La Francia di Jean-Luc Mélenchon
di La Fionda (Benedetta Rinaldi Ferri)
Alla sera di Domenica 10 aprile, il primo scrutinio presidenziale francese ha decretato l’eliminazione di Jean-Luc Mélenchon, candidato dell’Union Populaire, dal secondo turno dell’elezione. Per la seconda volta in cinque anni si è determinato un ballottaggio del tutto interno alla destra francese: da una parte Emmanuel Macron, stabilmente installato nei milieux del centrodestra – borghesia repubblicana e reazionaria tout confondu – e dall’altra Marine Le Pen, rappresentante della destra nazionalista. Scenario più tetro non si sarebbe potuto immaginare. Sin da subito, tuttavia, si è prodotta a sinistra una situazione singolare: la sconfitta è parsa a molti, ivi incluso a chi scrive, una vittoria strategica. Per capire perché, occorre adottare una lente di medio periodo, avendo ben chiaro cioè che il risultato di Domenica, pur insufficiente alla conquista del potere, si iscrive in una progressione pluriennale, ed è il risultato non soltanto di una brillante campagna elettorale, ma di una strategia politica di lunga lena. Proviamo a individuarne i momenti essenziali.
Punto di arrivo
Cominciamo anzitutto con l’osservare attentamente il punto di arrivo: il voto di domenica. Il sistema politico francese che emerge da questa elezione è diviso in tre blocchi: Emmanuel Macron raccoglie il 27,85% (9.783.058 voti) dei consensi, Marine Le Pen il 23,15% (8.133.828 voti), Jean-Luc Mélenchon il 21,95% (7.712.520 voti), a poco più di 400.000 voti dal secondo turno[1]. Questi risultati tradiscono a loro volta linee di demarcazione sociale abbastanza evidenti[2]. Emmanuel Macron si installa nelle grandi città, con progressioni direttamente proporzionali ai livelli di benessere e integrazione economica, nelle periferie benestanti e nelle zone rurali, godendo ampiamente del voto dei pensionati. Marine Le Pen si conferma nella Francia rurale e nelle piccole città, e contende a Macron il voto dell’hinterland agiato. La sua base elettorale è tuttavia molto eterogenea. Basti ricordare che negli Hauts-de-France, una sorta di rust belt francese,Le Pen svetta spesso oltre il 30%[3], raccogliendo un voto essenzialmente popolare. Che ne è invece del voto al candidato dell’Union Populaire? Mélenchon raccoglie un voto inter-classe tra i giovani – torneremo più avanti su questo punto – e il consenso delle periferie popolari delle grandi città. A Parigi, i suffragi si concentrano nei seggi a Nord-Est (30.09%), lasciando i quartieri centrali e semi-centrali largamente acquisiti a Macron. Non è inutile segnalare a proposito che in città Eric Zemmour supera ampiamente Marine Le Pen, specialmente nel 16me. Ma tornando a Mélenchon, il candidato popolare sfiora il plebiscito in Seine-Saint-Denis (49,09%) – il dipartimento più povero di Francia, ai piedi di Parigi. E plebiscito è anche quello dei quartieri nord di Marsiglia – tra cui le cités più difficili del paese. Qui Mélenchon supera spesso il 50% dei consensi. Si devono aggiungere infine i territori di oltre-mare. Tre di questi lo avrebbero eletto infatti al primo turno: Guadeloupe (56,16%), Martinique (53,11%) e Guyane (50,6%). Il minimo che si possa dire per il momento è questo: sono le classi popolari delle città e, volendo impiegare un termine della campagna, le classi della ‘creolizzazione’ (créolisation)[4] ad aver portato il nostro candidato alle soglie della Presidenza. Classi non proprietarie dunque, largamente concentrate in ambiente urbano.
