Perché il capitalismo non è democratico
di DAVIDE MURA
La pandemia ha fatto emergere (ancor più di quanto lo avesse fatto emergere l’euro) la vocazione “autoritaria” del sistema capitalista. Premessa: qualcuno, leggendo queste parole, potrebbe dire: “eh, ma il comunismo… eh, ma il socialismo… eh, ma l’URSS… eh, ma Cuba”. E’ vero, ogni ideologia, se portata alle estreme conseguenze, può sempre degenerare in un sistema autoritario e antidemocratico. Ma c’è una sostanziale differenza tra un’ideologia, il cui scopo dichiarato è eliminare le diseguaglianze sociali per creare una società dove non esistono persone che sfruttano il lavoro e la vita altrui e un’ideologia, il cui scopo intrinseco è invece lo sfruttamento del lavoro e della vita altrui per accumulare ricchezze personali e dominare gli altri.
Il capitalismo è questa ideologia. Null’altro che un sistema congegnato per accumulare ricchezza e dominare gli altri. Nulla a che vedere con la versione infantile, quella che viene spacciata alle masse, per dar loro l’illusione che il capitalismo, in fin dei conti, è un’ideologia positiva e anzi, auspicabile. Questa versione afferma che il capitalismo è quel sistema dove ognuno è libero di creare la propria ricchezza; ricchezza che finisce per elevare il benessere di tutti. Sicché, se si lasciano liberi gli uomini di perseguire il proprio obiettivo di ricchezza personale, a beneficiarne è l’intera collettività (fra i primi a teorizzarlo fu Adam Smith).
Ma, complice le evidenze storiche, questa è solo una pia illusione. Nel capitalismo, il benessere e la ricchezza di qualcuno si traduce, inevitabilmente, nel bisogno e nella povertà di qualcun altro. Il sistema capitalista ha la necessità di sfruttare il lavoro e la vita degli altri per realizzarsi. Questo, inevitabilmente, porta alla creazione di una società profondamente diseguale, dove esiste una classe dominante, proprietaria della ricchezza accumulata tramite lo sfruttamento delle masse, e le masse, cioè coloro che, con il proprio lavoro, favoriscono l’accumulazione delle ricchezze da parte delle classi dominanti (élite).
L’illusione, dunque, sta nel far credere alle masse che la ricchezza e il benessere siano un obiettivo alla portata di tutti, e che ogni persona ha la possibilità di elevarsi e di accedervi, semplicemente con il proprio lavoro e le proprie capacità. Ma è una semplice operazione di marketing per far digerire alle masse un sistema darvinista e profondamente discriminatorio. E’ un po’ come il gioco d’azzardo. Tutti partecipano al gioco nella speranza di arricchirsi, ma pochissimi fortunati, in realtà, riescono nell’intento (e se andiamo a vedere bene, fra quei pochissimi, sono altrettanto pochi quelli che emergono dalla massa, gli altri, in un modo o nell’altro fanno già parte delle élite). Nel mentre, il banco si arricchisce, perché tutti puntano i loro risparmi. Dunque, questo gioco – il capitalismo – è solo una complessa illusione sociale.
Per potersi affermare come ideologia dominante, il capitalismo necessità di una classe politica autoritaria, che mal tolleri le istanze sociali e politiche delle masse. Del resto, il benessere diffuso che la massa naturalmente invoca non si sposa bene con le istanze capitalistiche. Se l’obiettivo è assicurare alle élite la ricchezza e il dominio, deve necessariamente esistere una classe (la classe dominata) che deve essere oggetto di sfruttamento e che possa essere spogliata di quella ricchezza, quanto meno periodicamente. Perché ciò accada, deve esistere una classe politica disposta a farlo, che sia, così, espressione diretta o indiretta della classe dominante.
Nel quadro storico, il sistema capitalistico ha raggiunto il suo apice autoritario tra l’ottocento e la metà del novecento, quando è culminato con i regimi nazifascisti, affermatisi come feroce reazione all’ideologia socialista (soprattutto di seguito alla rivoluzione d’ottobre e alla nascita dell’URSS), e dunque alla richiesta sempre più pressante delle masse di vedersi riconosciuti diritti sociali e politici importanti e fondamentali (tutele lavorative, salari dignitosi, orari di lavoro umani, pieno diritto di partecipare alla vita politica del paese ecc.). Con la fine della seconda guerra mondiale e la nascita delle moderne democrazie sociali o social-democratiche, il capitalismo è dovuto scendere a compromesso con queste istanze popolari.
E qui, dunque, arriviamo alla democrazia come compromesso tra le élite capitalistiche e la massa (rappresentata dai partiti popolari di massa di stampo socialista e social-democratico). Un compromesso, comunque, sempre mal tollerato dal capitalismo, abituato a dominare le masse, distribuendo paritempo la favoletta infantile del capitalismo come occasione di ricchezza per tutti, bastando l’impegno e il lavoro per raggiungerla.
Nella seconda metà del 900 il lavoro (carsico) del capitalismo per ripristinare il pieno dominio delle classi elitarie comunque non è mai cessato. E dopo un primo periodo di esplosione del benessere sociale con i consumi di massa e l’accesso delle masse a beni e servizi che prima erano riservati alle classi elitarie, il capitalismo – tramite l’ideologia neoliberale – ha cominciato a riguadagnare terreno culturalmente e politicamente.
L’euro rappresenta la versione ordoliberale del capitalismo ottocentesco. Non sto qui a spiegarvi cosa sia l’ordoliberismo (ma se volete, potete leggere il mio libro). Quel che è certo è che questa è la versione 2.0 del detto capitalismo. La differenza è il ruolo dello Stato: nel capitalismo ottocentesco, lo Stato è neutro rispetto al dominio del capitale sulle masse lavoratrici; nell’ordoliberismo, lo Stato regola l’accesso al mercato, ma è neutro rispetto a questo dominio (v. liberalizzazione dei rapporti di lavoro e libera fluttuazione dei salari).
E qui torniamo all’inizio. La pandemia non ha fatto altro che far emergere con maggiore evidenza il ripristino del puro capitalismo darvinista (e intrinsecamente autoritario). La demolizione dei diritti sociali, comunque già consolidatasi nell’ultimo trentennio (con l’introduzione dell’euro), è culminata con la negazione dei diritti costituzionali fondamentali, di seguito all’emergenza sanitaria. L’alba di una società puramente capitalista (cioè senza reale mediazione democratica tra élite e massa), fortemente digitalizzata, rischia di diventare la nostra realtà, qualora la massa, illusa dal marketing del profitto come motore del benessere diffuso, non riprenda coscienza di sé e del proprio potenziale politico ed economico.
Fonte: https://www.davidemura.com/perche-il-capitalismo-non-e-democratico-7469/
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