Ucraina: guerra d’attrito, trattative o quiete prima della tempesta?
da ANALISI DIFESA (Gianandrea Gaiani)
Il relativo decrescere dell’intensità dei combattimenti sui fronti ucraini registratosi in questi ultimi giorni si presta a diverse interpretazioni. Da un lato gli sviluppi nelle trattative tra russi e ucraini in Turchia, pur non promettendo per ora soluzioni a breve termine del conflitto né un cessate il fuoco, hanno favorito un annunciato arretramento delle linee russe intorno a Kiev che ha consentito il ripristino di alcune attività “normali” nella capitale.
D’altra parte proprio in questo settore gli ucraini hanno effettuato nei giorni scorsi contrattacchi coronati da successo mentre i russi stiano effettuando un importante avvicendamento di reparti con forze fresche che rilevano battaglioni reduci da un mese di combattimenti.
Lo stato maggiore della Difesa ucraina ha confermato che unità russe continuano a ritirarsi parzialmente dal nord dell’oblast di Kiev verso il confine di Stato con la Bielorussia. Secondo l’ultimo comunicato dell’intelligence britannica, diffuso dal Ministero della Difesa del Regno Unito, le forze ucraine avrebbero riconquistato i centri di Sloboda e Lukashivka, a sud di Chernihiv, mentre sia Kiev che Chernihiv sono state “oggetto di continui attacchi aerei e missilistici”. Per l’intelligence di Londra, inoltre, “le truppe ucraine hanno anche continuato a effettuare contrattacchi di successo ma limitati a est e nord-est di Kiev”.
Secondo l’intelligence di Londra i russi si sarebbero ritirati anche dall’aeroporto di Hostomel, uno dei primi obiettivi militari conquistati all’inizio dell’invasione, lo scorso febbraio, dalle forze aerotrasportate.
Un veicolo russo Tigr distrutto nei sobborghi di Kiev (Fausto Biloslavo)
In questo contesto alcuni intravvedono la volontà russa di far riposare alcune brigate impiegate sul fronte di Kiev per trasferirle nel Donbass per la battaglia che potrebbe risultare decisiva contro le ingenti forze ucraine ormai circondate nella provincia di Donetsk tra Slavyansk e Kramatorsk.
Un’ipotesi credibile tenuto conto che in questo settore la caduta di Mariupol ormai imminente e inevitabile, permetterà ai russi di liberare almeno un paio di brigate per le operazioni più a nord.
In attesa di osservare gli sviluppi sul campo gli elementi emersi dopo cinque settimane di guerra sgombrano il campo da alcune ipotesi finora sostenute soprattutto dalla propaganda targata USA-NATO-Ucraina, come la narrazione tesa a dipingere l’offensiva russa come una fallita “guerra lampo” tesa a conquistare l’intero territorio amministrato da Kiev.
Al di là della considerazione che nessuno scatenerebbe mai una “guerra lampo” in Ucraina in marzo, quando il fango ostacola i movimenti delle colonne corazzate, era fin dall’inizio dell’offensiva evidente che il numero di militari messi in campo da Mosca (circa 100 mila poi saliti a 150 mila) risultava ben inferiore agli effettivi messi in campo dagli ucraini e non era certo sufficiente a conseguire un simile obiettivo.
I russi infatti hanno condotto l’avanzata intorno ai confini dell’Ucraina, quelli terrestri con Russia e Bielorussia e quelli marittimi sul Mare d’Azov, occupando o apprestandosi a conquistare una fascia di territorio che coincide con la presenza di una popolazione in grandissima parte russofona. Se si osserva la mappa che mostra la penetrazione russa in territorio ucraino (sopra) si nota che disegna una mezzaluna con i vertici rivolti a Occidente, verso Kiev a nord e verso Mikolayv e Odessa a sud.
Tale mappa coincide, soprattutto a est del fiume Dnepr, con le aree di maggiore presenza di popolazione russofono (sotto).
Se si esclude il caso di Mariupol, il mancato assalto russo ai centri urbani e la quotidiana, complessa esfiltrazione dei civili attraverso i corridoi umanitari, confermano la volontà russa di avanzare lentamente, riducendo il più possibile le perdite tra i propri militari, quelli ucraini e la popolazione con l’obiettivo di indurre le guarnigioni avversarie alla resa o a concordare un ritiro onorevole.