La strategia: il Fronte Popolare
Con Jean-Luc Mélenchon ogni momento politico è tappa di un percorso. Nel nostro caso, il percorso è quello della costruzione di un “fronte popolare”, variamente declinato negli anni (fronte del popolo, federazione popolare etc.). Una compiuta enunciazione si ritrova in un libro dello stesso Mélenchon, L’ère du peuple, la cui prima edizione risale al 2014, dunque agli anni che preparano la campagna elettorale del 2017: la prima, a ben vedere, ispirata a questa particolare strategia e che, per molti versi, ha dominato anche la campagna del 2022. L’espressione “fronte del popolo”, a parlare è sempre Mélenchon, “vuole rendere conto della diversità dei componenti del popolo reale e della necessità della sua unità di azione”[5]. Popolo è cioè una classe che condivide una condizione sociale prettamente urbana, di forte dipendenza dalle reti dei servizi pubblici. Il popolo del nuovo secolo non ha terra da coltivare, spesso non ha nemmeno proprietà. Difficilmente esso prende coscienza di sé come salariato. Al contrario, esso si ritrova nella città ed è nelle città che sperimenta il conflitto sociale: “trasporti disponibili, accesso alle reti, distribuzione degli istituti di sanità o di educazione pubblica e gratuita, per esempio, sono delle preoccupazioni quotidiane e forniscono un’esperienza personale delle conseguenze della segregazione sociale urbana”[6]. Si tratta, sostiene sempre l’autore, “della rivendicazione di un diritto alla città”[7]. “La presa di coscienza e le azioni collettive che ne risultano sono dei detonatori di rivoluzioni come quelle scoppiate dall’inizio del secolo in America Latina, Maghreb o Turchia”. Da questa base teorica, non priva di contraddizioni, hanno preso le mosse, in ordine di tempo, la France Insoumise (2016) e, più recentemente, l’Union Populaire (2021). Ne diremo a breve. Per il momento basti considerare che in entrambi i casi si è trattato di dare vita a un soggetto politico disincagliato dalla forma-partito rappresentativa e da un suo stretto legame con una classe già prefigurata – in passato: la classe operaia rivoluzionaria. Movimento di gruppi di azione nel segno dell’autodeterminazione popolare, la France Insoumise si è articolata attorno un’Assemblea – largamente composta per sorteggio – un Gruppo Parlamentare e una direzione strategica facente capo a Mélenchon e a pochi altri collaboratori. L’Union Populaire sembra invece più debitrice di un metodo di cooptazione delle forze che, dopo l’elezione del 2017, hanno animato i movimenti sociali di opposizione alla presidenza neoliberale di Emmanuel Macron: da ATTAC France ai sindacati, ai movimenti antirazzisti fino a raggiungere diversi profili intellettuali del paese.
Ecologia repubblicana e ordine neoliberale
Il programma del ‘Fronte Popolare’ comporta una rottura senza sfumature con la politica economica neoliberale. Questo è un punto molto importante, poiché è proprio su questa rottura che si è costruita l’autonomia del progetto e che si è consumato, nelle more delle elezioni del 2022, il naufragio di ogni possibilità di intesa tra la France Insoumise e le altre forze dei cosiddetto campo progressista: segnatamente il Parti Socialiste e Europe Ecologie Les Verts. Naturalmente non è questa la sede per riassumere un programma economico particolarmente complesso. Mi limiterò a ricordare un asse di sviluppo che più di altri segna l’ambizione strategica del fenomeno politico che andiamo descrivendo. Nelle formulazioni de L’Ere du peuple, la sfida allo status quo si esprime primariamente nella proposta di una “ecologia repubblicana”: una règle verte da inserire nel patto costituzionale – “in tutte le produzioni e in tutte le attività non si preleverà più di quel che la natura può ricostituire”[8] – e la “pianificazione ecologica” dello Stato per realizzarla. A ben vedere, si tratta di una proposta di netta democratizzazione dell’economia, che trae spunto dall’imperdonabile fallimento dei liberali nel rimediare al saccheggio capitalistico della terra e della sua umanità. Si legga bene: “il metodo della pianificazione ecologica parte dai bisogni della popolazione, definiti collettivamente e democraticamente. Essa si riappropria del tempo lungo e permette di avviare collettivamente gli immensi cantieri che ci attendono: la riduzione della metà delle nostre emissioni, da qui a dieci anni, la carbon neutrality nel 2050, consumo di suolo zero”[9].
“Union de la Gauche” vs “Union Populaire”
Tanto premesso, possiamo cominciare a calare la strategia del ‘fronte popolare’ nel quadro politico che gli è proprio. V’è una prima linea di sviluppo che conviene sottolineare. Tra il 2017 e il 2022 il ‘fronte popolare’ si è proposto come alternativa netta alla cosiddetta ‘Unione della Sinistra’ (Union de la Gauche), cioè all’individuazione di una candidatura comune a Parti Socialiste, Europe Ecologie Les Verts, France Insoumise e Parti Communiste. Nonostante qualche segnale contrario e a dispetto dei propositi, la direzione della France Insoumise non ha mai inteso aderire a questa linea. Il motivo è semplice e insieme importante: a ben vedere l’Unione della Sinistra ha sempre voluto designare, per quanti ne evocavano la necessità, la centralità delle forze più moderate della compagine, fra tutte il Parti Socialiste. Si badi bene, l’opzione per l’Unione della Sinistra non derivava da una pretesa per così dire ‘tradizionalistica’ dei Socialisti francesi e, accanto a questi, degli Ecologisti. Al contrario essa tradiva e continua a tradire una sincera difesa di posizioni di compatibilità con l’impianto politico neoliberale, tanto europeo che nazionale. Per Yannick Jadot (EELV), una “ecologia di mercato” e una collocazione internazionale saldamente atlantista. Per Anne Hidalgo e per i Socialisti che hanno voluto sostenerla, un confuso rifiuto del ‘populismo’, in favore di un governo dei notabili, del tipo sperimentato a Parigi. Si consideri a riprova che anche negli ultimi giorni della campagna, quando pure i sondaggi cominciavano a restituire risultati sempre più univoci in favore di Jean-Luc Mélenchon, né il Parti Socialiste né EELV hanno rinunciato a usare toni particolarmente aggressivi nei confronti della candidatura Insoumise. Come dire, la coalizione non è mai stata un’opzione, se non al prezzo di un’abiura della Sinistra radicale.
