L’infinita crisi politica pakistana
di TERMOMETRO GEOPOLITICO (Matteo Borgese)
Con la caduta di Imran Khan il futuro del Pakistan resta sempre più incerto ma l’instabilità politica fa parte della sua natura.
La sfiducia dell’Assemblea nazionale a Imran Khan
Sabato 9 aprile il parlamento pakistano ha votato la sfiducia all’ormai ex premier Imran Khan con una manovra tanto prevedibile quanto destabilizzante per la situazione politica attuale del paese. Sebbene infatti la travagliata storia politica del Pakistan ci mostra come nessun premier dalla nascita del paese nel 1947 ad oggi sia mai riuscito a terminare in carica il mandato della durata di 5 anni, è però una novità che un primo ministro venga sfiduciato dai parlamentari e dalle forze d’opposizione.
La fragilità delle figure poste alla guida del Pakistan è dovuta a due fattori fondamentali per comprendere le dinamiche politiche interne: l’estrema influenza del potente esercito pakistano sulla scena politica e la vicinanza dei vertici delle forze armate a potenze straniere con interessi palesi nei confronti di un paese tanto strategicamente importante quanto vittima di continue tensioni sociali ed economiche. Va inoltre sottolineato come l’elitè del paese sia nota per la corruzione dilagante, alla quale non sembra esserci rimedio nonostante la spinta, tra gli altri, di Khan per la trasformazione del paese in una nazione più onesta e trasparente. Il Pakistan ha infatti affrontato, negli ultimi tre decenni in particolare, una crisi economica dovuta principalmente alla corruzione della classe dirigente e alla continua instabilità interna che si aggiunge alle tensioni coi vicini indiani.
Le accuse di Khan, fondate o meno che siano, hanno avuto poco valore di fronte al voto di sfiducia dell’Assemblea nazionale che ha ritenuto la gestione dell’emergenza sanitaria causata dal covid e l’inadempienza del premier uscente nel debellare la piaga della corruzione. Motivi sufficienti per sciogliere il governo e arrivare in poche ore all’elezione del nuovo premier Shehbaz Sharif, un volto per nulla nuovo nella scena politica pakistana che dimostra come le forze in gioco neghino un vero e proprio cambiamento al paese e al quale, tra le altre cose, Narendra Modi ha già espresso le proprie congratulazioni per l’elezione. La svolta diplomatica tra l’India e il Pakistan auspicata da entrambi i premier apre la strada a rapporti di amicizia tra due nazioni storicamente ostili che tuttavia la diplomazia di Modi potrebbe rendere persino partner affidabili con legami saldi e duraturi.
Luci e ombre della famiglia Sharif.
Shehbaz Sharif è il fratello del tre volte primo ministro pakistano Nawaz Sharif, eletto quando era alla guida della Lega Musulmana. Nawaz è ricordato come una figura discutibile che a causa della propria disastrosa carriera politica ha gettato ombre sulla gestione degli affari interni del paese e sulla trasparenza della classe dirigente pakistana. Sharif, sunnita wahabita, è stato ministro per ben tre volte nel ’90, nel’97 e infine nel 2013 creando di fatto una discontinua egemonia politica durata quasi tre decenni. Dopo il secondo mandato fu indagato e condannato per frode riuscendo tuttavia a evitare l’ergastolo scontando un esilio durato sette anni nel quale ha trovato rifugio insieme ad alcuni familiari in Arabia Saudita. I rapporti di estrema vicinanza tra la famiglia Sharif, sunniti wahabiti come si è già ricordato, e il paese saudita sono sempre stati motivo di grande interesse per la comunità internazionale.
Durante il governo di Nawaz ingenti somme di denaro sono state spostate dai sauditi in favore del governo pakistano per la costruzione di moschee, scuole coraniche e opere pubbliche di vario genere al fine di spingere la popolazione verso una già forte identità islamica spesso prontamente esasperata nelle dispute territoriali con l’India per la regione del Kashmir nel nord-est del paese. Nonostante l’immagine del capofamiglia degli Sharif fosse stata intaccata dalla condanna e dall’esilio, l’appoggio dell’esercito gli valse un terzo mandato stroncato però dal suo coinvolgimento, e da quello della figlia Maryam, nello scandalo dei Panama Papers. Gli Sharif erano implicati in varie frodi legate alla compravendita di alcuni appartamenti di lusso nel cuore di Londra che valsero nel 2018 dieci anni di carcere all’allora premier Nawaz e sette a sua figlia Maryam, poi assolta. La corruzione dilagante degli ultimi trent’anni nel paese non è stata quindi altro che lo specchio della gestione tutt’altro che onesta della classe dirigente e, in particolar modo, della famiglia Sharif la quale, forte dell’appoggio dell’esercito e di un certo seguito popolare, ha macchiato la reputazione familiare e nazionale in termini di trasparenza e buona politica.
Sebbene Shehbaz Sharif, fratello minore di Nawaz e attuale primo ministro, sia stato “confinato” alla presidenza della regione occidentale del Punjab per molti anni e poi all’opposizione come leader della Lega Musulmana durante il governo di Imran Khan, anch’egli non è stato immune al fascino della corruzione che troppo spesso ha catturato la famiglia Sharif. Condannato dalla giustizia pakistana prima nel 2018 per un coinvolgimento nel già citato caso dei Panama Papers e poi nel 2020 a seguito di un’accusa per riciclaggio di denaro, ha riscattato la propria libertà grazie al pagamento di ingenti somme. È fondamentale notare come evidentemente i problemi giudiziari non abbiano precluso agli Sharif la scalata al vertice delle cariche politiche e l’appoggio del potente esercito pakistano in un paese che sembra fin troppo insensibile alla corruzione della propria classe dirigente e vittima di giochi di potere apparentemente senza fine.
#TGP #Asia #Pakistan
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