Guerra, inflazione, tassi: la strategia anglosassone in divenire
di FEDERICO DEZZANI
Alle porte dell’autunno, la strategia anglosassone per affossare l’Europa, già ben delineata all’inizio dell’anno, si sta concretizzando: i flussi energetici dalla Russia si sono quasi fermati, creando un mix tossico di recessione ed inflazione. Per raffreddare i prezzi, la BCE sarà quindi indotta a rialzare i tassi, dopo anni di economia monetaria accomodante ed aumento esponenziale dei debiti pubblici: il prossimo governo “sovranista” italiano completerà il quadro, portando al massimo la tensione dentro la UE.
Senza via di scampo?
Settembre è arrivato, l’autunno incombe e, come ampiamente previsto nelle nostre analisi, la trappola anglosassone ai danni dell’Europa e dell’Italia in particolare (anello debole dell’eurozona e perciò martoriata senza sosta) sta per scattare. Il Vecchio Continente, totalmente in balia degli strateghi angloamericani, sta per affrontare il mix tossico di recessione ed inflazione che, attraverso l’aumento dei tassi delle banche centrali, si trasformerà ben presto in una nuova crisi del debito. Per acuire al massimo le tensioni dentro la UE, gli anglosassoni si apprestano inoltre ad installare a Roma un governo “sovranista” di provata fede atlantica, che indirizzerà i propri attacchi contro la BCE e la sua politica monetaria, portando al massimo le tensioni politico-finanziarie dentro la UE.
Ma procediamo con ordine e partiamo, quindi, dal tema cruciale dell’inflazione. Nel “lontano” giugno del 2021, prima quindi della guerra in Ucraina, fummo tra i primi ad evidenziare la strategia sottostante all’aumento dei prezzi che caratterizzava il mondo post-covid. Distruggendo le consolidate catene logistiche, smantellando la trentennale suddivisione internazionale del lavoro ed agendo su determinate aziende che controllano le materie prime (ecco perché i ceo delle multinazionali sono invitati ai forum della Chatham House ed affini), gli anglosassoni miravano a creare un clima inflazionistico che ponesse fine all’era della politica monetaria accomodante iniziata nel 2008: un’era in cui, per fronteggiare gli choc multipli (dalla crisi dei mutui subprime ai danni della pandemia), i debiti pubblici mondiali erano esplosi, potendo contare sul denaro a costo zero. L’inflazione mirava (e mira) proprio a far esplodere la mole di debito pubblico accumulata negli ultimi dieci anni, obbligando le banche centrali ad aumentare i tassi (rendendo il denaro più caro, si “raffreddano” i prezzi).
Sul tema dell’inflazione, si innesta alla perfezione la guerra in Ucraina, scatenata dagli anglosassoni installando a Kiev il fantoccio Zelensky e minacciando le posizioni russe nel sud-est del Paese. Il conflitto in Ucraina è un moltiplicatore efficientissimo, si può dire quasi diabolico, della manovra anglosassone. Interrompendo i tradizionali flussi energetici tra Russia ed Occidente, si spingono alle stelle i prezzi del gas e del petrolio, generando così ulteriore inflazione, e, allo stesso tempo, si spingono le economie europee più legate alla Russia verso la recessione, attraverso la penuria di energia. Il risultato finale è il sullodato mix tossico di “receflazione”: l’economia reale arranca o addirittura si contrae, mentre i prezzi continuano a salire, spingendo così decine di milioni di persone verso la povertà.
Nel corso dell’estate del 2022, gli anglosassoni hanno fatto di tutto per portare esacerbare la guerra per procura in Ucraina contro i russi, tanto che Mosca ha detto gli scorsi giorni che gli USA sono quasi parte attiva del conflitto. Fornendo armi di gittata sempre maggiore (i missili Himars con raggio di circa 80 chilometri) agli ucraini, Londra e Washington hanno inasprito il conflitto a tal punto da indurre Mosca a interrompere, o perlomeno a ridurre al minimo, i flussi energetici verso l’Europa, così da cercare di frantumare il fronte “occidentale”. Il risultato finale, ad ogni modo, è quello ampiamente previsto dalle nostre analisi. Alle porte dell’inverno, specialmente dopo l’interruzione del Nord Stream 1 annunciata il 2 settembre), Germania e Italia, i due Paesi più dipendenti dalla forniture russe, devono fronteggiare una drammatica penuria di gas e, in ogni caso, pagarlo quasi 30 volte di più (trenta volte!) rispetto al 2019. L’economia reale (impianti siderurgici, chimica, farmaceutica, meccanica e persino alimentare) si contrae mentre i prezzi, trainati dal costo dell’energia, continuano a salire.
