BDV, la Sardegna, i Preti à la Page e la Tristezza di Ciò che le Manca
di STILUM CURIAE, BLOG PAPI E DINTORNI (Marco Tosatti, Benedetta De Vito)
Carissimi StilumCuriali, Benedetta De Vito, dalla sua Sardegna (a proposito, vi ricordiamo il suo libro, Cuore Sardo) ci ha mandato questo messaggio accorato, che offriamo alla vostra attenzione. Anche se forse al posto suo opportune et importune avrei chiesto e richiesto. La vigilia del giorno in cui la liturgia celebra il Corpus Domini…buona lettura.
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Domenica scorsa mentre me ne andavo, guidando la mia Cinquecento, verso la Santa Messa, in una bella chiesa moderna, affrescata in squillante ardore, d’un paesino bianco, mi dicevo, qui in Sardegna ho tutto quello che amo, eppure, eppure, mi pare di non avere niente. E guidavo e pensavo e andavo a ritroso per capire come mai, pur nel ringraziamento, mancava qualcosa o forse tutto. E d’un tratto ho capito: ma certo, mi manca la Santa Eucarestia! Non ho il pane di vita e quindi non ho nulla.
Ed ecco perché, tutta convinta e messi in un paniere coraggio e fortezza, ho deciso di riprovare anche quest’anno a chiedere al parroco del paesino bianco di poter avere la Particola sulla lingua, che è l’unico modo, per me, per prenderla. E il percome è, detto in semplicità, che io non ho le mani consacrate, come avevano gli apostoli, con i quali il Signore spezzò il pane nell’ultima Sua Cena (e questo per rispondere a un certo sacerdote che, al contrario di me, pensa sia un abuso prender l’Ostia senza toccarla con le dita o con il palmo…). E piango nel cuore, ma avanti e giù d’un rigo con un salto con l’asta, oplà.
Sicché, fattami verde speranza, eccomi ancora una volta di fronte al parroco e gli rivolgo la mia richiesta che ora è anche legittima in quanto la Cei ha decretato che si può tornare al vecchio modo. Invece lui, il parroco, che è giovane e sardo, mi risponde di no, anche un poco alterato, e mi spiega che altrimenti dovrebbe darla a tanti altri che la chiedono. Vorrei rispondergli che allora dovrebbe, visto che in tanti la chiedono e che è bellissimo che la chiedano, ma lui ha altro da fare. Qualcuno denuncia che in Chiesa gli han portato via il cellulare e così via al galoppo e io dietro, fatta muta.
Fatta muta e senza la speranza di trovar chi mi dia il mio “panis angelicus”, me ne vado a orecchie basse, il mento spalmato sul marciapiedi. Penso e ripenso e mi viene in mente che, lungo il litorale, ci sono altre parrocchie e una, verso sud, la scarto da subito perché il parroco, che ho avuto la sorte di conoscere lo scorso anno, mi ha già dato del filo da torcere (dicendomi che la mia non è la sua di Chiesa e, in pratica, mi ha mandata via come se fossi stata un’appestata). Così penso a quelle tutte intorno e comincio ad informarmi. E più mi informo più la speranza si fa microbo, perché scopro che, in una parrocchia (quella dove andavo, bambina, con i miei genitori e dove parroco era l’adorabile Don Pala, con la sua talare nera ondeggiante nel vento sardo) ora c’è un sacerdote canterino, che organizza anche dei balli in chiesa per attirare i giovani, mi dicono.
Eppure un giovane, che ha l’età di mio figlio, e che con me si è confidato, mi ha detto che lui non ci va perché gli sembrano tutte “buffonate”. Allora, penso, l’entroterra. Lì, tra i monti galluresi foderati di mirti, lentischi, olivastri e pitosfori, è rimasto di certo lo spirito dell’Ave Maria in sardo. Sì, col fischio! Il giovane di cui sopra mi mostra il profilo Instagram del parroco di un altro paesino solitario, un paesino piccolo così che respira nella campagna e guarda da lontano il mare. Clicco e… oh Signore, non è possibile! E invece sì: il parroco compare in una fotografia mentre emerge dalle acque, con il torace bronzeo e muscoloso, l’acqua sensuale a scendergli dai capelli sulle spalle insieme, mi pare. In un’altra foto c’è sempre lui che fa la linguaccia. In un’altra… ma basta, chiudo e non voglio saperne oltre. Anche se ci sarebbe di più da scrivere e da dire, ma il cuore mi duole. “Ma guardi che è così in tutta la Sardegna!”, mi dice un altro signore sulla cinquantina con il quale mi è capitato di fare quattro chiacchiere in un bar. Basta, chiudo gli occhi, e penso con tanta gratitudine alla Beata Elisabetta Sanna, che mi ha insegnato, forse sapendo tutto questo, a fare la Comunione spirituale.
Sì, sì, dovrà bastarmi la Comunione spirituale e quindi per sostituire l’ieri all’oggi e pensare alla mia Sardegna com’era, tutta spirituale, mariana, sprofondata nel mistero, risveglio nel ricordo il dolce Don Pala e com’è come non è, lo associo sempre ala canto “Resta con noi”, che lui cantava con una bella voce sonora e stringendo il “resta”, alla maniera sarda. Se, invece, andavamo nella chiesa di Straulas, e celebrava sempre Don Pala, un coro di donne anziane, in costume quotidiano, cioè gonna a piegoline nere e camicetta bianca, c’era la grazia dell’Ave Maria in sardo. Che ancora oggi, nella parrocchia del paesino bianco, dove non posso prendere il Signore in sacramento, viene cantata da un bel coro di giovani e giovanissime. E mi accontento…
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