I negoziati 5+1 sul nuovo accordo nucleare con l’Iran hanno prodotto un primo documento di 20 pagine [1].

Una prima tappa dovrebbe consistere nella sospensione da parte dell’Iran dell’arricchimento dell’uranio oltre il 5%, nonché nella liberazione dei prigionieri occidentali. In contropartita dovrebbero essere sbloccati setti miliardi di dollari di beni iraniani depositati in Corea del Sud. La seconda fase dovrebbe consistere nella rimozione delle sanzioni statunitensi. Alla fine l’Iran non dovrebbe arricchire l’uranio oltre il 3,67%.

In pratica Washington non abrogherà le sanzioni, ma prenderà misure derogatorie che dovranno essere confermate ogni tre mesi.

Il problema tuttora aperto è sapere se gli Stati Uniti potranno firmare questo nuovo testo e poi ritirare la firma altrettanto facilmente di quanto fece Donald Trump, e se in tal caso l’Iran avrebbe a sua volta diritto di ritirarsi dall’accordo. In linea generale, Washington prende sempre a pretesto possibili cambiamenti democratici nella propria amministrazione per non aver le mani legate nel medio termine.

Il 20 febbraio 2022 il primo ministro israeliano, Naftali Bennett, che ritiene l’accordo imminente, ha dichiarato che Israele esige garanzie che l’Iran non entrerà mai in possesso della bomba nucleare. Il 21 febbraio il presidente iraniano, Ebrahim Raïssi, si è recato in Qatar per partecipare al Forum dei Paesi esportatori di Gas (GECF) (foto). Dovrebbe parallelamente incontrare dei rappresentanti di Israele (non degli israeliani).

È evidentemente possibile che gli Stati Uniti negozino bilateralmente per il gas iraniano. L’accordo 5+1 concluso con Barack Obama, da cui Donald Trump si era ritirato, fu l’occasione per negoziare con il presidente Hassan Rohani l’esportazione del gas iraniano in Europa, per fare concorrenza al gas russo. Il progetto era stato abbandonato, ma torna a essere particolarmente sensibile con il riacutizzarsi delle tensioni fra Mosca e Washington.

Traduzione
Rachele Marmetti