Adattamenti. Dalla France Insoumise all’Union Populaire
Tra il 2017 e il 2022 la strategia del ‘Fronte Popolare’ ha subito importanti adattamenti. Vorrei segnalarne in questa sede due. Il primo è l’apertura del movimento della France Insoumise a esponenti della società civile utili ad attirare una classe media ostile alle pose “tribunizie” di Jean-Luc Mélenchon. Un buon esempio di questo passaggio è la designazione di Manon Aubry, già portavoce di Oxfam France, quale capolista FI in occasione delle Elezioni Europee del 2019. Aubry rappresentò il tentativo di sfumare la linea comunicativa dégagiste[10] e parlare a un elettorato urbano ecologista, istruito e socialmente ben integrato. Con le parole di Raquel Garrido, sostenitrice in quell’occasione di una linea populista, “una Francia già molto inserita civicamente”[11]. A sfumarsi fu anche la linea politica relativa alla riforma dei Trattati Europei. La France Insoumise, si ricorderà, abbandonò infatti la linea di uscita dall’Unione Europea (cosiddetto “piano B”), optando per una più pragmatica strategia di disobbedienza caso per caso. La FI crollò al 6,31% dei suffragi. Tuttavia l’acquisizione dei nuovi profili e l’innovazione programmatica non vennero abbandonate. Non è un caso che, nel corso della campagna del 2022, la linea comunicativa di Jean-Luc Mélenchon abbia dismesso ogni accento demagogico. Si consideri anche che la rimodulazione dei toni e la costruzione di un profilo più ecumenico intervenivano in un momento di grave difficoltà per il paese: nel maggio del 2019 la Francia usciva dalla crisi dei Gilet Gialli e dalla cruenta repressione perpetrata dal Governo di Edouard Philippe. La presidenza violenta di Emmanuel Macron suggeriva di adottare una linea di rasserenamento del paese.
Un secondo adattamento che conviene ricordare attiene alla linea di ancor più insistita cooptazione dei milieux associativi, intellettuali, artistici e sindacali della sinistra francese. Questo movimento è ben rappresentato dalla costituzione del Parlement de l’Union Populaire (2021): un’assemblea che ingloba la France Insoumise e la allinea a esponenti della società civile non immediatamente implicati nella militanza. Come Manon Aubry prese la testa del movimento nel 2019, ora sta a un profilo politico affine, Aurélie Trouvé (Attac France), di presidere l’organo che, con tutta probabilità, catalizzerà le prossime evoluzioni del movimento.
Strategia di campagna, strategia di medio periodo
Il risultato finale di Jean-Luc Mélenchon si deve a un elettorato urbano popolare e a uno più borghese, incline al voto ecologista o socialista. Se il primo può ascriversi a un programma e a una strategia di campagna molto caratterizzati in senso sociale – gli esponenti della France Insoumise non hanno mai smesso di insistere sull’anticipazione della pensione a 60 anni, sull’innalzamento del salario minimo (Smic), l’”eredità sociale” per il finanziamento degli studi di tutti gli studenti francesi, la lotta all’islamofobia etc. – il secondo è stato attratto a) dalla piattaforma ecologista, salutata da molti come la più avanzata in campo, e b) dalla progressiva rimodulazione del profilo del movimento. I commentatori hanno enfatizzato, con riguardo a questo secondo gruppo, il ruolo del “voto utile”: l’Union Populaire avrebbe cioè beneficiato, sul finire della corsa, di un voto pragmatico da parte dei ceti più avvertiti delle città. Per convincersene, è sufficiente guardare alla connotazione urbana del voto insoumis eai modesti risultati di socialisti e ecologisti, che si sono visti prosciugare le rispettive basi di consenso.
L’osservazione merita una certa attenzione. È su questo voto infatti che si comincia a intravedere un limite della linea evolutiva della France Insoumise. Il voto utile – che, è bene ricordarlo, non si produce da sé, per il mero operare del buon senso tra gli elettori di sinistra – è stato reso possibile da una precisa scelta del Movimento. E questo è indiscutibilmente un merito. Si aggiunga inoltre che il voto utile è spesso il segno di una certa capacità egemonica, poiché costringe coloro a cui gli elettori hanno voltato le spalle a mettere in discussione la propria linea: cosa sarebbe successo se i Socialisti avessero espresso un profilo più radicale? E così anche gli Ecologisti? Tuttavia per questi stessi motivi il voto utile tradisce anche una fragilità, in quanto è espressione di un equilibrio estemporaneo.
