Nel conflitto inteso nel senso più ampio, tra Occidente e Russia, giocano prevalentemente due variabili: la forza ed il tempo.
Sul piano della forza, gli ucraini sarebbero tra un terzo ed un quarto dei russi, ma giocando in difesa della loro terra, hanno dalla loro senz’altro più intenzionalità dei russi. La ragione dell’invasione russa in Ucraina non è facilmente spiegabile e condivisibile nel mondo russo. Tale ragione è ad un livello molto alto del discorso strategico (che è quello proprio dei rapporti tra Russia ed Occidente collettivo più che il Donbass ed i nazisti ucraini), livello a cui non accedono normalmente le opinioni pubbliche, ma neanche la maggioranza delle élite stratificate. Tutta la versione russa sulle ragioni del conflitto, a livello pubblico, ha mostrato per lungo tempo un buco di ragione piuttosto ampio solo in seguito riempito di un po’ di fatti e molta propaganda. Solo oggi, formatasi più chiaramente la situazione macro con tutto l’Occidente contro la Russia, diventano più percepibili e condivisibili le ragioni della guerra dal punto di vista interno. Non a caso, gli indici di gradimento interno di Putin, fatta salva la riserva su metodi ed effettivi risultati delle indagini, sono aumentati con costanza nelle settimane.
Quanto alla forza militare, quella occidentale è sicuramente superiore e quella russa sebbene poi debba passare per il collo di bottiglia degli ucraini. Di fatto, sul campo, ci sono gli ucraini non gli “occidentali”.
Quanto alla forza economica, di nuovo, quella occidentale è di molto maggiore. Anche se, fino ad oggi, mentre ha destato qualche sorpresa la scarsa efficienza militare russa sul campo, ha anche destato qualche sorpresa la capacità di resistenza monetaria e per ora anche economica di Mosca. Quest’ultimo, segno inequivocabile del fatto che quella di Mosca è stata una decisione di conflitto lungamente preparata, proprio perché strategica.
Infine, quella diplomatica. L’Amministrazione Biden aveva già in campagna elettorale annunciato la ripresa di una grande stagione diplomatica come driver per la cura della politica estera. Fino a poco tempo fa, si poteva registrare un vistoso successo nell’agglutinare l’intero Occidente collettivo alle intenzioni di Washington. In Medio Oriente però, gli USA hanno registrato una altrettanto vistosa perdita di grip. Con l’India, gli anglosassoni non hanno fatto passi avanti, nonostante un deciso impegno, almeno fino ad oggi. Due appuntamenti in agenda diranno di altre due aree chiave.
Si è appena tenuto a Washington il vertice USA-ASEAN che non aveva risultati chiari da raggiungere ed infatti non paiono esserci dichiarazioni di risultato. Non si incontravano da sei anni e quindi valeva come “apertura” di dialogo. Ma gli analisti diplomatici segnalano che l’elenco dei punti di divergenza è ampio, si va dai modi diversi di intendere le relazioni con Russia e Cina, la questione Myanmar, il disordine delle catene di approvvigionamento, le incipienti crisi alimentari ed energetiche, i rapporti di prevalenza tra QUAD ed ASEAN e soprattutto le questioni commerciali, dato che gli USA si sono ritirati a loro tempo dal CPTPP e non si sono inseriti nel RECEP, né l’amministrazione Biden mostra volontà di cambiare tali assetti anche per contrarietà del Congresso e forse mancanza stessa di possibile offerta commerciale reciproca. Gli americani si sono presentati con un regalino di 150 milioni di investimenti, ma la Cina ne stanzia 1,5 di miliardi e gli stessi USA ne stanziano 40 di miliardi solo per l’ultima tranche per l’Ucraina. Il 24 maggio dovrebbe tenersi a Tokyo il vertice QUAD (USA, India, Giappone, Australia) sempre che le elezioni in Australia il 21 maggio non diano risultati tellurici.
Grande confusione c’è sul prossimo “Summit of Americas” indetto dagli USA a Los Angeles ai primi di giugno. Forse non verranno invitati Venezuela, Nicaragua e Cuba. Allora però non parteciperebbe il presidente messicano e con lui Bolivia ed Honduras e pare neanche Bolsonaro (Brasile), così per i 15 membri della Comunità caraibica (CARICOM) soprattutto se si escludesse Cuba e si invitasse Guaidò invece di Maduro. L’impressione è che il mondo è diventato davvero complicato, dietro ogni paese e area regionale del mondo, ci sono aspettative, timori, intenzioni, che formano complesse ragnatele di interessi potenzialmente divergenti. Dopo due anni di Covid e col pandemonio che si va dipanando con la questione Ucraina (tra cui il disastro alimentare e delle materie prime), oltreché l’ostracismo di sfondo verso la Cina, con l’economia globale in subbuglio e nessuna certezza per il futuro, in assenza di miliardi e miliardi con cui comprare amicizie, per gli Stati Uniti, divisi al loro interno, pare sia davvero difficile darsi un ruolo ancora centrale e dominante.
Entro fine anno, sotto la presidenza di turno cinese, si terrà poi il XIV meeting dei BRICS e vedremo come ci arriveranno, tenuto conto che prima c’è il G20 in Indonesia a novembre dove gli americani sarebbero in grande imbarazzo se fosse invitato Putin, anche se non si vede come non poterlo invitare visto che la Russia fa parte del G20 di diritto. Né molti paesi sarebbero intenzionati a farlo.