Ultimi scontri a Mariupol
Anche per questa ragione le guarnigioni ucraine vengono circondate per indurle alla resa a Mariupol e tra Slaviansk e Kromatorsk, nel Donbass.
Nella città portuale sul Mare d’Azov la resistenza ucraina è agli sgoccioli: controlla solo la ziona centrale, il porto e uno stabilimento industriale e non ha alcuna speranza di ricevere rinforzi. I tempi per la caduta completa della città dipendono quindi esclusivamente dalla violenza o meno dell’attacco delle truppe russe che in aree periferiche stanno facendo affluire aiuti umanitari alla popolazione.
Un lanciarazzi campale BM-21 distrutto nei combattimenti a nord di Kharkiv (Fausto Biloslavo)
Un assalto decisivo preceduto da un pesante fuoco d’artiglieria provocherebbe molte vittime tra i civili ancora presenti nei quartieri presidiati dai difensori, inclusi gli uomini del reggimento Azov ispirato alle SS ucraine della Seconda guerra mondiale e composto anche da volontari stranieri che presidiano l’acciaieria di Azovistal, dive secondo i Mosca molti civili verrebbero trattenuti come “scudi umani”.
Lo sviluppo più probabile vedrebbe i russi restringere progressivamente l’area urbana in mano al nemico, ormai privo di mezzi corazzati e artiglieria e probabilmente con poche munizioni, rinunciando a “spallate” che provocherebbero vittime inutili in una battaglia in cui la vittoria è ormai acquisita e già oggi consente ai russi di conseguire quella continuità territoriale tra la Crimea e il Donbass e di assumere il controllo dell’intera costa del Mare d’Azov che costituivano uno degli obiettivi principali dell’operazione speciale cominciata il 24 febbraio scorso insieme alla “denazificazione” dell’Ucraina che potrebbe simbolicamente venire conseguita con l’annientamento delle forze annunciata del reggimento Azov a Mariupol.
Verso una battaglia decisiva nel Donbass?
L’altro obiettivo militare annunciato da Vladimir Putin nel discorso che accompagnò l’inizio delle ostilità, ma protezione della popolazione ucraina-russofona, è ha portata di mano una volta completata la conquista delle province di Luhansk e Donetsk, da otto anni teatro di guerra (ignorato quasi totalmente da politica e media) che i russi riconoscono come “repubbliche”.
Qui si sta combattendo la battaglia forse decisiva di questo conflitto in cui almeno 60 mila militari dei migliori reparti dell’esercito sono ormai circondate.
Si tratta di reparti di veterani che dispongono di ottime postazioni difensive e che secondo Mosca stavano per scatenare una pesante offensiva contro le milizie filorusse e del resto alla vigilia dell’operazione speciale russa si erano intensificati i bombardamenti d’artiglieria ucraini sulla città di Donetsk e sulle aree in mano ai filo-russi.
I russi hanno mostrato i piani di tale offensiva, che Kiev ha sempre negato (benché il presidente Zelensky avesse annunciato in pubblico l0estate scorsa un’operazione per liberare la Crimea), affermando di averli trovati in un comando ucraino espugnato ma è impossibile verificare l’autenticità di tale documento (nella foto sotto)
Si tratta di reparti di veterani che hanno combattuto per otto anni in quella regione e che dispongono di ottime postazioni difensive. Per questo i russi avanzano lentamente, affiancati dalle forze delle Repubbliche di Donetsk e Luhansk, puntando alla resa del nemico che potrebbe presto esaurire rifornimenti e munizioni e non sembra avere più la capacità di manovrare con mezzi corazzati.
Le truppe russe controllano ormai la quasi totalità della provincia di Luhansk e il 60 per cento di quella di Donetsk e benché in questo settore abbiano già avvicendato gran parte dei reparti impiegati nella prima fase dell’offensiva finora non hanno mostrato interesse a scatenare un assalto decisivo che provocherebbe molte perdite su ambo i lati della barricata.
“Non avere paura. Parla russo” si legge nel cartello diffuso nelle aree del Donbass sotto il controllo russo (Twitter)
Nel Donbass si è registrato il primo caduto italiano di questa guerra, dilaniato da una bomba a mano in trincea mentre combatteva a fianco delle milizie separatiste filorusse a Adveedka, a nord di Donetsk. Edy OIngaro, 46 anni, dal 2015 combatteva nella Brigata Prizrak dell’esercito della Repubblica Popolare di Donetsk e composta da volontari stranieri.
