Misurare il benessere: più ricchi o più poveri?
di DOPPIOZERO (Giovanni D’Alessio)
Misurare il benessere
Misurare il benessere è più complesso di quanto possa apparire a prima vista, lo sanno bene gli studiosi di scienze sociali che ne discutono da decenni.
Soprattutto a partire dal II dopoguerra, economisti e statistici hanno sviluppato i loro strumenti di analisi e di misurazione dello sviluppo economico dei paesi (tipicamente il PIL) e di benessere economico degli individui (il reddito, i consumi, la ricchezza).
Che il PIL non dica tutto dello sviluppo di una società era già chiaro negli anni sessanta. Viene spesso citato il celebre discorso di Robert Kennedy del 1968: “Il PIL comprende … le serrature speciali per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro che le forzano … la produzione … di testate nucleari … Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta”.
Il passo sintetizza efficacemente il fatto che le misure di benessere economico (PIL, reddito ricchezza) costituiscono un punto di vista sul mondo che non deve essere accettato acriticamente, ma deve al contrario essere compreso con tutti i suoi limiti. In alcuni casi ci sono aspetti meramente tecnici che sono importanti. Ad esempio, il fatto che i servizi pubblici siano valutati nel PIL “al costo dei fattori” implica che un insegnante vi contribuisca in egual misura, sia che rimanga inerte sulla cattedra per l’intero anno scolastico senza suscitare alcun interesse tra i suoi alunni sia che si dibatta come un eroico don Milani nelle periferie disagiate del nostro paese, salvando i ragazzi da un destino segnato. Insomma, non si tiene conto della qualità dei servizi pubblici. È inoltre rilevante che il PIL (come anche il reddito) non tenga conto del volontariato, delle attività domestiche (che non passano per il mercato) o del depauperamento delle risorse naturali (per quanto la contabilità nazionale si sia sviluppata per colmare le lacune più rilevanti con i conti satellite).
Per contrastare questo genere di osservazioni sono stati sviluppati negli ultimi decenni indicatori diversi (ad es. di benessere soggettivo) o sistemi di indicatori che tendono a completare la visione meramente economica, come ad esempio, quelli di Benessere Equo e Sostenibile – BES, che forniscono un quadro più ampio e articolato.
Dall’altra parte, è bene ricordare che sebbene le condizioni economiche non siano tutto nella vita, esse sono correlate al benessere delle persone, costituendone in molti casi il presupposto. Ad esempio, per i paesi come per gli individui si osserva che alle disponibilità economiche si accompagna una più elevata speranza di vita.
L’indagine sui bilanci delle famiglie italiane
Le indagini sulle condizioni di vita delle famiglie nascono in Italia nel II dopoguerra (Baffigi et al., 2016). La Banca d’Italia contribuì finanziariamente ai primi tentativi di rilevazione svolti dalla Doxa nei primi anni cinquanta, sotto la spinta di Baffi, capo dell’Ufficio Studi. Baffi esprimeva l’esigenza di acquisire informazioni per poter svolgere adeguatamente la sua attività istituzionale, in coerenza con la massima “conoscere per deliberare” di Einaudi, governatore pochi anni prima.
Erano indagini che potremmo definire “eroiche” da molti punti di vista. Condurre una rilevazione nazionale, con migliaia di intervistati e centinaia di rilevatori sparsi sul territorio, nelle condizioni in cui era l’Italia di allora, era organizzativamente molto complesso. I questionari venivano controllati a mano uno alla volta e le elaborazioni erano condotte con i modesti strumenti di calcolo dell’epoca. I risultati forniscono l’immagine di un mondo remoto, in cui il disagio economico era molto diffuso. Il 30% delle famiglie aveva avuto la casa danneggiata dalla guerra e nella metà dei casi non era stata ancora del tutto riparata mentre il 40% non aveva il bagno con l’acqua corrente. Nei questionari di quelle indagini si trovano domande come questa, “Quanti membri della famiglia sono sprovvisti di scarpe o dispongono solo di scarpe bucate o rotte o non riparabili?”, che ben descrivono le condizioni dell’epoca.
