Il 22 settembre 1902 il Presidente del consiglio dei ministri Giuseppe Zanardelli era ospite a Montalbano Jonico del Barone Giuseppe Federici d’Abriola durante una delle tappe del suo viaggio in Basilicata. L’ospite riservò al Capo del governo ed al suo seguito una cena alla francese fatta di “Purèe à la Reine”, “Paté de foie gras au truffe”, “Filet de sanglier au Madera”; atteggiamento provincialistico, quello del Barone Federici, se pensiamo che da quel territorio più volte all’anno partiva per Napoli un bastimento pieno di derrate alimentari mediterranee consistenti principalmente in formaggi, mozzarelle di bufala, agrumi. liquirizia, olio di oliva, ortaggi vari, frumento, uova e carni caprine, ovine, suine e bovine. La stessa cosa avvenne il giorno dopo, allorché Zanardelli fu ospite del feudatario di Policoro, il Barone Berlingieri. Giuseppe Lupo narra nel suo bel romanzo storico dedicato alla visita di Zanardelli, La Carovana Zanardelli (Marsilio 2008), che il giorno dopo la sosta a Montalbano, lo statista bresciano e quasi tutti i commensali lamentarono di aver avuto nella notte una brutta indisposizione viscerale, tanto da aver addirittura fatto sospettare un attentato.
Cosa c’entra questo episodio con l’argomento di questo articolo? Potrebbe suonare come una sorta di “avvertimento”, lanciatoci un secolo fa e più a non lasciare la via italiana per inseguire la chimera di un’alimentazione internazionalizzata, globalizzata e ovviamente omologata. A parte ciò, conoscendo il retroterra culturale e politico di Zanardelli e della classe politica lucana di quei tempi nonché l’atmosfera e il clima culturale di quegli anni, pienamente rientranti nella Belle Époque, se due più due fa quattro, è facile collegare quel provincialismo con l’illusione illuminista di “cosmopolitizzare” anche il cibo. Antonino De Francesco, nel suo saggio La palla al piede. Una storia del pregiudizio antimeridionale (edito da Feltrinelli nel 2013) fa risalire il pregiudizio antimeridionale, che spesso affliggeva la stessa cultura e la stessa politica meridionale, ad una radice illuminista e settecentesca.
La produzione agroalimentare italiana oltre ad essere afflitta dalla crisi energetica e dal rincaro bollette, oltre ad essere penalizzata dalle tensioni internazionali tra Usa, Russia, Ucraina e Cina, rischia di essere letteralmente spazzata via da alcune tendenze, prima latenti ora palesi, a standardizzare e a rendere omologhe le diverse tradizioni ed identità agroalimentari, Nutriscore, in testa a tutte.
Ma vediamo uno per uno questi fattori di crisi. Dice Annamaria Capparelli, inviata de “Il Quotidiano del Sud”: ‹‹Per le operazioni colturali gli agricoltori stanno affrontando rincari fino al 50% per il gasolio, mentre per i fertilizzanti si paga fino al 140 % in più. In questa fase di gelo (siano a gennaio 2022 n.d.r.) aumentano i consumi energetici per le stalle, le serre e dunque a soffrirne sono tutte le produzioni, dal Nord al Sud.›› Ai problemi energetici, e collegata con essi, si è sovrapposta la crisi Usa – Ucraina – Russia che ha portato la Russia, come ritorsione verso le sanzioni economiche occidentali ed europee, a bloccare l’esportazione dei nitrati ammonici, cioè alcuni tra i fertilizzanti più utilizzati nella stagione primaverile, allorché le piante riavviano la loro vegetazione e si devono preparare a fruttificare.
Per comprendere il paradosso di questa situazione, basti pensare che negli anni ’50 e nei primi anni ’60, l’Anic (azienda Eni) produceva fertilizzanti in concorrenza con la Montecatini (legata alle “sette sorelle” del petrolio) per sostenere l’agricoltura italiana e utilizzava la sovraproduzione di fertilizzanti e gomma sintetica come merce di scambio con la Russia sovietica e comunista, in tempi di guerra fredda, per ottenerne in cambio petrolio. Anche in questo settore da paese largamente esportatore siamo scaduti a paese notevolmente importatore e dipendente.