L’Union Populaire è riuscita a radunare sotto le proprie insegne la Francia povera e meno povera delle reti urbane. La Francia delle cités e la Francia progressista dei grandi agglomerati. È rimasta fuori però la Francia senza reti – la stessa che tra il 2018 e il 2019 minacciò la Presidenza Macron. Si sarebbe tentati di dire che la scommessa esplicitata da Jean-Luc Mélenchon quasi dieci anni fa ne L’ère du peuple si è rivelata esatta, finanche nei suoi limiti. “Il popolo”, scriveva, “vale a dire questi nugoli umani urbanizzati che fanno l’essenziale della popolazione contemporanea”[12]. L’Union Populaire non ha potuto o saputo includere nel suo popolo coloro che sono già segregati, non già all’interno della città, ma fuori di essa. Così tanto, o così poco è bastato a separarla dalla conquista dell’Eliseo. La campagna di attrazione delle classi urbane istruite deve essere allora attentamente ponderata, a partire da ciò che può compromettere, come un ulteriore allargamento del voto popolare.
[1] Fonte: Ministère de l’Interieur url: https://www.resultats-elections.interieur.gouv.fr/presidentielle-2022/FE.html
[2] Mi sono riferita a due serie di carte curate dal Servizio Online di France Télévisions. La prima, riferita al voto della grandi città, è curata da Brice Le Borgne, Résultats présidentielle 2022 : comment ont voté Paris, Lyon et Marseille, les trois plus grandes villes de France?, France Télévisions, url: https://www.francetvinfo.fr/elections/presidentielle/cartes-resultats-presidentielle-2022-comment-ont-vote-paris-lyon-et-marseille-les-trois-plus-grandes-villes-de-france_5079562.html . La seconda guarda ai risultati del primo turno in funzione del territorio, vedi Mathieu Lehot-Couette e Noé Bauduin, Macron dans les métropoles, Mélenchon dans les quartiers populaires, Le Pen dans les campagnes… Visualisez la France du premier tour de la présidentielle, France Télévisions, url: https://www.francetvinfo.fr/elections/presidentielle/infographies-macron-dans-les-metropoles-melenchon-dans-les-quartiers-populaires-le-pen-dans-les-campagnes-visualisez-la-france-du-premier-tour-de-la-presidentielle_5083663.html
[3] Vedi Baptiste Mezerette, Eline Erzilbengoa et Camille Di Crescenzo, CARTE. Présidentielle 2022 : Marine Le Pen plébiscitée par les électeurs des Hauts-de-France, première région du vote RN, France 3 Régions, url: https://france3-regions.francetvinfo.fr/hauts-de-france/nord-0/carte-presidentielle-2022-marine-le-pen-plebiscitee-par-les-electeurs-des-hauts-de-france-premiere-region-du-vote-rn-2523064.html
[4] Il termine è stato preso in prestito al poeta Edouard Glissant.
[5] “L’expression veut rendre compte de la diversité des composantes du peuple réel et de la nécessité de son unité d’action”, traduzione mia, da Jean-Luc Mélenchon, L’ère du peuple, Fayard, 2014. Avendo la versione Ebook non sono in grado di indicare le pagine esatte delle citazioni. Mi limito a riportare il testo.
[6] “Transports disponibles, accès aux réseaux, maillage des établissements de santé ou d’éducation publique et gratuite, par exemple, sont des soucis quotidiens et fournissent donc une expérience personnelle des conséquences de la ségrégation sociale urbaine. C’est en quelque sorte un “droit à la ville” qui est revendiqué”
[7] Ibid.
[8] “Dans toutes les productions et toutes les activités on ne prélèvera pas davantage que la nature ne peut reconstituer”.
[9] Vedi programma L’Avenir en Commun, url: https://melenchon2022.fr/plans/regle-verte/
[10] Dégagisme, dégagiste: neologismo da “Degagez!”, in italiano assimilabile al grillino “Tutti a casa!”.
[11] Intervista a Regards del , Raquel Garrido: «Clémentine Autain a ouvert la discussion, alors discutons», 27 maggio 2019, La Midinale, url: https://www.youtube.com/watch?v=GxQC4dUj7uI
[12] “Le peuple, à savoir les nuées humaines urbanisées qui forment l’essentiel de la population contemporaine”
Fonte: https://www.lafionda.org/2022/04/20/la-francia-di-jean-luc-melenchon/
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