È però solo nei primi anni sessanta che la Banca d’Italia avvia ufficialmente una rilevazione continuativa sulle famiglie. Sfogliando i documenti delle indagini che vanno dal 1966 al 2020 sul sito della Banca d’Italia si può fare un viaggio nel tempo, esaminando i profondi cambiamenti che hanno caratterizzato le famiglie italiane lungo questo arco di tempo.
Dal punto di vista demografico, la crescita della popolazione e del numero di famiglie, che ha progressivamente rallentato la sua velocità fino quasi ad arrestarsi solo negli ultimi anni; l’invecchiamento della popolazione e la diffusione di nuclei familiari sempre più ridotti, anche per l’emergere del fenomeno dei single; il progressivo aumento di persone nate all’estero.
Dal punto di vista del reddito, una crescita prima vigorosa negli anni sessanta e settanta e poi via via più lenta sul finire del secolo, fino alla crisi del 2006-2008 che si è protratta fino al 2012. Da allora il recupero è stato solo parziale, anche per effetto della sopravvenuta pandemia.
La crescita della ricchezza è stata persino più imponente lungo tutto il secolo passato, tanto che, nella lettura di Piketty e di altri autori, le società occidentali sarebbero tornate ad essere fondate sulla rendita, come nell’ottocento. In un paese che cresce poco ed è dotato di una diffusa ricchezza che passa di padre in figlio, vi è meno spazio per i giovani per emergere sulla base dei soli propri talenti. Alcuni studi segnalano che il trend discendente della persistenza intergenerazionale dei titoli di studio, dei redditi e della ricchezza che si era osservato nel secolo scorso si è interrotto nel decennio passato. La disuguaglianza ha assunto dunque una sgradevole connotazione ereditaria, tipica delle società preindustriali.
In questo quadro di lungo periodo, cosa ci dicono i risultati dell’ultima indagine sul 2020?
I risultati dell’ultima indagine: dove stiamo andando?
Trarre delle conclusioni solide sulla direzione intrapresa sulla base di quest’ultima indagine della Banca d’Italia non è agevole. Si tratta infatti di un’indagine che ha caratteri particolari per vari motivi.
In primo luogo, la rilevazione è stata oggetto di importanti modifiche metodologiche che ne hanno migliorato la qualità, sia pure con qualche inevitabile costo in termini di comparazione con le precedenti edizioni. Inoltre l’indagine riguarda il 2020, l’anno che ha visto il dispiegarsi della pandemia, con le relative conseguenze economiche dovute alle restrizioni imposte dalla situazione sanitaria, ma anche imponenti misure di ristoro adottate dal governo. Peraltro la pandemia potrebbe aver innescato delle profonde modifiche nella nostra società, ad esempio nell’organizzazione del lavoro, con la diffusione dello smart working, e nelle abitudini di consumo, con il più ampio ricorso agli acquisti on line. Queste dinamiche potrebbero determinare conseguenze durature, ad esempio per i riflessi sulle attività commerciali tradizionali, sull’uso del contante, sulla tipologia e sulla localizzazione delle residenze dei lavoratori, con conseguente impatto sui prezzi degli immobili. Insomma, si può ritenere che questa indagine apra una nuova serie nella rilevazione e che il 2020 rappresenterà un anno di svolta, e un punto di riferimento per la valutazione delle future dinamiche.
Le indicazioni dell’indagine sul 2020 sul reddito sono moderatamente positive, se comparate con l’ultima rilevazione disponibile sul 2016, mentre assumono un segno negativo quando ci rapportiamo al picco raggiunto nel 2006, cioè prima della crisi finanziaria globale. L’indagine segnala infatti una crescita del reddito medio familiare del 3% in termini reali rispetto al 2016, ma un calo di oltre il 12% rispetto al 2006. Se si analizza il reddito medio equivalente, indicatore che viene spesso preferito perché tiene conto della numerosità (tendenzialmente in calo) e della composizione della famiglia, l’andamento è più favorevole rispetto al 2016 (3,7%) e meno sfavorevole rispetto al 2006 (-8%).
