Perché la tutela dell’ambiente in Costituzione rischia di essere dannoso
di DAVIDEMURA
Ieri hanno approvato definitivamente la riforma costituzionale che introduce la tutela dell’ambiente in Costituzione. Non ci sarà referendum costituzionale, perché è passata a maggioranza qualificata. Una norma questa che odora gravemente di ideologia globalista e green, che se non è dannosa è comunque superflua.
Ebbene, la riforma costituzionale (che interviene sugli artt. 9 e 41) stabilisce all’art. 41 (tralascio, per ora, l’art. 9, ma vedere addendum) che l’attività economica (pubblica e privata) non potrà (tra l’altro) svolgersi in modo da “arrecare danno all’ambiente e alla salute“. Questo passaggio stabilisce, in altre parole, che le attività economiche dovranno comunque osservare tutte quelle leggi nazionali e transnazionali (v. alla voce “vincolo esterno”) che impongono stringenti regole ambientali, sulla scia di una illogica quanto assurda ideologia green; regole che però, per il loro (prevedibile) costo eccessivo (es. si pensi alle regole europee sull’energia che hanno fatto lievitare le nostre bollette), potrebbero determinare l’impossibilità di svolgere nel nostro paese tutte quelle attività considerate “inquinanti”. Il danno economico, in questo caso, sarebbe enorme.
Sul piano strettamente costituzionale, una norma simile, oltre che essere sovrabbondante, per la sua collocazione sistematica appare economicamente pericolosa, perché permette – tramite la possibilità di coordinare e indirizzare l’attività economica per fini sociali e ambientali (novellato) – di reprimere l’iniziativa economica pubblica e privata su un presupposto del tutto slegato dal benessere collettivo e sociale, quale è l’ambiente (realtà fine a se stessa) e di restringere, conseguentemente, i diritti sociali ed economici dei cittadini (lavoro, vita dignitosa ecc.). A titolo di esempio: si pensi a ipotetiche chiusure di impianti di energia con i conseguenti lockdown ambientali, o ai controlli sul consumo della CO2, superati i quali le aziende subiscono multe o vengono chiuse, con un incremento dei livelli di disoccupazione e un calo della ricchezza nazionale.
Il potenziale distruttivo di questa riforma ancora non si conosce, ma è chiaro che se venisse applicata o attuata, si rivelerebbe per quello che è: non certo una riforma a favore dell’ambiente e certamente non a favore dell’economia italiana. La sua presenza chiude, infatti, la pianificazione economica-energetica verso fonti di energia che non siano considerate “green“, precisando che il concetto di “green” è un concetto squisitamente politico. Ma non solo, impone le politiche green (qualsiasi cosa esse siano, secondo l’ideologia contingente) in ogni ambito della vita sociale, semplicemente andando a colpire le fonti della produzione economica. Per esempio, non sarebbe possibile creare impianti nucleari (lo so, molti sono contro, ma non è questo il punto), né sarebbe possibile creare centrali elettriche a carbone o, peggio, non sarebbe nemmeno possibile impiantare aziende che, per il loro sistema produttivo, richiedano il consumo di “troppa” energia o producano “troppa” CO2 (si badi: il concetto di “troppo” è arbitrario perché verrà definito dalla politica).
In realtà, questa riforma risponde in modo preciso ad Agenda 2030, non tanto sulla tutela dell’ambiente, quanto sulla riduzione dei consumi di massa, sulla riduzione dei livelli occupazionali e sul progetto di decrescita economica e di deindustrializzazione, che nel lungo periodo andranno a porre le basi per una “nuova” società ancòrata sulle forti diseguaglianze economiche e di vita: le élite con il loro potere e i loro privilegi da una parte, e le masse con le loro povertà e la loro subalternità (in nome dell’ambiente) dall’altra. Un mondo che nulla ha a che vedere con la Costituzione del 1948, quella senza la tutela dell’ambiente (e di molte altre cose aggiunte negli anni proprio per snaturarne lo spirito), che – ricordo – pone al centro dell’azione politica il benessere del cittadino e il suo diritto a una vita dignitosa e serena, tramite il lavoro.
Addendum. La riforma introduce anche la tutela dell’ambiente, delle biodiversità e degli ecosistemi, riformando l’art. 9. Ai più non sfugge che essendo questa norma introdotta nei principi fondamentali, si mette in piena concorrenza con gli altri principi costituzionali fondamentali, offrendo una base costituzionale per limitarli e condizionarli in nome dell’ambiente e delle biodiversità. Qualcuno, leggendo questo, forse sente riecheggiare “green pass” e “lockdown ambientale” non solo per aziende e imprenditori, ma anche per i semplici cittadini. E non sbaglia… Ma ne riparlerò in un prossimo articolo.
Addendum bis. La riforma dell’art. 41 introduce nelle limitazioni, nel coordinamento e nell’indirizzo delle attività economiche pubbliche e private anche la tutela della salute. Questa norma, di fatto, legittima a livello costituzionale le chiusure delle attività per ragioni sanitarie. Non solo dunque i lockdown energetici, ma anche quelli sanitari, a cui si uniscono le possibili limitazioni delle libertà individuali per tutelare l’ambiente, gli ecosistemi e la salute collettiva, per combinato disposto degli artt. 9 e 32.
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