In questo quadro, aumenta quindi la pressione sulle banche centrali per raffreddare i prezzi, rendendo il denaro più caro. La lotta all’inflazione diventa la nuova priorità. Le danze, come sempre, sono state aperte dalla Federal Reserve e dalla Bank of England: la prima ha già portato i tassi al 2,5% e si ripromette di portarli al 3% nel corso di settembre, mentre la seconda li ha alzati all’1,75% e molti credono che saliranno fino al 4% nel corso del 2023, per stroncare un’inflazione a due cifre. Le mosse della banche centrali anglosassoni, ovviamente, drenano capitali dall’Europa, già alla prese con guerra e crisi energetica: il risultato finale è, come scontato, l’incessante indebolimento dell’euro che, mese dopo mese, scivola verso minimi sempre nuovi (al momento, è al minimo storico degli ultimi 20 anni). L’indebolimento dell’euro, si noti, rende più caro per gli europei acquistare gas e petrolio dagli USA o dai loro satelliti arabi, generando quindi ulteriore inflazione!
In questa “corsa al rialzo denaro”, la BCE è drammaticamente indietro: a luglio, il costo del denaro è stato portato da zero allo 0,5%, ma le pressioni aumentano per un più rapido aumento dei tassi già nel mese di settembre. La riluttanza della BCE ad intervenire in maniera più decisa (nonostante anche la Germania vada verso un’inflazione al 10%) è semplice: un aumento del costo denaro, quasi certamente, innescherebbe una nuova crisi del debito europeo, quella crisi che gli speculatori di Wall Street e della City aspettano con ansia (si vedano le maxi scommesse degli hedge fund britannici contro l’Italia, recentemente messe in luce dal Financial Times).
Entra a questo punto in campo l’Italia che, come si è detto, rappresenta l’anello debole dell’eurozona e, se portata al default, può affossare l’intera unione monetaria. Sull’Italia si sta abbattendo la tempesta perfetta: il motore economico del Paese, le industrie del Nord, stanno per fermarsi a causa della penuria di gas, mentre la bolletta energetica continua a salire e con lei l’indice dei prezzi. Portando avanti l’oculata strategia di distruzione della finanze pubbliche, il governo Draghi sta “tamponando” l’emergenza con decreti aiuti “miliardari” che contribuiscono all’aumento del debito pubblico in un contesto sempre più ostile. Nessuno agisce per stroncare alla radice il problema, ossia porre fine al conflitto in Ucraina e riportare il prezzo dell’energia ai livelli ante-bellici, ma tutti invocano pannicelli caldi miliardari che, molto presto, risulteranno essere letali per l’Italia.
Il quadro italiano è completato dalle imminenti elezioni italiane, tese proprio ad acuire al massimo le tensioni finanziarie dentro la UE. Assicurandosi la vittoria della coalizione trainata da Fratelli d’Italia, gli anglosassoni, infatti, mirano proprio a installare a Roma un governo che, anziché agire sulla radice del problema (guerra in Ucraina e conseguente inflazione), professerà sicura fede atlantica, prendendo invece di mira proprio la Banca Centrale Europea, rea di alzare i tassi e rendere perciò sempre più insostenibile il debito pubblico italiano. Già nel mese di luglio, Giorgia Meloni, prodotto dell’Aspen Institute e del Gruppo l’Espresso, aveva attaccato la BCE per l’aumento del costo del denaro a 0,5% e tutto lascia supporre che gli attacchi si moltiplicheranno nelle prossime settimane, aprendo una nuova fase della crisi del debito europea. In termini cartografici, si potrebbe quindi immaginare che, con le elezioni del 25 settembre, gli anglosassoni si apprestano ad incendiare un nuovo fronte dell’Europa: quello meridionale e, in particolare, quello italiano. Come ha lucidamente scritto la Pravda, il prossimo governo di Giorgia Meloni sceglierà la strada del caos e porterà l’Italia verso una crisi ancora più profonda. Si potrebbe aggiungere: per la soddisfazione anglosassone. La guerra avanza.
Fonte: http://federicodezzani.altervista.org/guerra-inflazione-tassi-la-strategia-anglosassone-in-divenire/
Mettici pure i “nuovi partiti” che di fatto sono a parole Sovranisti, ma nei fatti nn lo sono …
E il quadro è servito.
I nuovi m5s, vi sono serviti alla grande.