Danni collaterali del Super Dollaro
di TELEBORSA (Guido Salerno Aletta)
USA, Bilancia dei pagamenti verso il precipizio.
L’esorbitante privilegio del dollaro, così ebbe a qualificarlo ai suoi tempi il Presidente francese Giscard d’Estaing, deriva dalla capacità di creare risorse in tutto il mondo per il solo fatto di entrare in circolazione: è la moneta su cui si basa il commercio anche se avviene tra parti diverse dagli Usa, è strumento finanziario usato da chiunque, è metro e misura del valore delle altre monete.
Tutte le volte che la Fed procede ad operazioni su mercato aperto comprando titoli della Federal Reserve si determina una creazione di nuova liquidità in dollari che inonda i mercati: dal nulla si crea un nuovo mezzo di pagamento universalmente accettato, uno strumento monetario ulteriore da impiegare sui mercati per finanziare nuovi investimenti, per sottoscrivere nuovi titoli di debito, per erogare nuovi prestiti, per effettuare operazioni di Borsa, per ogni genere di commercio e speculazione.
Contenere l’inflazione americana
La Fed si è trovata di fronte ad uno scenario caratterizzato da un elevato tasso di inflazione dei prezzi al consumo e dal contemporaneo basso livello di disoccupazione: sono stati i generosissimi sussidi concessi alle famiglie ed ai disoccupati attraverso il bilancio federale a determinare una forte domanda di consumi. Anche i nuovi piani di investimento che sono stati approvati dal Congresso sulla base del pacchetto presidenziale denominato Build Back Better hanno contribuito al surriscaldamento dei prezzi.
Dopo altri due anni di politica monetaria ultraespansiva per contrastare gli effetti della crisi pandemica, con un ennesimo Quantitative Easing e tassi infimi, la Fed si è orientata da tempo in senso restrittivo ed a marzo scorso ha deciso di accelerare con una duplice manovra: da una parte aumenta i tassi di interesse, dall’altra riduce la liquidità in circolazione vendendo mensilmente una quota dei titoli della Fed e di Mortgage Backed Security che ha in portafoglio, arrivato alla strabiliante cifra di 8 mila 900 miliardi di dollari.
L’aumento dei tassi di interesse sui prestiti in dollari comporta un aumento degli oneri per coloro che hanno già contratto prestiti o mutui a tasso variabile ed ovviamente anche per chiunque abbia intenzione di fare nuovi debiti, sia che si tratti di comprare una casa o una automobile sia che si tratti di fare un qualsiasi investimento.
L’obiettivo di ridurre il taso di inflazione attraverso una manovra monetaria restrittiva della Feed viene perseguito attraverso il rallentamento il tasso di crescita economica e conseguentemente della domanda di beni, di servizi. Anche la offerta di lavoro diminuisce e con questa anche la tensione sugli aumenti salariali che sono sempre richiesti quando i prezzi aumentano.
Le conseguenze internazionali della stretta sul dollaro
a) Maggiori costi per che ha debiti in dollari
Se il dollaro è una moneta globale, e ci sono contratti di finanziamento in dollari dappertutto in giro per il mondo, ne consegue che questa decisione ha effetti globali: tutti coloro che si sono indebitati in dollari a tassi variabili e tutti coloro che d’ora in avanti vorranno indebitarsi in dollari dovranno accollarsi un maggior costo di finanziamento.
b) Gli alti tassi di interessi americani spostano i capitali sul dollaro, e così Euro e Yen si svalutano
La decisione della Fed di alzare i tassi di interesse sul dollaro ha indotto i capitali a spostarsi su questa valuta. Gli Usa importano nuovi capitali dal resto del mondo, soprattutto dall’Europa e dal Giappone, visto che i tassi ufficiali di interesse decisi dalla Fed sono superiori sia a quelli europei decisi dalla Bce che a quelli giapponesi decisi dalla BoJ.
