Quindi mi dicevo: tutto questo putinismo dove sta? Come e dove si esprime? Esiste da qualche parte, certo, ma nella comunicazione è molto molto minoritario. Dunque il suo tasso di influenza dev’essere, nella stessa proporzione, ridotto. Quindi, perché siamo così ossessionati? Non ne ho mai ragionato perché il solo parlarne fornisce lo spunto per altre accuse di filoputinismo. Ma ora è spuntata una ricerca che consente un ragionamento sui dati, non sulle opinioni o sei sentimenti. Viene da un Paese con molto vigore allineato alle posizioni Usa, ovvero l’Australia. Ed è stata realizzata dai docenti della facoltà di Matematica dell’Università di Adelaide, non da qualche politologo al soldo del Cremlino. Chi vuole esaminarla la trova qui: https://arxiv.org/pdf/2208.07038.pdf.
I matematici australiani hanno esaminato milioni di tweet prodotti da “bot-like accounts” nel primo periodo della guerra, cioè tra il 23 febbraio e l’8 marzo, e verificato la loro influenza sul dibattito generale sull’invasione russa e sulla guerra in Ucraina. E hanno misurato il tutto su cinque eventi di quel periodo: l’inizio dell’invasione, l’inizio dei combattimenti a Mariupol’, la conquista di Kherson da parte dei russi, l’occupazione della centrale nucleare di Zaporizhzhia, i primi tentativi di evacuare le truppe ucraine da Mariupol’.
Primo dato: il 90,16% degli account “bot-like” è filo-Ucraina, il 6,80% è filo-Russia e il 3,04 è misto, non particolarmente schierato(“We found that 90.16% of accounts fell into the ‘ProUkraine’ category, while only 6.80% fell into the ‘ProRussia’ category. The balanced category contained 3.04% of accounts, showing that accounts ex-hibiting mixed behaviour are present in the dataset“).
I ricercatori australiani, che si rendono certo conto della delicatezza del tema, chiariscono tutti i criteri seguiti nel lavoro. Specificano, per esempio, di aver usato il Botometer e le sei categorie di bot relative: AstroTurf, Fake Follower, Financial, Self Declared, Spammer e Other. Ed elencano tutte le specifiche tecniche. Ma concludono con un altro dato interessante: i tre gruppi di account (“bot-like”, ripetiamolo) che producono la maggiore quantità di interazioni in Rete sono tutti pro-Ucraina, così come quelli che si piazzano al sesto e settimo posto.
Si potrà dire: essendo l’Ucraina la vittima, il Paese aggredito, è naturale che si manifesti un’onda di simpatia e sostegno per la sua causa. Ma qui si parla di bot, cioè di account professionalmente maligni, creati per influenzare l’opinione pubblica in maniera strumentale, pubblicando materiali all’occorrenza falsi o manipolati. Poiché la sproporzione è enorme (90,16 contro 6,80), e lo è stata fin dall’inizio della guerra, bisognerebbe invece chiedersi se essa non sia il segno di una preparazione, dell’esistenza di un apparato pronto a entrare in azione. Giuseppe Gagliano, qui su Lettera da Mosca, aveva raccontato cose interessanti. E chiedersi se e quanto tutto questo abbia poi influito sull’autonominata “stampa di qualità” e su tutti quei resoconti che per mesi ci hanno parlato solo di vittorie ucraine, salvo poi scoprire che i russi controllavano il 20% dell’Ucraina.
Comunque sia, sarebbe il caso di darsi una calmata. Il nemico non è alla porta, almeno non in Rete. E chi lo sostiene, chissà… forse è un bot che gliel’ha detto.
Occorre ricordare che, nei social in merito alla psicopandemia,il potere ha messo in campo la bellezza di 100.000 infuencer …era tanto per chiarire il livello di porcata