Come se non bastasse tutto ciò, anche la Cina ci ha messo del proprio. Da alcuni mesi sta facendo incetta di grano e soia ed entro il 2022 riuscirà ad accaparrarsi il 69% delle riserve mondiali di mais, il 60% del riso ed il 51% di grano (dati USDA). Ciò non poteva che generare aumenti incontrollabili di queste materie essenziali e, per qualche paese, anche rischi di carestia. Ivano Facondio, presidente di “Federalimentare”, ha dichiarato: ‹‹Ho come l’impressione che non si abbia un’esatta percezione dello tsunami che ha travolto l’industria alimentare e anche che non si conosca bene l’articolazione del settore. Il nostro è un comparto vitale per l’economia, ma è fatto in larghissima parte di piccole e a volta piccolissime imprese che però sono molto dinamiche. Ma queste dimensioni aziendali se consentono di stare bene sui mercati non riescono ad ammortizzare queste diseconomie esterne.››
A ciò si aggiunga anche il male che l’Europa fa a se stessa con normative che tendono a colpire le tradizionali produzioni agroalimentari dei vari paesi europei (e prima di tutto l’Italia) con l’alibi del “salutismo”, divenuto criterio basilare per promuovere o bocciare cibi, bevande ed alimenti antichi quanto l’uomo. Hanno provato di recente con il vino che volevano inserire nella lista nera dei prodotti cancerogeni e bollare come le sigarette con un “Achtung! Pericolo di morte” da esibire obbligatoriamente sulle etichette del nostro “Chianti”, del nostro “Primitivo di Puglia”, del nostro “Prosecco”, del nostro “Aglianico” e chi più ne ha, più ne metta. Per il momento non ci sono riusciti, ma, come dice Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di “Filiera Italiana”, ‹‹Abbiamo vinto una battaglia non certo la guerra che è tutta da combattere. Abbiamo introdotto un po’ di buon senso nel testo sul consumo di alcool, ma la guerra tra opposte visioni prosegue.››
Ci vogliono provare con “Nutriscore”, un sistema di classificazione dei cibi e dell’agroalimentare effettuata in base a presunti parametri “salutistici”, ipoteticamente suscettibili di prevenire l’obesità ed altre patologie collegate ai disordini alimentari. C’è chi vorrebbe opporre a questo sistema, che penalizzerebbe fortemente la produzione agroalimentare italiana, il “Nutrinform”. Dice sempre Luigi Scordamaglia: ‹‹Il Nutriscore distingue tra alimenti buoni e alimenti cattivi, penalizzando prodotti come il parmigiano a vantaggio di formaggi di pessima qualità fatti con ingredienti artificiali. Il Nutrinform, che sta sempre più convincendo i Paesi del Sud Europa, aiuta invece il consumatore a scegliere i singoli alimenti, meglio se di qualità per un apporto complessivo giornaliero equilibrato.››
Insomma quella stessa Europa che non è riuscita a realizzare l’originario progetto di unificazione politica, che non riesce a concordare una politica estera comune, che non riesce ad attrezzare un vero e proprio esercito europeo, cerca di compensare queste frustrazioni con l’unificazione e l’omologazione alimentare scippando paesi come l’Italia e gli altri paesi euromediterranei della propria sovranità alimentare. Sostiene sempre Luigi Scordamaglia: ‹‹È la logica della omologazione. Si vuole applicare un algoritmo costruito a tavolino (l’astratta razionalità di stampo illuminista n.d.r.) per favorire determinati prodotti e penalizzarne altri dimenticando che ciò che ha fatto degli italiani uno dei popoli più longevi al mondo è la dieta basata sull’equilibrio delle componenti alimentari di qualità.››
Sembrerebbe che il mondo agricolo però non stia questa volta a guardare. Giovedì 17 febbraio la Coldiretti ha guidato una manifestazione della categoria tra le più riuscite e affollate degli ultimi decenni. Agricoltori, coltivatori diretti, allevatori, persino ristoratori e trasportatori sono scesi in piazza in 26 tra le città principali del Nord e del Sud. La manifestazione è così riuscita che la Cia (Confederazione Italiana Agricoltori), temendo di perdere aderenti, ha già preannunciato sue iniziative per le prossime settimane. La Coldiretti ha posto come base di questa vertenza lo sblocco di 7 miliardi fermi, che potrebbe dare ossigeno alle aziende in questa fase critica la cui conseguenza più immediata sarà l’aumento delle importazioni e la chiusura dei battenti di tante aziende agricole. Con le attuali condizioni, un agricoltore su tre è costretto a tagliare la propria produzione. Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini ha affermato all’indomani delle manifestazioni: ‹‹Le risorse per intervenire ci sono: 7 miliardi da spendere che potrebbero dare subito un ristoro al settore. Va dunque data una scossa alla burocrazia . Il grande peso per le imprese è rappresentato oggi dalle superbollette energetiche, più che raddoppiate nelle stalle e nelle serre.›› Di questi 7 miliardi 1.5 miliardi, destinati dal PNRR al fotovoltaico, giacciono inutilizzati quando potrebbero servire a realizzare su stalle e serre pannelli che ridurrebbero da subito i costi energetici delle aziende.
Queste proposte rappresentano solo il tentativo di prender fiato al settore per non farlo morire, ma è l’intera struttura ed impostazione della produzione agroalimentare che va sistemata e l’Europa dei burocrati e dei tecnocrati assoggettati a poteri estranei ai veri interessi europei non deve condizionarci. Secondo Scordamaglia dietro certe tendenze ci sarebbero i “soliti noti” come Bill Gates che sta investendo risorse illimitate nella fake meat (falsa carne) e nel fake cheese (falso formaggio). Egli aggiunge molto opportunamente: ‹‹Non si può dipendere troppo dall’estero per beni di prima necessità. Nella malaugurata ipotesi di un’esasperazione della crisi tra Russia e Ucraina si sarebbero bloccati il primo e il terzo fornitore mondiale di grano, facendo esplodere i prezzi già alti di questa e di altre materie prime agricole. La soluzione è una sola: bisogna aumentare la produzione agricola nazionale attraverso contratti di lungo termine che valorizzino adeguatamente il nostro prodotto.›› La filiera agroalimentare vale 550 miliardi di euro, il 25% del Pil italiano, non ce ne rendiamo conto ma essa rappresenta ‹‹il nuovo petrolio›› per riprendere un’altra efficace espressione del presidente di “Filiera Italia”.
FONTE: https://www.qelsi.it/2022/lagroalimentare-italiano-minacciato-dalla-globalizzazione/
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