Il vigoroso trasferimento di capitali sul dollaro, con la maggiore richiesta di questa valuta a fronte della cessione di euro e yen, ha determinato il rafforzamento della sua quotazione. Mentre l’euro si sta svalutando da un anno a questa parte, picchiando sempre più verso il basso in vista della parità, anche lo yen sta seguendo lo stesso percorso di indebolimento.
La PBoC, la Banca del Popolo cinese, sta tenendo sotto strettissimo controllo il cambio con il dollaro, svalutando lo yuan in modo impercettibile.
c) Con il rafforzamento del dollaro fatto a spese di Euro e Yen, gli Usa esportano inflazione
Ci sono ulteriori effetti di questa decisione monetaria della Fed, sul piano della inflazione, che derivano sul piano del commercio internazionale dalla svalutazione dell’euro e dello yen rispetto al dollaro.
Per economie di trasformazione come quelle europee, in particolare di Germania, Francia ed Italia, e come quella del Giappone, la svalutazione dell’euro e dello yen rispetto al dollaro comporta un corrispondente aumento dei costi delle importazioni per tutte le materie prime e le merci che sui mercati internazionali sono quotate in dollari. Mentre una impresa americana continua ad importare in dollari, e dunque senza variazioni di costo perché adopera la sua stessa valuta, una impresa dell’eurozona o giapponese che deve comprare merce sempre in dollari, per acquisirli deve versare un maggior numero di euro o di yen sopportando il costo aggiuntivo che corrisponde alla svalutazione che è intervenuta nel tasso di cambio.
Questo differenziale dei prezzi delle importazioni a danno delle imprese europee e giapponesi comporta un maggior costo che si scarica prima sui prezzi delle produzioni e poi quelli al consumo: la decisione della Fed ha esportato inflazione in Europa ed in Giappone.
Il rafforzamento del dollaro ed i più elevati tassi di interesse sui debiti in dollari affonderanno definitivamente gli squilibri strutturali della bilancia dei pagamenti degli Usa
Per contribuire ulteriormente alla riduzione dei prezzi al consumo, il governo statunitense ha deciso di sospendere temporaneamente una serie di dazi che colpiscono le merci importate dalla Cina e che furono adottati dalla Amministrazione Trump per cercare di ridurle a favore della produzione interna: i consumatori pagano infatti un costo aggiuntivo, una imposta che viene incamerata dal Fisco statunitense.
A questo punto, occorre tirare le conclusioni.
Visto che:
– l’inflazione americana si riduce come conseguenza della stretta monetaria della Fed;
– il potere di acquisto in termini reali dei consumatori americani rimarrà più alto di quelli europei per l’indebolimento dell’euro che rende più care le loro importazioni;
– la stessa debolezza dell’euro rende più convenienti per i consumatori americani comprare le merci vendute;
– la stessa cosa avviene nei confronti del Giappone e dello yen;
– la bilancia commerciale americana è strutturalmente in rosso e nel 2021 ha raggiunto lo sbalorditivo passivo di oltre 800 miliardi di dollari, peggiorando di circa 200 miliardi rispetto all’anno precedente;
– la posizione internazionale finanziaria netta degli Usa a fine 2021 è stata complessivamente negativa per oltre 18 mila miliardi di dollari, e che le passività verso l’estero per investimenti di portafoglio sono state pari a 28 mila 586 miliardi di dollari a fronte di attività allo stesso titolo per 16 mila 442 miliardi di dollari, ne deriva che il rafforzamento del dollaro e l’aumento dei tassi di interessi in dollari peggiorerà ulteriormente la bilancia dei pagamenti correnti degli Usa: aumenteranno le importazioni, diminuiranno le esportazioni e costerà più caro il servizi dei loro stessi debiti denominati in dollari.
Gli Usa devono finanziare un disavanzo commerciale annuo strutturale e crescente, e devono anche remunerare un debito estero già enorme: se è indispensabile attirare i capitali sul dollaro, costi e rischi sono sempre più gravi.
Fonte: https://www.teleborsa.it/Editoriali/2022/04/29/danni-collaterali-del-super-dollaro-1.html
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