Intervista al Filosofo Andrea Zhok “Ecco perché mi candido con Italia Sovrana e Popolare”
di QUOTIDIANO WEB (Giulia Bertotto)
Dalla candidatura con Italia Sovrana e Popolare alla critica ai rapporti geopolitici dell’Italia e dei suoi “timonieri”
Andrea Zhok, filosofo e professore di Antropologia filosofica e Filosofia morale presso l’Università degli Studi di Milano, si è laureato all’Università degli Studi di Milano con una tesi su Max Scheler, uno dei maggiori esponenti della fenomenologia tedesca.
Oggi si candida con Italia Sovrana e Popolare, lista che vede uniti il Partito Comunista di Rizzo, Ancora Italia con Francesco Toscano, Riconquistare L’Italia con Stefano D’Andrea, il Comitato No Draghi, ed altri; tra i suoi candidati indipendenti vede nomi illustri come l’inviato di guerra Giorgio Bianchi e il giornalista Claudio Messora.
Perché tra le forze extraparlamentari (Come Vita o Italexit) ha scelto di candidarsi proprio con Italia Sovrana e Popolare?
La cifra principale di Italexit è di essere verticistico-padronale; Paragone ha un governo assoluto del suo movimento e personalmente questo non è di mio gradimento, pur stimando candidati e professionisti come il dottor Frajese, per dirne uno. Trovo peraltro le posizioni di Paragone sull’Alleanza Atlantica ondivaghe e temo, opportunistiche. Per quanto riguarda Vita la mia esperienza con la componente a loro interna dei 3V è stata spiacevole. Da ben prima che iniziasse la campagna elettorale hanno adottato un classico stilema del peggiore extraparlamentarismo: la rincorsa alla “purezza” con denigrazione di tutti quelli che secondo standard fantasiosi non erano abbastanza “puri” (che spesso voleva solo dire dogmatici). Ora, la politica è sempre anche mediazione e questo atteggiamento risulta poco costruttivo, finendo per creare microgruppi settari, privi di alcun futuro politico. La perfezione in politica non esiste; esistono finalità ed esiste la maggiore o minore capacità di aderirvi. Andare a cercare se qualcuno un anno fa ha detto qualcosa di discutibile su un tale o talaltro argomento è gossip, non politica. Nel caso di Italia Sovrana e Popolare c’è una consonanza di fondo non solo con le principali linee, ma soprattutto con persone per cui ho stima e amicizia da tempo. È dunque in primo luogo la fiducia in alcune persone che mi hanno portato spontaneamente verso il progetto, fino alla candidatura.
Il segretario del PC Marco Rizzo ribadisce spesso che Italia Sovrana e Popolare non è un contenitore chiuso ma un percorso aperto, a cui eventualmente potranno aggregarsi altre forze che sottoscrivono gli stessi obiettivi.
Certamente, è così.
Cosa risponderebbe a chi afferma che è un’utopia anche solo pensare di uscire dalla Nato?
Risponderei affermando ciò che penso riguardo a qualsiasi svolta radicale dell’esistenza e della storia: il tempo è una variabile fondamentale e ciò che in tempi brevi non è pensabile, può diventare realizzabile, o addirittura obbligatorio, dopo un certo periodo di tempo. È ovvio che non possiamo andare domattina a sbattere i pugni a Washington per mandare via le 70 e fischia basi militari americane dal suolo italiano, sarebbe ridicolo. Tuttavia, dobbiamo ricordare che paesi a noi molto vicini e con un potere contrattuale molto inferiore al nostro, non sono mai state nella Nato; ad esempio l’Austria e la Svizzera.