La sconfitta o la resa del grosso dell’esercito ucraino potrebbe avere un impatto considerevole sulle operazioni militari spalancando di fatto la porta al controllo russo di tutta la sponda orientale del Dnepr nel centro sud dell’Ucraina ma potrebbe influenzare anche le trattative rafforzando la posizione negoziale russa.
Gli Ucraini e i loro consiglieri anglo-americani ne sono consapevoli e puntano a rafforzare con armi e combattenti il dispositivo a ridosso del Donbass esponendosi però al rischio che una manovra russa lungo la sponda del fiume tagli fuori il grosso delle truppe di Kiev dai ponti che consentirebbero sia la ritirata verso ovest sia l’afflusso di rifornimenti a est.
Considerazioni strategiche
I russi del resto hanno mostrato finora una buona capacità di compiere o simulare azioni diversive tese a ingannare il nemico e a costringerlo a immobilizzare ingenti forze lontano dalle reali direttrici dell’avanzata.
Le forze navali e anfibie che hanno incrociato davanti a Odessa o quelle terrestri che hanno minacciato Mikalkyv dopo la caduta di Kherson, hanno assorbito ingenti forze di Kiev che avrebbero potuto venire dislocate più a est a difesa di Mariupol, così come le puntate offensive fino a lambire da est e da ovest i sobborghi di Kiev hanno costretto gli ucraini a concentrare truppe per la difesa della capitale la cui conquista non è probabilmente mai stata nei piani russi.
Anche a Sumy e Kharkiv, città industriali a pochi chilometri dal confine con la Federazione tenute sotto il tiro dell’artiglieria e dalle quali vengono evacuati ogni giorno i civili, l’impressione è che Mosca stia inviando rinforzi in questo settore e punti alla resa delle guarnigioni ucraine per annettere queste regioni a “repubbliche russofone” ma non si può escludere che l’assedio possa venir utilizzato come arma di pressione e scambio nei negoziati in Turchia.
Oggi appare chiaro che l’obiettivo strategico di Mosca non è conquistare o radere al solo Kiev, né la conquista dell’intero territorio ucraino, come lo stesso Putin ha precisato in più occasioni. Ma trasformarla in uno stato neutrale che funga da “cuscinetto” tra la NATO e la Russia. L’invasione totale non solo comporterebbe altissimi costi di occupazione prolungata di regioni ostili alla presenza russa ma trasformerebbe i confini occidentali dell’Ucraina con Polonia, Ungheria, Slovacchia e Romania (membri della NATO) in una nuova Cortina di Ferro, aumentando e non certo riducendo le tensioni con l’Alleanza Atlantica.
Oggi i russi potrebbero puntare allo scambio in sede negoziale tra l’accettazione di alcune condizioni, quali la neutralità dell’Ucraina e il ritiro di armi e consiglieri militari americani e della NATO, con l’arretramento e il progressivo ritiro delle truppe oggi schierate intorno alla capitale ucraina oppure di quelle che nel sud est minacciano Odessa o Mikolayv.
In questo settore la pressione militare russa si presta ad almeno tre chiavi di lettura. Potrebbe avere l’obiettivo di aprire un “corridoio” fino alla repubblica russa di Transnistria, schiacciata tra Moldavia e Ucraina, dove Kiev ha lanciato l’allarme per la mobilitazione della guarnigione di 1.500 militari russi, notizia smentita da Mosca.
Oppure potrebbe avere lo scopo di assorbire truppe ucraine che così non vengono schierate altrove o rispondere all’esigenza politica di mantenere alta la pressione per utilizzarla come moneta di scambio nelle trattative, il cui avvio su binari finalmente concreti è stato favorito dalla riorganizzazione del fronte russo intorno alla capitale.
Certo le trattative richiederanno ancora tempo e potrebbero vedere vigorose vampate delle ostilità tese proprio a indurre la controparte ad accettare determinate condiziono negoziali. L’obiettivo di Mosca è evidentemente giungere a un accordo soddisfacente, nel pieno rispetto della massima di von Clausewitz che vuole “la guerra come continuazione della politica con altri mezzi” ma nel caso gli sponsor anglo-americani di Kiev ostacolassero un’intesa di compromesso i russi potrebbero cambiare i loro piani. puntando alla conquista di quasi tutti i territori ad est del Dnepr con l’esclusione di un saliente a est di Kiev.
