Giorgia Meloni for president. Ovvero della transizione senza fine
di La Fionda (Salvatore Bianco)
Dopo la caduta volutamente con ignominia della Prima Repubblica, il nostro Paese appare ed è rappresentato dagli ammennicoli mediatici in perenne transizione, non è dato sapere in transito verso che cosa. Probabile allora che la transizione non sia il mezzo ma il fine, assegnato alla politica da quelle forze imprenditoriali e soprattutto finanziarie nel frattempo divenute preponderanti, che hanno nel movimento accrescitivo incessante il loro fulcro.
Lo scontato trionfo della destra politica, trainata in questo caso dalla Meloni, nel clima propagandistico, che caratterizza ogni campagna elettorale, è presentato come un unicum, un evento epocale destinato a stravolgere dalle fondamenta gli assetti costituzionali del nostro Paese. L’allarme risulta oltremodo sospetto in quanto lanciato da quegli stessi giornali mainstream che hanno fatto il diavolo a quattro per impedire che si costituisse un «patto costituzionale» in difesa della Carta. Delle due l’una: o la casa comune sta per bruciare ed allora contribuisci a promuove un fronte democratico largo contro la deriva autoritaria incombente oppure non contribuisci a costituirlo quel fronte, come di fatto è avvenuto, ed allora non puoi gridare al lupo al lupo, tranne agitarlo strumentalmente quel pericolo, magari per impedire che uno dei due poli si rafforzi oltre il dovuto.
In realtà, se collocato nel contesto storico trentennale dell’Italia, la previsione elettorale testé richiamata si pone in un quadro di sostanziale penosa continuità. E’ solo l’ultimo di una serie di travestimenti nel quale si è cimentata la sempre più screditata élite dominante nostrana. Pur di restare pateticamente abbarbicata alle posizioni di potere, essa è disposta a mettere in scena un’ulteriore avventura, in sé potenzialmente pericolosa, senza possibilità alcuna di fare uscire il Paese dall’incantesimo della transizione infinita. L’avvio di questa sciagurata stagione è coinciso con l’avvento del berlusconismo a partire dal ‘94, con la parentesi interessata di Prodi in coincidenza con l’ingresso nell’euro. In tempi più recenti il carro si è poi affollato intorno a Renzi. E dopo la fugace meteora di Salvini, adesso tocca decisamente alla Meloni.
Lo spartito spregiudicato del blocco oligarchico nell’attualità purtroppo non muta: affidarsi al personaggio politico del momento per proseguire nella vacuità di una politica che si limita ad amministrare e dunque ad assecondare le concretissime meccaniche di redistribuzione alla rovescia, che determinano un crescente impoverimento dei ceti medi e bassi, con un trasferimento di risorse e poteri ( e conseguente perdita di dignità ) a favore di una «superclass» (G. Galli), con consistenza numerica da prefisso telefonico. Roba da fare invidia ad un qualsiasi sistema sociale articolato in caste.
Per tornare alla Meloni, il personaggio dalla palese limitata caratura politica, solo estremamente ambizioso, è la pedina giusta nell’infausta logica di prendere/rubare tempo (W. Streeck). È vulnerabile da un punto di vista ideologico, per i suoi trascorsi, non è minimamente attrezzata come classe dirigente e dunque estremamente permeabile – non sono un mistero le sue interlocuzioni con Draghi per suggerimenti sulla futura squadra di governo. Insomma il classico e funzionale specchietto delle allodole per calamitare consensi, vista la sua apparente freschezza rispetto agli usurati Salvini e Berlusconi. Consensi che poi daranno copertura a quei meccanismi continui di spoliazione a danno dei ceti più esposti, che si riscontrano abbastanza se solo si presta attenzione ai programmi, come l’annunciata flat tax o la cancellazione tout court del reddito di cittadinanza. Con in più un carico di decisionismo spiccio che può tornare utile a soffocare sul nascere quegli embrioni di protesta previsti per l’autunno.
Percentuali alla mano, il quarto e non il terzo polo, come maliziosamente propagandato dal circo mediatico, costituito dall’accoppiata Calenda & Renzi, è già lì pronto come uno sparviero per sfruttare l’inevitabile corto circuito che si verrà a determinare presto o tardi, con l’ennesimo rilancio di governi tecnici e il Draghi di turno che potrebbe coincidere con la figura in questo caso di Cottarelli. In sintesi, la Meloni rappresenterà nelle intenzione degli immarcescibili gruppi dominanti la valvola di sfogo momentanea per una popolazione stremata e disorienta, a cui dopo la sbornia dei decenni scorsi la consorteria neoliberista sta presentando drammaticamente il conto. Forse ella stessa, al netto di pulsioni autoritarie mai da escludere, preparerà la successione, riproponendo la consueta congerie di esperti, tecnici e competenti a buon mercato.
Al netto di imprevisti sempre possibili, il piano pare già scritto, perlomeno ad un occhio appena criticamente avvertito che sappia schivare i gorghi della propaganda. Che fare? Votare si deve in ossequio a quella Costituzione che non si può difendere ed onorare se non mediante il libero esercizio del voto. E poi votare dando sostegno a tutte quelle forze che il mainstream attacca e stigmatizza quotidianamente. Più in particolare, se la disfida è tra ordoliberismo lettiano e ultraliberismo salviniano e meloniano, con la Meloni avanti perché capace di attraversarli disinvoltamente entrambi, occorre lucidamente fare uno scarto di lato, una mossa del cavallo, e fuoriuscire da questo schema che ha il sapore del circolo vizioso.
Tutti siamo ugualmente consapevoli che le forze alternative in formazione sono largamente insoddisfacenti, talune francamente imbarazzanti. Ma è su quella galassia che occorre concentrarsi e confidare in una crescita culturale ed un consolidamento numerico. Probabile che la fase successiva, dopo le elezioni, passi da una rifondazione anche delle forze politiche che un tempo erano organiche alla sinistra storica e attualmente versano in stato confusionale. Occorre insomma costruire le condizioni per una fuoriuscita necessaria dal paradigma economico neoliberista che sta impoverendo le società, tanto nella versione ordoliberista di conio tedesco quanto in quella ultralibersta di stampo anglosassone.
Ben oltre le loro singole volontà, le personalità politiche, che Marx avrebbe definito «maschere di carattere», sono tutte ugualmente impegnate ad eseguire un unico spartito economico scritto da poteri extra politici, che per chi lo subisce assume i tratti derisori di un disco rotto. Incoraggiare queste forze del dissenso in formazione è dunque la migliore assicurazione sul futuro democratico del nostro Paese. Viceversa votare per una posticcia alternanza, senza reale alternativa, allontana la soluzione dei problemi e rischia di avvitare il sistema in una spirale potenzialmente autoritaria di sovranismo regressivo. Perché a giocare col fuoco, come stanno facendo irresponsabilmente da tempo i ceti dominanti di questo Paese, si rischia prima o poi di bruciarsi e la storia e lì a ricordarcelo ogni momento.
Votare chi?
Ricordo che il cittadino, ormai diventato in questi.anni e, IN particolare gli ultimi.due un vero gregge belante.
Più che vtare occorre che la gente oltre a guardare alla sostanza, per quel che vale, visto che subito dopo il voto come PREVEDE LA COSTITU I PARTITI POSSONO BELLAMENTE FREGARSENE.
Il.vecchio detto… dimmi con chi vai e ti dirò chi.sei