La Nato è sorta in un periodo in cui c’erano delle motivazioni, discutibili certo, ma reali, per la sua esistenza: c’era la contrapposizione tra due blocchi e sulla scorta dei patti siglati dopo la Seconda guerra mondiale incombeva l’obbligo politico e militare di schierarsi da una delle due parti, blocco Usa o sovietico. La Grecia che contestò la sua assegnazione al blocco occidentale pagò questa reazione con una sanguinosa guerra civile. Insomma, posso capire quella fase storica in cui la scelta di un’eventuale neutralità avrebbe avuto costi altissimi. Ma oggi, e da tempo, le cose non stanno così. Le funzioni della Nato non sono più le stesse, è diventata la mano armata privata degli Usa. Molti paesi hanno questa consapevolezza, a partire dalla Francia, e molti hanno manifestato riluttanza a questa sudditanza. Credo sia una questione di tempo e di diplomazia, ma le cose stanno cambiando perché devono cambiare. Un’operazione di allontanamento, magari accedendo ad alleanze militari parziali e trasversali con altri paesi, è già realizzabile.
Un commento sulla recente scomparsa di Gorbaciov.
Personalmente sono convinto che Gorbaciov sia una figura tragica. Credo fosse un idealista e come spesso accade gli idealisti, ha fatto più danni di un malfattore. Dunque, non mi interessa criticarne la persona, ma come il politico ha commesso errori terrificanti, pagati duramente da una generazione di russi.
Marx ha scritto che “La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”…
Credo che Gorbaciov abbia cercato in buona fede di rimediare a problemi molto gravi nell’Unione Sovietica del suo tempo, quindi non condanno eticamente il lato umano, giudizio che comunque non mi compete. Tuttavia condanno l’operato politico che fu imperdonabile, creando le condizioni per un disordinato disfacimento del paese. Il suo fallimento ha contribuito all’avvento degli anni peggiori per il popolo russo (che infatti non lo ama affatto). Al caos degli anni ’90 in Russia ha posto rimedio solo l’avvento di Putin.
Il suo ultimo saggio Lo stato di emergenza: Riflessioni critiche sulla pandemia (Mimesis 2022) analizza quelle che lei chiama “post-democrazie: ossia quelle dove si preannuncia un cambiamento di paradigma attraverso l’utilizzo di una sistematica governance emergenzialista”. Con una gestione pandemica isterica e tuttavia rigidissima, e il sostegno febbrile e acritico alla Nato, alcuni hanno definito l’Italia come un “laboratorio” di questo modello.
Non userei il termine “laboratorio” che pare avere un’accezione quasi lusinghiera, rendendoci almeno esemplari come cavia. No, l’Italia è semplicemente il paese la cui classe dirigente è più fortemente assoggettata agli Stati Uniti. Noi siamo in una condizione di doppia dipendenza: dagli Stati Uniti e dalla Germania per ragioni storiche e politiche. In questa posizione di subordinazione qualsiasi linea venga dettata a livello apicale (Nato o UE) noi siamo quelli che obbediscono con maggiore sollecitudine e anche con maggiore ottusità. Il caporale più zelante nel compiacere il suo superiore è quello che fa morire i suoi soldati. Questo atteggiamento culturale è molto radicato nel nostro paese. Soprattutto nelle élite colte e nel ceto mediatico e dell’informazione.
Leggo spesso quotidiani di altri paesi e una situazione di degrado e mistificazione dell’informazione così grave come in Italia non la ravviso altrove. Persino in Inghilterra, alleato principe degli Usa, la loro stampa non mostra lo stesso allineamento acritico della nostra, e si possono trovare un congruo numero di voci dissonanti.
Il problema maggiore oggi è proprio l’agibilità mediatica, non solo quella politica. Il problema non è come uno venga definito o criticato: possono anche definirmi filo-putiniano o no-vax, purché poi sia garantito un effettivo diritto di replica. Altrimenti non abbiamo a che fare con un dibattito pubblico, ma con plotoni d’esecuzione mediatici.
