La Colombia vuole liberarsi dalla lunga storia dei regimi sostenuti da Washington
di L’INDIPENDENTE ONLINE (Valeria Casolaro)
Nella giornata di domenica 7 agosto in Piazza Bolivar, a Bogotà, è andato in scena un momento storico nella storia della Colombia: Gustavo Petro ha prestato giuramento come presidente, portando al potere una coalizione di sinistra dopo oltre 200 anni di incontrastato controllo sul paese da parte delle forze reazionarie e liberiste supportate dagli Stati Uniti. Il neo-insediato presidente ha un obiettivo molto ambizioso in un paese dilaniato da decenni di conflitti con i cartelli e con i gruppi guerriglieri: riportare la “pace totale” nel Paese. L’unico modo per farlo, ha dichiarato Petro, è porre fine alla povertà e alla “guerra alla droga”. Si tratta di una vittoria dei movimenti sociali, degli ecologisti e di quelli indigeni. Ancora non è dato sapere se e in che misura Petro risponderà alle altissime aspettative del Paese: ciò che è certo è che, con questa elezione, la Colombia ha mostrato la propria voglia di un cambio di rotta che riguardi la struttura intera della società, a partire da una completa revisione dei rapporti con gli Stati Uniti.
Punto focale nel programma di Petro – che sarà affiancato nelle vesti di vice-presidente da sarà Francia Marquez, la prima vicepresidente donna e di colore nella storia della Colombia – è la rimozione delle cause del conflitto in Colombia, a partire dal compimento di una riforma agraria mai portata a termine e del completo ripensamento delle logiche della sicurezza e della “guerra alla droga” made in USA, fondata sulla repressione. Nella visione di Petro, la pace interna è raggiungibile solamente attraverso il perseguimento della giustizia sociale, ottenibile con una più equa redistribuzione delle ricchezze e con l’abbandono dell’approccio militare alla questione delle droghe. D’altronde, i fatti parlano da sé: nonostante i miliardi di dollari (10,4 tra il 1999 e il 2017) ricevuti da Washington per contrastare il narcotraffico – un’ottima pretesa per mantenere la presenza militare all’interno del Paese, con la compiacenza dei suoi predecessori -, ad oggi la Colombia è il primo produttore di coca al mondo, con i livelli di produzione aumentati del 30% rispetto al 1999. Contro questo approccio fallimentare, Petro vuole quindi tentare una tattica diversa: fermare le eradicazioni forzate delle piante di coca e la dura repressione, puntando invece ad una maggiore apertura agli accordi territoriali con i contadini e con gli imprenditori locali. Una soluzione che richiama molto quella già proposta da Pedro Castillo in Perù, anch’egli in rottura con la politica di zero tolleranza statunitense in favore di una “eradicazione volontaria, pacifica e progressiva”, e che lascia presagire che un nuovo vento di cambiamento sta soffiando nel continente.
La “pace totale” di Petro passa anche inevitabilmente per la messa in pratica degli Accordi di Avana, ovvero gli accordi di pace tra le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) e il governo colombiano, stipulati nel 2016 per porre fine al conflitto interno che dilaniava il Paese. L’accordo, raggiunto al termine di 4 anni di colloqui in territorio cubano, era stato tuttavia accantonato dal presidente Santos e di fatto “stracciati” da Duque. Allo stesso modo l’intenzione del nuovo presidente è anche quella di riprendere i colloqui con l’ELN (Esercito di Liberazione Nazionale), interrotti da Duque nel 2019.
Nell’idea di solidarietà sociale di Petro rientra anche una riforma tributaria che permetta il pagamento delle tasse in misura proporzionale al proprio reddito, puntando a far ricadere l’onere fiscale sulle 4000 fortune più grandi della Colombia con l’obiettivo di raccogliere circa 50 miliardi di pesos all’anno (11,5 miliardi di dollari circa). Le riforme sono volte ad attutire l’abissale differenza tra ricchi e poveri nel Paese – una delle più accentuate dell’America Latina -, dove la povertà riguarda il 39% della popolazione, la disoccupazione è all’11,7% e l’inflazione al 10,2% su base annua. Basta, quindi, anche ai ricatti mascherati da azioni umanitarie come quelle messe in atto da USAid, che concede aiuti nel nome della tutela dei diritti umani al prezzo dell’imposizione di misure coercitive e unilaterali. Se da un lato gli Stati Uniti hanno infatti invitato alla cerimonia Samantha Power, oggi a capo dell’USAid, dall’altra Petro si è assicurato che tra gli invitati speciali vi fossero ampie parti di quei gruppi che costituiscono il potere popolare, ovvero lavoratori informali, contadini e pescatori.
Il riavvicinamento con il Venezuela e con Cuba rappresenta un’ulteriore indizio della direzione nella quale vuole muovere il governo di Petro, con una netta inversione di marcia rispetto alle precedenti politiche filostatunitensi dei suoi predecessori. Già nel mese di giugno il presidente aveva confermato di voler riprendere i rapporti diplomatici col presidente venezuelano Maduro, interrotti dopo che Duque aveva dichiarato di non riconoscerne l’autorità – dichiarazione dietro la quale si celava il tentativo fallito di forzare l’ingresso di aiuti umanitari statunitensi in Colombia attraverso la frontiera di Cúcuta nel 2019.
Non da ultimo, tematica di fondamentale importanza nell’agenda di governo di Petro è l’ambiente: tra le prime misure al vaglio del Congresso vi sarà la proibizione dell’estrazione di idrocarburi fossili mediante la devastante tecnica della fratturazione idraulica (fracking), insieme alla proposta lanciata alle grandi istituzioni internazionali, quali il FMI, di impiegare il debito per la protezione dell’Amazzonia e delle risorse naturali che costituiscono ora più che mai un bene comune che necessita tutela.
Indubbiamente bisognerà vedere a quali risultati porterà l’inevitabile scontro con le oligarchie colombiane, con le politiche statunitensi e con l’ordine capitalistico mondiale. Se è vero che a marzo, durante una visita dell’ex presidente Duque alla Casa Bianca, Biden aveva definito la Colombia «la pietra angolare dei nostri sforzi per costruire un emisfero prospero, sicuro e democratico», non si può negare che il Paese abbia tutto l’interesse a mantenere i rapporti con gli Stati Uniti, con i quali ha una fitta rete di cooperazioni in ambito commerciale, tecnico, scientifico, culturale e militare. La Colombia è, d’altronde, il principale alleato degli USA nel continente sin dagli anni ’50 ed è l’unico ad avere lo status di major non-NATO ally nella regione – fu il presidente Santos a richiedere l’ingresso nell’Alleanza Atlantica.
I simboli che Petro ha voluto alla cerimonia sono stati pensati per sottolineare il cambiamento di questo momento storico. Come la spada di Simon Bolivar, il generale che liberò la Colombia dal dominio coloniale, custodita nel palazzo del governo dal quale il predecessore di Petro, Duque, non aveva voluto che uscisse per nessun motivo. A consegnare la banda presidenziale a Petro, inoltre, è stata Maria José Pizarro, figlia di Carlos Pizarro, compagno di Petro ai tempi della militanza nella guerriglia dell’M-19 e assassinato dal terrorismo di Stato nel 1990, quando era candidato alla presidenza. Sarà presto chiaro se la sua elezione segna l’inizio di un nuovo periodo storico per la Colombia e per il Sudamerica.
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