Detto a grandi linee della forza, vediamo il tempo. I russi, nell’iniziare il conflitto, contavano sul tempo. La narrazione ufficiale occidentale vuole ci fosse una intenzione originaria si blitzkrieg su Kiev con estromissione veloce di Zelensky, suo sostituto “amico” e quindi cosa rapida e relativamente indolore. Credo invece che i russi abbiano pianificato una guerra lunga, credendo che il tempo avrebbe giocato a loro favore. C’è infatti un dilemma strutturale nei due schieramenti. L’Occidente è molto più forte ma molto più plurale e la pluralità quando si tratta di conflitti importanti e duraturi, è un problema.
Nel tempo, vengono fuori le differenze. Così agli europei occidentali presi inizialmente in contropiede dagli eventi, appaiono oggi i prezzi qui da noi già previsti dai primi giorni: questione energetica, questione alimentare, disordine globale, migrazioni, instabilità, rottura della globalizzazione, inflazione, stagflazione, crisi economica, poi sociale, poi politica. Quanti giorni è che non si riesce a varare il nuovo pacchetto delle sanzioni contro la Russia? E questo relativamente al petrolio che è ben minore cosa del gas.
Perché la Svezia dovrebbe entrare nella NATO e stante la contrarietà turca estesa anche alla Finlandia? La Svezia ha avuto un longevo ruolo di vice-ONU non ufficiale, una terzietà molto utile in un mondo complesso. La Svezia non ha semplicemente confini di terra con la Russia e non ha alcun motivo di temere una supposta invasione russa o un attacco (anche perché c’è la Finlandia di mezzo), per cosa poi? Apparentemente qualche ragione in più l’avrebbe la Finlandia, ma davvero c’è un rischio di invasione russa della Finlandia? Per cosa? Cinque milioni di persone non russofone con molti alci e nessuna materia prima di rilievo in un territorio sotto-abitato ed immenso impossibile da tenere per supposti invasori che hanno già i loro problemi nel piccolo Donbass? Svezia e Finlandia servono per esser arruolate nel prossimo conflitto dell’Artico e stante poi che non hanno alcun affaccio sull’Artico (sebbene facciano parte del Consiglio ora sospeso per ostracizzarne la Russia), ma potrebbero all’occorrenza creare attriti che distraggano Mosca dal futuro conflitto principale. E Mosca si farà mettere i missili ad Helsinki che dista da San Pietroburgo come Roma da Bologna via strada e molto meno via aria, facendosi chiudere l’accesso al Baltico? Se ne sentiva così forte il bisogno? Per ora Ankara s’è messa di traverso, vediamo come finirà, come nel caso dell’Ungheria sul petrolio, si espone uno ma non è detto dietro non ce ne siano altri carichi di dubbi.
Così per l’entrata dalla porta di servizio dell’Ucraina in UE e dopo aver apparentemente superato il dissidio Ucraina-Germania, il nuovo Ucraina-Francia con Macron che dopo Scholz e Bennett, al solo proporre di scegliere cosa concedere a Putin, diventa nemico numero uno di Kiev. Ma la notizia del giorno è la telefonata di Austin e Shoigu per un cessate il fuoco. Lo stanziamento dei 40 mld americani è incappato nel Senato dove Rand Paul s’è messo di traverso contro la procedura di velocizzazione del voto, annullandola. Alla fine, verrà approvato, ma i tempi destano preoccupazione. Austin ha detto che la prossima settimana terminano i fondi già stanziati e così la catena di forniture agli ucraini avrò un buco. Nel frattempo, i russi hanno finito di far affluire le truppe prima dislocate a nord nel Donbass e presumibilmente si apprestano a sferrare un grosso attacco. Ecco perché è stata chiesta la tregua, rifiutata ovviamente.
Di contro, anche i russi debbono fa i conti col tempo, tempo in cui lavorano le sanzioni, il degrado della forza militare, lo stato d’animo dei combattenti, i dissidi interni semmai ve ne fossero (ce ne saranno senz’altro anche se non ne abbiamo notizie), il continuo proliferare di minacce come quella della Finlandia.
La guerra, s’é capito, ufficialmente non finirà mai e il traguardo realistico è il cessate il fuoco con congelamento delle posizioni di fatto e successiva guerriglia, schermaglie e reciproche accuse e sempre che i russi non vogliano annettersi i territori presi così da metterli dentro i confini giuridici della prima potenza nucleare. Per arrivare alle posizioni attese dai russi, che chissà poi quali sono, se quelle dichiarate all’inizio e nuove versioni ancora non esplicitate, ci vorrà tempo e quindi chi la dura di più, la vincerà. Con un limite temporale per Biden, le elezioni di mid-term a novembre.
Putin pensa che nelle questioni di strategia, nel tempo, l’Uno ha vantaggio sui Molti. Anche per via dei diversi modi decisionali, la vecchia e nota questione dei sistemi c.d. “democratici” che consumano tempo e portano a mediazioni continue. Per questo gli ateniesi eleggevano ogni anno lo “stratego”. Speriamo solo non si avveri la profezia di Keynes per il quale “nel lungo periodo siamo tutti morti”. Il resto lo vedremo …
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