Nel 2006 è uscito Lo spirito del denaro e la liquidazione del mondo. Antropologia filosofica delle transizioni. Che cos’è il denaro? Crediamo di saperlo in realtà è un misterioso catalizzatore di forze culturali umane, sovrastrutture etiche, proiezioni emotive, compensazioni irrazionali…
In estrema sintesi il denaro è una convenzione sociale che esercita, attraverso la persuasione dei soggetti un potere sociale, e come tutte le forme di potere sociale ha bisogno di essere creduta dagli assoggettati. Il potere non è il randello fisico, l’arma. Potere è il fatto che le persone credono che qualcuno abbia legittimazione, potere appunto: questo vi conferisce effettivo potere. Se tutti siamo convinti che qualcuno ha un potere, esso lo ha. Se tutti crediamo che il denaro sia decisivo, che abbia un valore, che abbia quel valore, ebbene allora lo ha. Tutti sappiamo che una banconota non ha alcun valore intrinseco, così come non ha nessun valore intrinseco il codice magnetico che registra un conto in banca. Sono strutture convenzionali stratificate in maniera molto importante e capillare nel tessuto sociale. La prima operazione da fare nei confronti del denaro è capire che esso di per sé è niente, in senso reale, materiale, come realtà primaria non esiste. Tuttavia, esso è un’idea potentissima e per gestirla e dominarla occorre comprenderne le implicazioni. La sua leva è infinitamente flessibile: quando ci si muove sul piano del denaro ci si muove sul piano di qualcosa come un “idealismo puro”. Il fatto che a un certo punto molti credano che un paese fallirà ne decreta il fallimento.
Sembra quasi un pensiero magico, un incantesimo sciamanico…
Assolutamente sì, ma con regole molto stringenti. Idealmente, potremmo cancellare domattina i debiti pubblici in tutto il mondo. E i danni reali potrebbero essere molto contenuti, perché avremmo obliterazioni mutue e debiti e crediti scomparirebbero in moltissimi casi. Saremmo immediatamente in un mondo nuovo, con rapporti di subordinazione ridotti ai minimi termini. Nessuno può farlo ma solo il fatto che questo sia concepibile è molto interessante, in quanto significa che viviamo in qualcosa di non troppo lontano ad un’ipnosi collettiva. Al denaro si può far fare ciò che si vuole, se e solo se esiste una volontà politica capace di deciderlo.
Qual è l’interrogativo filosofico più attuale e urgente? Quali sono i suoi maestri filosofi o i più grandi ispiratori?
Per me politica e filosofia sono necessariamente e strutturalmente connesse, non nel senso che uno debba fare il filosofo engagé alla Sartre, ma per dirla con Hegel perché “La filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero”. Significa che non ci si può mai davvero allontanare del tutto da una visione del proprio circostante. Quando qualcuno finge di farlo, magari riducendo la filosofia a tecnicismo o specialismo ipersettoriale, presto o tardi finisce per muoversi in una dimensione illusoria, che fa marcire il pensiero. Così facendo il compito intellettuale naufraga. Chi viene pagato con denaro pubblico credo debba restituire almeno in parte il frutto dello studio intrapreso alla cosa pubblica.
La mia provenienza è sicuramente il filone Hegel-Marx, che ho studiato in modo approfondito da giovane, seguito a ruota dalla fenomenologia di Husserl, Heidegger (in una sua particolare versione), Merleau-Ponty, Sartre, autori che ho studiato intensamente fino in tempi recenti. E questi sono, per così dire, i mostri sacri. Poi ci sono autori di altra portata, senza la capacità di visione complessiva di quei maggiori, ma strumenti preziosi per la comprensione della contemporaneità. Tra questi citerei il sociologo Christopher Lasch, o il filosofo Jean-Claude Michéa, autore di analisi splendide sulla contemporaneità, di provenienza marxista. Interessante anche Alain de Benoist, filosofo e giornalista della Nouvelle Droite francese che ha fatto un lavoro critico di grande qualità, alla fine convergente su posizioni affini a quelle di Michéa, nonostante il retroterra molto diverso.
Una campagna elettorale ha le sue scadenze e tempistiche, la sua “superficialità obbligata”, ma la linea politica non deve mai perdere di vista i processi lunghi, gli scenari ampi, le possibilità adesso precluse che saranno domani aperte. In qualsiasi modo andrà il 25 settembre questa prospettiva deve rimanere salda.
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