Fuga dall’Euro
di TERMOMETRO GEOPOLITICO (Guido Salerno Aletta)
Prezzi in salita e perdite in vista.
I capitali fiutano sempre il pericolo, e fuggono sempre per tempo dall’area valutaria su cui si addensano nubi di tempesta.
L’unico barometro a disposizione di tutti, quotidianamente, è il tasso di cambio tra le valute: quello tra euro e dollaro è sensibilissimo, ha oscillazioni pazzesche di mese in mese, di anno in anno. Non sono le transazioni commerciali che lo influenzano, bensì i movimenti di capitale tra una sponda dell’Atlantico e l’altra.
Prima di guardare a quello che sta accadendo in questi mesi all’euro, è più istruttivo rivolgere lo sguardo all’indietro, alla vigilia della Grande Crisi Finanziaria che ha colpito gli Usa nel 2008, culminata con il fallimento della Lehman Brothers a settembre.
I mercati sapevano bene quello che stava accadendo, la crisi dei mutui sub-prime che avrebbe devastato i bilanci di centinaia di banche, di fondi di investimento e di privati investitori, richiedendo interventi di portata gigantesca da parte degli Stati e delle Banche centrali per superare il collasso dei mercati: nessuno prestava più i soldi a nessuno, perché non sapeva se il debitore aveva in bilancio titoli tossici, ormai privi di alcun valore. Avrebbe prestato i soldi ad un soggetto già virtualmente fallito.
Vediamo allora il cambio tra euro dollaro, per capire come si mosse alla vigilia della crisi: cominciò a migliorare senza sosta a favore della valuta europea, che dunque si rafforzava sul dollaro, già a partire dal gennaio 2006, quando quotava 1,18. Raggiunse il livello più alto della storia nel novembre del 2008 con il livello di 1,58. Andò in picchiata subito dopo, perché i capitali americani parcheggiati in Europa furono richiamati di corsa per coprire le enormi perdite che nel frattempo si erano verificate in America. Erano stati messi al coperto, investiti in euro, come in un salvadanaio: se fossero stati impiegati in America, sarebbero stati travolti.
Guardiamo ora all’andamento del cambio a partire da un anno a questa parte: l’euro si sta svalutando in continuazione sul dollaro. Mentre quotava 1,21 il 1° maggio del 2021, è arrivato ad 1,07 in questi giorni perdendo il venti per cento del valore.
I capitali volano via dall’Europa già da un anno, soprattutto perché la Fed è stata più rapida nell’anticipare la necessità di procedere rapidamente alla chiusura di un ciclo di eccezionale espansione monetaria che era ripreso con la epidemia di Covid nei primi mesi del 2020. I tassi di interesse nominali sui titoli americani sono sempre stati positivi, a differenza di quelli sui titoli di Stato europei che sono virati per anni in negativo penalizzando in modo straordinario gli investitori. Questa è stata la prima ragione della variazione del cambio: la richiesta di dollari in cambio di euro fa sì che l’euro perda di valore ed il dollaro aumenti di valore.
A partire da gennaio scorso, quando il cambio era ancora pari a 1,14, la discesa si è fatta precipitosa: le tensioni internazionali che hanno portato alla guerra in Ucraina sono stati un ulteriore segnale di allarme per i detentori di capitali impiegati in euro. In pratica, l’euro si è svalutato ancora del 7% in quattro mesi.
Ci sono numerose implicazioni che derivano dalla svalutazione dell’euro nei confronti del dollaro, che deriva da una fuga di capitali verso quest’ultima area valutaria:
1. Le importazioni europee, considerando che le quotazioni delle materie prime, agricole, energetiche e minerarie sui mercati internazionali vengono espresse in dollari, sono diventate più care del 20% in un anno.
2. L’inflazione europea, per la componente che viene determinata dall’aumento dei costi all’importazione, è dunque più alta rispetto a quella degli Usa. Essendo, soprattutto Germania, Francia ed Italia paesi manifatturieri e trasformatori, la traslazione sui prezzi interni ed all’export di questi maggiori costi determina una minore competitività.
3. L’aumento dei tassi di interesse negli Usa, già decisa dalla Fed, comporta una preferenza per i titoli denominati in dollari, con la rarefazione dei capitali disponibili per sottoscrivere le emissioni dei titoli denominati in euro. Da ciò deriva sia un aumento degli spread sui titoli di Stato italiani quotati sul mercato secondario che l’aumento del tasso di interesse per le nuove emissioni da piazzare sul mercato primario. Questo aumento dei tassi di interesse incide negativamente sul bilancio dello Stato, perché aumenta il costo del servizio del debito.
4. Sulla ridotta disponibilità di capitali nell’area dell’euro, va considerato che a fine marzo la BCE ha dichiarato conclusa l’operazione straordinaria di acquisto di titoli di Stato, PEPP, varata nel marzo del 2020 per contrastare gli effetti della crisi sanitaria.
5. La svalutazione dell’euro comporta una perdita netta sulla valutazione in dollari del portafogli investito in euro. E’ una perdita grave, perché incide sul valore del capitale.
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[Fonte: https://www.teleborsa.it/Editoriali/2022/04/26/fuga-dall-euro-1.html]
Fonte: https://www.facebook.com/1518147318236235/posts/5390433381007590/
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