La crescita del reddito equivalente rispetto al 2016 è stata più consistente tra le famiglie più povere, che hanno beneficiato del forte incremento dei trasferimenti di natura generale (tra cui reddito e pensione di cittadinanza) e dei ristori dovuti alla pandemia. Tuttavia, poiché un incremento superiore alla media ha riguardato anche il quinto di famiglie più agiato, gli indicatori di disuguaglianza (misurati con strumenti che tengono conto delle innovazioni introdotte) sono rimasti pressoché stabili tra le due rilevazioni. La classe media è quella che ha avuto nel periodo gli incrementi minori.
La spesa per consumi rispetto al 2016 si è invece contratta di quasi il 10% in termini reali. Questo indicatore, però, riflette largamente gli effetti delle misure di contenimento della diffusione del virus che hanno spinto (in parte costretto) le famiglie a risparmiare. È possibile però che il maggiore risparmio sia dovuto anche al diffondersi di maggiori condizioni di incertezza per il futuro.
La ricchezza media delle famiglie è aumentata a prezzi costanti dell’1,7% rispetto al 2016, soprattutto per effetto del maggior risparmio appena citato. Il valore medio del 2020 rimane però oltre 20 punti percentuali sotto il livello del 2006, soprattutto a causa del calo nel prezzo degli immobili registrato nell’ultimo decennio. La ricchezza mediana, cioè quella che caratterizza la famiglia che occupa la posizione centrale nella distribuzione, si è invece contratta di circa 7 punti percentuali rispetto al 2016. Il diverso andamento di questi due indicatori (media e mediana) segnala un aumento della concentrazione della ricchezza, con un indice di Gini che, al netto delle modifiche metodologiche, passa da 61,6 a 64,7.
Insomma, i risultati di questa indagine forniscono segnali di un moderato miglioramento nelle condizioni economiche tra il 2016 e il 2020; le statistiche sul PIL del 2021 e le previsioni sul 2022 lasciano ipotizzare una crescita più consistente anche nei periodi più recenti, nonostante i venti di guerra introducano nuovi elementi di incertezza sul futuro.
È forse anche per questo motivo che altri indicatori raccolti nell’indagine e riferiti al momento dell’intervista invece che all’anno precedente come il reddito e la ricchezza, contengono un’enfasi positiva forse un po’ più marcata rispetto alle misure monetarie. La quota di famiglie che dichiara che il reddito a disposizione della famiglia permette di arrivare alla fine del mese senza problemi, passa tra il 2016 e il 2020 dal 36% al 42%; quella di coloro che dichiarano forti difficoltà si riduce dal 15.3% al 13.7%.
L’indagine rileva inoltre anche un indicatore di benessere più generale, chiedendo agli intervistati di fornire un punteggio compreso tra 1 e 10 alla domanda “Considerando tutti gli aspetti della sua vita, quanto si ritiene felice?”. L’indicatore consente di valutare in che modo le misure monetarie si rapportino alle percezioni dei cittadini. Queste percezioni hanno il vantaggio di includere tutto ciò che essi ritengono rilevante per la loro vita, ma anche il difetto di risentire di fattori psicologici che possono interferire nella misurazione. Ad ogni modo, la quota di persone “infelici” (con punteggio fino a 4) passa dal 7,5% al 5,5% mentre all’altro estremo, la quota di quelle “felici” (da 8 in su) passa dal 46% al 51,1%. Se questo miglioramento sia destinato a durare nel tempo e se sia dovuto solo ai miglioramenti economici nel periodo o anche ad altri fattori (ad es. la maggiore possibilità offerta dallo smart working di conciliare lavoro e famiglia) rimane da studiare.
[Le opinioni espresse sono personali e non riflettono necessariamente la posizione della Banca d’Italia].
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