Impresa certo impegnativa ma che risulterebbe facilitata dal crollo delle forze ucraine schierate nel Donbass.
La battaglia dei rifornimenti
Negli ultimi dieci giorni le incursioni missilistiche russe hanno colpito, con vettori balistici Iskander lanciati dalla Bielorussia e da crociera Kalibr lanciati dalle unità navali nel Mar Nero, diversi siti di stoccaggio di carburante e viveri con il chiaro obiettivo di paralizzare la capacità di Kiev di alimentare e consentire di manovrare alle sue truppe.
Tra i dintorni di Kiev e quelli di Leopoli, Dnipro, Kalynivka e il Donbass sono stati colpiti dai missili russi magazzini di derrate alimentari e di carburante che hanno eliminato probabilmente anche i rifornimenti in combustibile inviati nei giorni scorsi dalla Germania. Colpita anche la raffineria di petrolio a Kremenchuk nella regione di Poltava, nell’Ucraina Centrale.
Veicoli distrutti sulla strada tra Kharkiv e Kiev (Fausto Biloslavo)
Incursioni a cui gli ucraini hanno risposto all’alba del 1° aprile con un raid, probabilmente compiuto con un paio elicotteri da attacco Mi-24/35, contro un deposito di carburante nella città russa di confine di Belgorod che è stato incendiato.
Kiev ha smentito la responsabilità dell’attacco anche se gli ucraini avevano già colpito il territorio della Federazione Russa con missili balistici a corto raggio OTR-21 Tochka SS-21 colpendo anche una base aerea non lontano da Rostov ma non avevano mai compiuto incursioni aeree oltre i confini ucraini. Il portavoce del ministero della Difesa russo, il maggiore generale Igor Konashenkov, ha riferito che il deposito non riforniva le forze armate russe ma assicurava carburante destinato esclusivamente al trasporto civile. Mosca tuttavia ha minacciato ripercussioni sulle trattative in corso in risposta a questo attacco.
Nel mirino dei missili russi anche gli stabilimenti della fiorente industria della Difesa ucraina, ornai quasi del tutto annientata come ha ammesso il consigliere del Presidente ucraino, Oleksiy Arestovych.
I raid missilistici russi sull’Ucraina Occidentale sono del resto destinati ad aumentare al causa del flusso ininterrotto di armi in arrivo dalle nazioni NATO insieme a migliaia di “volontari” tra i quali secondo indiscrezioni provenienti da ambienti solitamente ben informati vi sarebbero molti militari o ex militari anglo-americani.
Una simile presenza spiegherebbe anche alcuni successi tattici ucraini nel settore di Kiev, dove risulta difficile pensare che civili freschi d’arruolamento siano in grado di impiegare in modo professionale i lanciamissili giunti dall’Occidente solo pochi giorni or sono.
I russi continueranno quindi a bersagliare con missili di precisione le basi e i depositi in Ucraina occidentale dove affluiscono dalla Polonia armi e volontari stranieri.
Solo nelle ultime ore la Norvegia ha annunciato il raddoppio dei 2mila lanciarazzi M-72 già forniti, la Spagna ha annunciato che 10 aerei da trasporto hanno consegnato armi a Kiev e la Germania ha reso noto che le sue forniture militari hanno già superato il valore di 80 milioni di euro.
Nelle ultime ore Washington ha offerto altri 300 milioni di dollari di aiuti militari all’Ucraina che includerebbero altri missili anticarro, munizioni circuitanti Switchblade (nell’immagine sopra) e droni tattici Puma.
L’impegno dell’Amministrazione Biden riguarda anche il trasferimento alle forze armate di carri armati di fabbricazione sovietica, quindi di tipologia già in uso nell’esercito ucraino, da impiegare nel Donbass, secondo quanto riporta il New York Times, citando una fonte ufficiale americana.
Si tratterebbe con ogni probabilità di tank T-72 disponibili presso molte nazioni in tutto il mondo e pure presso diversi eserciti europei della NATO come Slovacchia, Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca.
