo la prosperità di allora e la disoccupazione di adesso, vedo le persone di allora e le confronto con l’oggi: tutte vittime, criceti immersi in una ruota senza freni, polli in batteria da spremere fino alla morte.
Stanno accelerando il processo di riprogrammazione della società da un punto di vista economico, sociale, antropologico. Una società più digitale, forse, ma peggiore e disumanizzata certamente. Un assaggio lo abbiamo già avuto e mai come ora il futuro è incerto e buio per le nuove generazioni. Rifletto sul fatto che se non ci piacerà, non faremo più in tempo a tornare indietro. I frutti li abbiamo già visti e assaggiati, sono marci. Abbiamo più poco tempo per tirare il freno a mano. Pochi anni e non avremo più la forza di nulla. Saremo vecchi e loro lo sanno.
I giovani di oggi sono troppo acerbi per capire e per interessarsi di ciò che li circonda: faranno i conti troppo tardi, a spese loro, immersi in un paese dei balocchi che li vuole ignoranti, privi di iniziativa, distanti dalle cose importanti, dipendenti sempre da qualcosa o da qualcuno. 40 anni che ci provano, sempre gli stessi, le stesse facce, poi sono arrivati gli altri, ma erano gli stessi, travestiti.
Le opzioni a questo punto sono soltanto due: o non ho capito niente oppure ho capito tutto. È poiché anni di studi e di approfondimenti non sono cose che si improvvisano, resisto e che dico NO a tutto questo. Il mio è il tormento di un’idea: proviamo a crederci, proviamo a farlo. Non abbiamo nulla da perdere ma solo da guadagnare. Una rivoluzione sì dal basso ma non eterodiretta, dall’alto. Non aspettiamo che il tempo ci dia le ragioni.
Fermiamoci a riflettere e ripensiamo un futuro migliore. Se non noi, chi? Se non ora, quando?
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