Certo l’invio di armi pesanti all’Ucraina innalzerebbe le tensioni tra Russia e i membri della NATO, in particolare le nazioni in cui transiteranno queste armi per raggiungere i confini ucraini. Inoltre è il caso di notare come ancora una volta gli Stati Uniti assumano iniziative tese all’escalation ogni volta che le trattative di pace sembrano farsi più concrete.
Fronte di Kharkiv (Fausto Biloslavo)
Difficile invece, per ora, che l’Ucraina possa ricevere le decine di aerei da combattimento e missili antiaerei a lungo raggio richiesti a USA e NATO di cui ha necessità per colmare le gravi perdite subite da aeronautica e difesa aerea, pur tenendo conto che sui numeri di caduti, mezzi distrutti ed aerei o elicotteri abbattuti occorre andare molto cauti poiché la propaganda di entrambi i belligeranti fornisce numeri in molti casi poco credibili.
Il bollettino diffuso il 1° aprile dal ministero della Difesa russo riferisce che, dall’inizio dell’operazione, sono stati distrutti 124 aerei e 82 elicotteri, 357 velivoli senza pilota, 1.854 mezzi corazzati, 202 lanciarazzi campali multipli, 777 cannoni e mortai e 1.722 veicoli ucraini.
Kiev invece sostiene che 17.800 i militari russi sono stati uccisi dall’inizio della guerra e circa mille sono stati catturati (ieri uno scambio di prigionieri avrebbe interessato un centinaio di militari per parte). Secondo lo stato maggiore ucraino i russi avrebbero perduto al 1° aprile 143 aerei, 134 elicotteri e 631 carri armati
Secondo i media locali l’Ucraina spende circa 10 miliardi di dollari al mese per sostenere il conflitto
Rinforzi e coscritti
Gli elementi presi in esame sembrano quindi indicare che le operazioni militari potrebbero continuare anche se con una intensità ridotta rispetto alle prime cinque settimane di guerra in vista del completamento del successo militare russo a Mariupol e nel Donbass e di auspicabili sviluppi positivi delle trattative.
In questa fase, che non prevede tregue, entrambe i belligeranti ne approfittano per rafforzare e riorganizzare le proprie fila. Mosca sta inviando in Ucraina nuovi reparti, distribuisce alle milizie alleate del Donbass le armi catturate all’esercito di Kiev (incluse quelle occidentali) e recupera almeno una parte dei mezzi rimasti danneggiati o bloccati durante la prima fase dell’offensiva.
Tra le truppe fresche inviate da Mosca verso i fronti ucraini vi sarebbero anche 2mila militari provenienti dalle repubbliche russe di Abkhazia e Ossezia del Sud rivendicate dalla Georgia e, secondo fonti ucraine, anche i primi 300 volontari siriani arruolati a damasco e giunti in Russia per ricevere il necessario addestramento.
La notizia che il presidente russo Vladimir Putin ha firmato il decreto per il reclutamento di 134.500 coscritti è stata interpretata da molti osservatori come la conferma delle gravi perdite subite dai russi in battaglia e come la volontà di rimpiazzarle con giovani reclute.
In realtà nessuno manderebbe in prima linea soldati appena arruolati e ancora privi di addestramento mentre ogni anno, tra aprile luglio, vengono arruolati circa 130 mila militari di leva di età compresa tra i 18 e i 27 anni.
Il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha precisato che “la maggior parte del personale militare seguirà un programma d’addestramento per tre o cinque mesi” aggiungendo che “le reclute non verranno inviate in alcun punto caldo”.
Veicolo russo incendiato in un sobborgo di Kiev (Fausto Biloslavo)
Semmai potrebbe avere una forte relazione con la guerra in Ucraina l’offerta rivolta ai militari arruolati l’anno scorso, già addestrati e prossimi al congedo, di restare nei ranghi per altri sei mesi o un anno in modo da disporre di più truppe.
Non necessariamente per l’impiego in Ucraina, considerando la vastità della Russia, ma per rimpiazzare commilitoni professionisti oggi schierati con i propri reparti in aree diverse e più utili sui fronti ucraini che in compiti di guarnigione.
Benché il Cremlino avesse annunciato nel 2019 l’intenzione di abolirla con la progressiva professionalizzazione delle forze armate, la leva militare dura un anno, i coscritti rappresentano circa un quarto degli effettivi delle forze armate e sono stati impiegati anche in Ucraina, anche se in modo limitato secondo Mosca.
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